“La poesia è un collegamento con la salvezza”
“Scivolerebbe tutto nell’indifferenza, / nell’esito scontato delle cose / se ad arrestare il momento / non intervenisse il senso della tua / disarmante certezza; // – C’è una promessa / in tutto questo.”. Vitalità dell’attesa, sperimentazione, osservazione, ricerca, raccoglimento, sguardo distintamente proteso alla luce distinguono i versi di Tiziano Broggiato autore di “Città alla fine del mondo”, edizioni ‘Jaca Book’, collana “I Poeti” a cura di Roberto Mussapi. ‘Ogni verso è un’immagine, generalmente priva di bagliori o svelamenti, ma ogni immagine è profonda, pare emergere da una vecchia fotografia, o ancor più da una traccia lapidea invisibile se non agli occhi, meglio alle antenne del poeta – scrive Mussapi -. Ferma, priva di sbavature, la poesia di Broggiato ha una sua fredda potenza tragica, inchiodando cose e persone alla realtà del tempo eveniente, e una freddezza anatomistica che felicemente convive con una fraterna solidarietà di fatto con il coro del mondo: «È quando riesce a vedere un sole bianco/ anche attraverso basse nubi// e avvertire che aumentano le acque/ mentre la luce riposa// che uno capisce che il suo luogo/ è quello. Per sempre»’.
Quale il pensiero legato alla sua prima poesia? Ha forse a che fare con “un grosso uccello migratore / che accavalla le parole / per la gioia del ritorno”?
È così, almeno in parte: in verità mi trovavo in collegio, a 11 anni, e tutti gli studenti furono invitati, nell’imminenza delle vacanze, a scrivere un pensiero, o un raccontino che testimoniasse la loro esperienza comunitaria. Scrissi anch’io un testo ma, con mia sorpresa, non era in prosa, ma in versi. Così, senza premeditazione, nacque la mia prima poesia. Confesso che ne fui felice, ed emozionato.
Quali i poeti dell’anima?
Sono sempre stato un lettore onnivoro di poesia: ricordo che da studente leggevo contemporaneamente Majakovskj e Gozzano, per capirci. Non avendo avuto una preparazione umanistica ( geometri e poi scienze farmaceutiche ) cercavo di immergermi in tutto ciò che avesse “sapore” poetico. Poi il tempo ha orientato le mie preferenze per quello che potrebbe essere definito un percorso all’incontrario: dapprima Cucchi, Conte poi Bertolucci, Luzi, Raboni, Bandini, quindi, in anni successivi, Eliot e Montale, Ungaretti, Celan… L’unico classico che ho lungamente frequentato è Catullo. Un suo libro ricevuto in dono diventato indispensabile. Ma la continua scoperta di voci, da Simic a Kruger, da Herbert a Robertson è il mio esaltante legame con i poeti. E tutti diventano irrinunciabilmente i poeti dell’anima.
Due poesie – una sua, una di altri – alle quali è più affezionato?
La mia (senza titolo) perché è l’ultima che ho scritto:
Quei giri fittizi, di sera,
quelle pupille sgranate
sulle ombre dei portici a indovinare
anche un minimo, equivoco scarto o
un ritirarsi rapido.
Era sufficiente carpire un gridolino
o forse anche solo immaginarlo,
in quella torbida stradina cieca
detta “sacco dei tradimenti”
per ritornare a casa in preda a
impagabili, dolorose arsure.
Ci separava un nome.
Poi vennero altre arie e il fiume,
gonfio di detriti, a fare paura.
Poi una poesia di Mario Luzi che, pur non essendo tra le sue più note, per me rappresenta una sorta di perfezione della scrittura poetica: essenziale, solida, potente:
Fuori o dentro lo strampalato albergo
Il pianto sentito piangere
nella camera contigua
di notte
nello strampalato albergo
poi dovunque
dovunque
nel buio danubiano
e nel finimondo di colori
di ogni possibile orizzonte
dilagando
oltre tutti i divisori
delle epoche
delle lingue
sentito bene sentito forte
nel suo forte rintocco di eptacordio
e rimesso nel fodero di nebbia
del sonno
e della non coscienza
riposto nel buio nascondiglio
del sapere non voluto sapere
fino a quando? –
Per Perniola, «Il poeta non è il miglior fabbro, ma il miglior strumento», per Broggiato?
Il poeta è colui che scrive in una sorta di sovraesposizione dei sensi, quasi sotto una dettatura che gli giunge da un luogo prossimo eppure distante. Scrive seguendo un richiamo che solo lui riesce a distinguere. Una figura che collocherei perciò tra il religioso e il sensitivo.
“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Una riflessione di Marcel Proust per chiedere: oggigiorno quale dovrebbe essere la funzione della scrittura? E, ancora, in che modo dovremmo muoverci (tra tutte le “incursioni” che conosciamo) per preservarne il valore autentico?
