Georg Baselitz, Freud and Other Music x editoriale luigi
 
 
 
“Futilmente presente è la parola, anche questo dire”
(Mario Benedetti, da ‘Tersa morte’, Mondadori, Milano, 2013, p. 73)

 

Ci sono momenti in cui bisogna dare spazio al silenzio. Vivere il lutto, anche quello del linguaggio convenzionalmente utilizzato e, prima d’ora, accettato senza esitazioni, a priori. Cambiare modo di vedere il mondo mette (o dovrebbe mettere) in crisi anche le nostre forme di denominazione, incrina le certezze acquisite su significanti e significati. Ci si aspetterebbe di trovare nei poeti una particolare attenzione e sensibilità verso forme di scrittura, stili e codici espressivi diversi dai propri forse perché li si immagina – in quanto soggetti che agiscono sostanzialmente con e sulla lingua – innanzitutto come degli appassionati filantropi della poesia in se stessa poiché, sempre secondo uno dei luoghi comuni più diffusi, la poesia è qualcosa in via di estinzione (e chi riesce a immaginarsi un animale che invita i cacciatori a uccidere i suoi fratelli di razza rischiando l’estinzione della specie pur di restare l’unico eletto?). Tra i morbi diffusi dalla spettacolarizzazione della società, analiticamente esaminata da Debord, certamente vi è il mito dell’unicità, dell’esemplarità, continuamente pompato su tutti i media possibili, il quale decreta il trionfo di un narcisismo infantile allo stadio orale dove non esiste altro da sé. Visto che l’altro viene percepito come minaccia se ne disconosce il valore, si rifiuta l’esistenza, lo si liquida ghettizzandolo in un canone diverso dal proprio, senza nessuna curiosità ravvicinante (siamo sul terreno della competizione non su quello della scoperta). Questa smania classista, razzista, di molti poeti-critici contemporanei, non è forse una forma di autorisarcimento simbolico che verrebbe a compensare una posizione di mancato riconoscimento del proprio ruolo nella percezione collettiva? E la diffidenza astiosa verso una scrittura non immediatamente familiare, diversa dal proprio distillato di nozioni, influenze e convincimenti formali-tematici sbaglio o assume la forma di un fantasma di castrazione? Se il linguaggio è la dimora dell’essere non deve essere così facile cambiare casa o visitare luoghi tanto distanti dal proprio cantuccio espressivo, dalla personale forma mentis. Proprio per questo motivo, dovremmo leggere con particolare fascinazione e rispetto soprattutto gli autori che si sforzano di far coesistere più linguaggi e sensi possibili, maggiormente in dialogo con forme di sapere e tastiere percettive differenti, eterogenee tra loro quando non, entropicamente, in conflitto.  Ritengo particolarmente interessanti le strategie stilistiche e cognitive adottate da poeti come Marco Giovenale (la sua Facilitazione – http://slowforward.wordpress.com/2014/09/06/facilitazione/riesce, grazie a uno scarto ironico di squisita sottigliezza mentale, nello scavalcare “oltraggiosamente” la comune disputa dialettica tra un regime e i suoi “oppositori” offrendoci una visione pacifista disarmante e apparentemente priva di rivendicazioni viscerali, emotive), Michele Zaffarano (con, per esempio, Una specie di dichiarazione di poetica in versi – http://www.leparoleelecose.it/?p=15537fa, in senso lato, il verso al nozionismo scolastico e ai processi di apprendimento meccanici, mnemonici, subdolamente manipolatori, dei versanti istituzionali e non solo). Giovenale, Zaffarano, e altri poeti come Mariangela Guatteri, Andrea Inglese, Giovanna Frene, Testa, Broggi, hanno abbandonato le comodità della retorica usurata per un percorso di risemantizzazione poetica, una riossigenazione linguistica aperta alle interferenze e in dialogo con altre lingue e scritture di ricerca. Ricerca è quanto agita Cepollaro e i suoi versi recenti sul corpo – luogo per natura deputato al costante movimento-mutamento – (Le qualità, La Camera Verde, Roma, 2012, e il libro in uscita La curva del giorno, L’Arcolaio, Forlì, 2014) che costituiscono certamente per il poeta campano occasioni di ridefinizione di concetti metapoetici nella sua scrittura sospesa, interrogante, aperta alla percezione dell’altro e di se stesso con rara coscienza e sensibilità. Sul crinale corporale anche la poetica di Tommaso Di Dio (Favole, Transeuropa, Massa, 2009, Tua e di tutti, Lietocolle collana Gialla-pordenonelegge.it, Faloppio, 2014) in colluttazione tra corpo, eros e una creaturale percezione dell’esistenza. Questi e molti altri gli autori ai quali accostarsi abbandonando le gabbie soffocanti di un canone o del cosiddetto gusto, figlio malato dell’Io, quest’ultimo, per Lacan, “il sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell’uomo”.    

(In alto di Georg Baselitz, Freud and Other)

Potrebbero interessarti