Parola d’Autore
Il pianeta-scuola, soprattutto per quanto riguarda una realtà sociale e culturale come l’Italia contemporanea, in un certo senso vive di contraddizioni continue e di speranze profondissime che si trascinano da decenni, alimentando un paradosso che quotidianamente favorisce la coesistenza di istanze innovatrici, realmente tese allo scambio reciproco, nonché di resistenze etnocentriche quasi ancestrali, legate culturalmente a schemi di netto rifiuto e di completo ostracismo nei confronti di tutto ciò che è nuovo, quindi diverso.
Ancora oggi, in ambito scolastico, tanto nel corpo docente quanto in alcune famiglie degli studenti, la differenza è avvertita come pericolo per la propria identità, e come minaccia per il proprio status, consolidato da generazioni e caratterizzato da scambi culturali unicamente con gli autoctoni.
La differenza, in questi casi, può rappresentare soprattutto un disagio. Le ragioni da cui ciò scaturisce sono molteplici, e principalmente sono riconducibili ad una radicata tendenza a mantenersi nell’alveo degli impliciti culturali, degli schemi ancestrali che l’inculturazione ha trasmesso immutati di generazione in generazione, e che portano a percepire la/le diversità come anomalie, se non addirittura come pericoli reali per una identità propria, custodita come intangibile. Sicuramente, un altro fattore determinante che mina alla base la solidità dei processi di integrazione, e la progettualità educativa che la dovrebbe sostenere, è la insufficienza, o in alcuni casi la mancanza di consapevolezza e di spirito critico. La consapevolezza dovrebbe essere uno step fondamentale nell’approccio all’altro, in accordo con l’appartenenza alla comunità in una ideale articolazione che vede proprio appartenza-consapevolezza-reponsabilità-partecipazione quali pilastri per la socialità e la convivialità. In Italia, storicamente, si assiste negli ultimi lustri ad una triste staffetta nei processi discriminatori, che ha visto passare uno scomodo testimone ideale dai terroni ai negri. “Terroni” e “negri”, quindi, sono due termini che nascono, si sviluppano e si diffondono uniti nella identica spirale di stupidità, pregiudizio e ignoranza, sono costantemente alimentati dal fertile humus dell’indifferenza ed essi sono elementi che contribuiscono in maniera ancor più netta, nel XXI secolo definito ormai planetario, all’attribuzione dello status di colpevole a chi ancora ne segue le scie e ne propaga le sementi all’interno del tessuto sociale; quello che conta, oggi, è l’uomo, con tutte le sue peculiarità e particolarità, il suo potenziale e le sue inclinazioni naturali.
Terroni e negri rappresentano la crudele polarizzazione delle varie istanze che seguono il cammino dell’ignoranza e della superficialità, il cui contorno è completato dal perbenismo interessato, dal falso moralismo e dall’ipocrisia diffusa. E dall’indifferenza. Oggi è abbastanza evidente come i nemici della democrazia e dei processi di integrazione siano: Abulia, Apatia, Indifferenza, Deriva di impolitica, Qualunquismo (atteggiamento polemico, di sfiducia continua). Focalizzati questi pochi macro-concetti, compito della scuola, delle famiglie e della società civile in una prospettiva più ampia è promuovere senza sosta la cittadinanza attiva ed interculturale, da intendersi come autentica capacità da parte degli individui di essere cittadini attivi e responsabili all’interno di un contesto sociale, e ciò si realizza in pieno attraverso la partecipazione: politica, infatti, nella sua piena accezione semantica è da ricondurre al verbo πολιτεύω, politèuo, che tradotto significa amministro, ma, soprattutto, sono cittadino, vivo da cittadino, il che implica la piena partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica, un bene cioè comune in quanto connesso al concetto di giustizia, equità e possibilità uguali per tutti; oggi, il cittadino contemporaneo affronta quotidianamente diritti, doveri, relazioni con l’alterità, dal momento che in buona sostanza egli ad un tempo: a) vive l’ampio respiro del concetto di appartenenza ; b) è elemento di congiunzione tra i vari livelli della realtà che lo circonda, locale, nazionale, continentale, globale.
Per questi motivi, è determinante che tutte le parti coinvolte nel processo di interazione prima, e, successivamente, in quello di integrazione, abbiano chiara l’importanza enorme che assume la valorizzazione delle differenze, e stabiliscano come coordinata-base delle condotte quotidiane che si debba cioè fare comprendere all’altro che la diversità deve essere una ricchezza, da condividere con la prossimità; nella nostra società, infatti, il tessuto sociale non appare più basato su un’unicità valoriale di riferimento, quale poteva essere il rapporto diadico lavoro-famiglia nel recente passato, poiché nel breve periodo si sono aggiunti molti fattori, tutti indipendenti fra loro e non unicamente derivanti dal comportamento umano, che contribuiscono a connotare i vari contesti sociali e di vita. Solo attribuendo il giusto valore alla differenza, potremo guardare al futuro finalmente con meno ansie e con il giusto atteggiamento di fiducia verso l’arricchimento umano e spirituale.