Nessuna terra in vista, nessun viatico salvifico per gli altri. Lo scrittore è un autentico, sublime egoista che celebra solo se stesso. Tanto meglio se con il consenso degli altri, dei lettori per intenderci.
“Città alla fine del mondo”. Perché questo titolo per il nuovo libro?
Al contrario di quanto si può immaginare, e qualcuno come Giuseppe Langella l’ha anche scritto, non si tratta di un titolo catastrofico. Anzi, è un titolo che intercede con la speranza, perciò positivo, che si rivolge alla luce futura. Una sorta di prossimo appuntamento, di nuova avventura.
Con i suoi versi domando: “Ma davvero si può sentire propria, / anche per un solo momento, una città straniera che riesce a rendere / indistinguibili crepuscoli e autore?”.
No. Si può rimanere affascinati da molte situazioni e luoghi, senz’altro magnetici, senz’altro capaci di donare energie che non ritenevi possibili altrove, ma alla fine credo abbia ragione Simic che, trovato asilo, lavoro e benessere negli Stati Uniti, continua a versare caustici versi sulla vita americana riservando dolcezza solo al ricordo della sua patria.
“costretti a scegliere / tra sublimazione e abbandono” qual è (o quale potrebbe) essere il ruolo della poesia?
Secondo Sant’Agostino tutti noi, vivendo, ci troviamo in un fiume, di notte, su una barca, senza possibilità di governarla. Non sappiamo dov’è la riva e neppure in quale punto del fiume ci troviamo. Si procede aspettando gli eventi. La poesia è un ramo proteso all’improvviso in quel percorso. Un collegamento con la salvezza.
Più specificamente, pensando alle sue esperienze laboratoriali con giovani studenti, potrebbe parlaci delle potenzialità della parola poetica in termini di crescita introspettiva e consapevole?
Trovo consapevoli e utili i laboratori di scrittura se parliamo di prosa. Lì la tecnica, il metodo, l’architettura della trama hanno un senso. Per la poesia no; la poesia è un dono, una vocazione: è lei che sceglie il depositario del suo dono e mai viceversa. Mi fa ridere chi asserisce che in giro ci sono milioni di poeti. Forse se per poeta intendiamo chi va a capo nella scrittura prima della fine della riga può anche essere così, ma se consideriamo seriamente solo chi è stato “scelto” dalla poesia, allora non arriveremo alla trentina di poeti, in Italia. E con qualche generosità.
Per concludere, la invito a scegliere una sua poesia per salutare i nostri lettori.
Dedico ai lettori de l’EstroVerso una poesia che ho scritto di recente a Praga, ricordando i bellissimi versi di Poesia scritta a Praga di Fernando Bandini, quasi un richiamo in vita di un gigante della nostra poesia con cui ho avuto la fortuna di condividere un’amicizia sobria ma senz’altro profonda:
Un incontro a Praga
L’ambrata Mest’am di Kampa
suggella la rigenerante tregua
dell’afoso pomeriggio agostano.
Così, ora potrei anche perdere
la nozione del tempo godendomi
la vista della paziente Moldava
che come una tiepida broda
scorre tra un cielo senza una nuvola
e il rassicurante brusio delle sue sponde.
Ma, dal nulla d’alberi alle mie spalle
un saluto breve mi sorprende
– Ciao poeta, anche tu qui? –
La sua voce amica:
“Sei tu caro Bandini, che mi hai voluto bene?
Hai dunque ottenuto che trasportassero
le tue ossa a riposare
sotto le pietre di Mala Strana?
E i corvi di Azneciv, hanno finalmente riconosciuto
la legittimità del tuo regno?”
Non ho risposte. Né forse ne dovrei attendere.
Non è invece un mesto segno di diniego
quello che mi rivolge l’ombra allampanata
salita sul ponte per poi, incrociando un’altra statua,
dissolversi?
Tiziano Broggiato è nato a Vicenza, dove tuttora risiede, nel 1953. Le sue più recenti raccolte di poesia sono: Parca lux (Marsilio, Venezia, 2001) Premio Montale, Premio Unione Lettori Italiani e Premio Bolognapoesia, Anticipo della notte (Marietti, Milano, 2006) Premio Sandro Penna, Dieci poesie (Almanacco dello Specchio n°3, Mondadori, Milano, 2007) e Città alla fine del mondo ( Jaca book, Milano, 2013). Ha curato le antologie: Canti dall’universo – Dodici poeti italiani degli anni ottanta (Marcos y Marcos, Milano, 1988) e Lune gemelle (Palomar, Bari, 1998). Sue poesie sono state tradotte, per antologie e riviste, in varie lingue. Da ricordare, in volume, Davancer la nuit (Edition revue Conference, Trocy en Multien, 2007 – Traduzione in francese di Cristophe Carraud) e Against the light (Guernica editions, Toronto, 2012 – Traduzione in inglese a cura di Patricia Hanley e Laura Mosco).