Estratto dal libro Educazione e integrazione nella scuola del XXI secolo (cap.II, Il Mediterraneo “ponte ideale” tra la Sicilia e la dimensione europea: dall’integrazione all’inclusione, pp.103-107)
Il mar Mediterraneo è, storicamente, uno straordinario ponte spontaneo tra l’Europa e gli altri Paesi, le cui culture hanno dato un contributo determinante per lo sviluppo e per il progresso umano.
La sua particolare collocazione geografica, infatti, determina un contesto pressoché unico, vitale e dialogico, all’interno del quale l’incontro appare la naturale conseguenza; infatti «il Mediterraneo è un mare che porta in sé tante diversità e tante unità. Il Mediterraneo è un mare dalle fertilità e dalle aridità estreme. Il Mediterraneo è un mare il cui centro è formato dalla sua circonferenza. Il Mediterraneo è un mare nello stesso tempo di antagonismi e di complementarità. […] Il Mediterraneo è culla di tutte le culture dell’apertura, dello scambio e dell’avventura. Il Mediterraneo è matrice di religioni politeiste e delle religioni monoteiste»[1].
Sicuramente, in questa dimensione contemporanea compressa tra le convergenze parallele del tempo e dello spazio per le quali la velocità è strumento-ponte imprescindibile, il Mediterraneo è il luogo della cultura vera, è un forte significante di memoria in contrapposizione ai modelli di una società che alla stessa memoria ha da tempo sostituito i promemoria, scritti o digitali che siano, per non trascurare in alcun modo gli impegni quotidiani dettati dall’imperativo presente che oggi domina le esistenze: realizzarsi economicamente, anche a costo di grandi sacrifici nella sfera personale e affettiva.
In particolar modo, il Mediterraneo è incontro di linguaggi, di colori, di suoni, echeggia nella cultura come μέλος (mélos) perenne, è sintesi ontologica di atteggiamenti, di ethos e di contenuti antropologici ricchissimi che rispecchiano la solarità delle popolazioni che lo vivono in senso umano, civile e più propriamente sociale. Esso è il mare che più d’ogni altro ha dato vita a miti, a leggende straordinarie e personaggi che da secoli permeano le culture mondiali; nelle sue acque hanno viaggiato sogni, speranze, desideri di emancipazione e di possibilità di realizzazione personale, alle sue rive si sono modellate identità plurime ed itineranti perché «il Mare Mediterraneo è una sub-stantia che nella denotazione geografica ha perso la sostanza, la qualità del sostantivo, per consegnarsi e perdersi alla sua giunta, al suo aggettivo che si de-sostanzializza dell’elemento acqua e trasforma il mare in un collante di terre, in ciò che tra le terre si agita, come un soffio di vento tra alte spighe in un campo di grano»[2].
Nella contemporaneità, a partire dal XX secolo, in esso si sono materializzati coraggiosi tentativi di istituire una cultura comune generalizzata, e così, ecco emergere prima una sorta di κοινὴ (koiné) moderna, sulla scia delle conquiste coloniali operate degli stati centro-europei, che potesse riunire valori ed ideali, ma che, oltre ad essere modellata su una prospettiva culturale unidimensionale specificamente eurocentrica, presentava anche una ambivalenza sostanziale, poiché racchiudeva tanto i caratteri di un umanesimo e di un certo universalismo continentali, quanto concrete difficoltà nel comprendere le peculiarità dell’alterità, come emerge negli scritti di Paul Valèry, ispiratore sincero del Programma generale degli studi sul Mediterraneo[3].
Successivamente, nella stretta attualità, muta in maniera radicale l’atteggiamento verso l’alterità, le differenze non vengono più percepite esclusivamente come ostacolo al dialogo, ed è il web che usato con criterio e spirito critico diventa lo strumento principale per le comunicazioni e la circolazione delle culture, soprattutto tra le giovani generazioni, per le quali il Mediterraneo diventa realmente uno spazio per l’incontro, una grande occasione di partecipazione e una realtà geografica da approfondire, alla ricerca di opportunità personali e lavorative.
Il Mediterraneo, tuttavia, è, oggi, anche uno specchio enorme, nel quale la prossimità e la complessità fanno riverberare le problematiche della grande globalizzazione contemporanea e le sue forti contraddizioni, che sono legate per lo più alle difficoltà economiche e finanziarie, civili e politiche di molti Paesi del Globo, e in special modo «grandi contrasti spezzano l’immagine una del mare: il Nord non è, non può essere, il Sud; ancor più l’Ovest non è l’Est. Il Mediterraneo è troppo allungato secondo i paralleli e la soglia di Sicilia lo spacca in due, più ancora che riunirne i frammenti. […] la storia del Mediterraneo sta in ascolto della storia universale, ma la sua musica peculiare si fa sentire a grande distanza»[4].
Soggiornando a Trapani, città al centro ideale dell’universo Mediterraneo, si avverte distintamente tutto questo turbinio di molecole sparse, che spinte dalle rosa dei venti aperta, ci investono con la irresistibile carica posseduta da ciascuna: cultura, incrocio e scambio, identità individuale-identità plurima, dialogicità e confronto aperto, crisi, politeismo di valori, forti contraddizioni e sofferenza, vicinanza e lontananza, tolleranza ed emarginazione, e un distante richiamo d’anima che prima o poi incatena all’albero maestro della nave durante il νόστος (nòstos).
Purtroppo, le immigrazioni che si succedono con grande frequenza e in condizioni di totale clandestinità, sono la punta dell’iceberg rappresentato non solo dal tentativo di fuga dai Paesi in cui i diritti dell’uomo non sono tutelati, ma soprattutto dalle organizzazioni criminose che da tali tentativi di riscatto si arricchiscono, operando senza alcuno scrupolo nei confronti dei migranti, i quali pagano cifre abbastanza consistenti per effettuare un viaggio si speranza che, spesso, ha luogo su mezzi natanti molto vecchi, pericolosi e senza alcuna affidabilità meccanica o strutturale.
La conseguenza drammatica di politiche criminose senza scrupoli nella gestione delle immigrazioni clandestine si ritrova purtroppo nelle numerose tragedie del mare che frequentemente avvengono nel Canale di Sicilia; le già menzionate cattive condizioni dei mezzi natanti, infatti, si sommano al numero eccesivo di migranti, uomini, donne anche incinte e bambini, che sono imbarcati alla partenza, e alle avverse condizioni del mare, che rendono la traversata ancor più pericolosa di quanto non sia.
I numerosi morti durante le “traversate del riscatto” sono un peso sulla coscienza dell’Europa occidentale, e una gigantesca ombra sulle istituzioni che poco o nulla fanno per cercare di contrastare efficacemente un’attività criminosa che è a tutti gli effetti di sfruttamento, e non solo in origine, per l’organizzazione degli sbarchi clandestini, ma anche successivamente, una volta che il migrante è nel nuovo Paese, attraverso altri step che prevedono il lavoro nero, sottopagato, se non addirittura svolto nelle maglie della criminalità locale, negli ambienti dello spaccio, dei furti o della prostituzione.
Recentemente, l’isola di Lampedusa, è lo scenario principale in cui quotidianamente tutti questi fattori si materializzano attraverso sbarchi continui di profughi dai Paesi del nord e centro-Africa, e inevitabilmente le difficoltà logistiche finiscono per sottoporre anche le coscienze degli autoctoni ad una riflessione molto approfondita, circa la propria identità, e il rapporto tra questa identità e quella degli immigrati, la predisposizione al dialogo ed al confronto, e le possibilità eventuali di arricchimento culturale [5].
Soprattutto, l’isola siciliana assurge a grande e vasto paradigma che raccoglie sotto un sole splendente e caldo tutte le enormi difficoltà connesse alla gestione della complessità crescente, e nello stesso tempo essa pone al continente europeo, anzi al globo intero, la spinosa questione dei diritti umani e di come riuscire a effettuare una efficace programmazione educativa affinché si possano affrontare le problematiche di tutela delle individualità e delle singole culture.
Mai come oggi, Lampedusa incarna il Mediterraneo che si fa “ponte” tra l’estremo sud dell’Europa e la stessa Europa occidentale, Lampedusa è nello stesso tempo uno snodo critico per le problematiche dei migranti, ma è un enorme megafono col quale gli abitanti chiedono a gran voce di essere supportati in questo sforzo di accoglienza. In nome dei livelli a cui la cittadinanza contemporanea fa riferimento, cioè quello locale, nazionale, continentale e globale[6], l’isola di Lampedusa, come Sicilia, e come Italia, chiede di non essere lasciata sola nel primo passo verso l’inclusione di altri individui provenienti da realtà difficili, nella prospettiva del “partneriato euromeditteraneo” [7] di cui oggi si discute frequentemente.
[1] E. Morin, M. Ceruti, La nostra Europa, Raffello Cortina, Milano 2013, pp. 79-80.
[2] T. Vittorio, Storia del mare. Questione meridionale come questione mediterranea, Selene Edizioni, Milano 2005, p. 31.
[3] Cfr P. Valéry, Programma generale degli studi sul Mediterraneo, programma presentato all’apertura del «Centro universitario del Mediterraneo» a Nizza, nel 1936.
[4] F. Braudel, Memorie del Mediterraneo, Bompiani, Milano 2010, pp.86-87.
[5] Cfr F. Pinto Minerva, L’intercultura, Laterza, Roma-Bari 2001.
[6] Cfr L. Amatucci, A. Augenti, M. Matarazzo, a cura di, Lo spazio Europeo dell’educazione. Scuola, Università, Costituzione per l’Europa, Anicia, Roma 2005, p. 185.
[7] Cfr. F. Canale Cama, D. Casanova, R. M. Delli Quadri, a cura di, Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo, Alfredo Guida Editore, Napoli 2009, p. 410.