La ri-nascita del poeta: ‘Vangelo elementare’ di Gianluca Furnari

Vangelo elementare di Gianluca Fùrnari«Forse la poesia è quel che resta del linguaggio […] quando l’urto con la poesia si è consumato». Così Gianluca Furnari, presentando un’autoselezione di testi tratti dal suo esordio poetico, Vangelo elementare, già finalista al Premio Rimini 2015, edito nello stesso anno solare da Raffaelli.[1] Chi scrive conosce bene i rischi che si annidano nel dare credito alle parole extratestuali di un autore, vale a dire a tutte quelle affermazioni, interrogazioni, esplicazioni, dichiarazioni di poetica che si situano in un orizzonte eccentrico rispetto al contesto testuale dell’opera. E se qui si è deciso di contravvenire a questa giusta prudenza non è certo perché il Vangelo di Furnari abbia bisogno di stampelle esterne o di particolari glosse interpretative; semplicemente ci è sembrato di rinvenire in questa asserzione l’avantesto, o per meglio dire tutto ciò che, misteriosamente e indistintamente, si pone di necessità prima dell’origine.

«Il primo appuntamento fu alla luce / nell’ora della luce» (I). Con questa scansione metrica, rigorosa eppure quasi in sordina, ha infatti luogo la genesi del soggetto plurale («noi») che nel testo d’apertura prende coscienza del proprio esserci: «divisi da ogni cosa – in ogni cosa, / a una stessa distanza da ogni cosa» (ivi). Tuttavia questo scenario aurorale più che a un vero e proprio Big Bang sembra riferirsi a un nuovo inizio post-apocalittico, se è vero che questa «accolita dei puri», ovvero «i pionieri di un mondo appena apparso, // la prima generazione di viventi» (II), è dedita «a ripescare verbi / deflorati da grandine e acquazzoni» (III). Cominciando qui a profilarsi il leitmotiv dell’«acqua», archetipo profondamente segnato dall’ambivalenza semantica vita/morte, Furnari ci ricorda che il poeta non nasce ex nihilo; ha alle spalle una tradizione che, benché sembri giunta a un punto terminale (icasticamente rappresentata dall’immagine biblica del diluvio), continua nonostante tutto, come un rivolo carsico, ad alimentare le vene del nuovo soggetto poetico: «sentivamo risalire / dentro le vene i fiumi della terra» (V).

In questo imperfetto ludico, che è tempo circolare e mitico, si compie allora quello che Tommaso Di Dio ha definito il «vibrante cammino anadromo verso un’umanità consapevole ed eroica»[2] le cui certezze («siamo stati / vivi persino noi – per distrazione / o troppo amore […] / ma era quello il giorno, / quella la terra vera dell’umano», VI) sono affidate alla scoperta e alla modulazione del canto: «Eravamo invincibili nel canto / come rivolta, noi dominavamo / la forza formidabile dei nomi» (VII). È proprio in virtù di questa «sola facoltà» (XI) che il neonato poeta può esercitare nuovamente un dominio adamitico sul reale, una potenza mite e generatrice che rimane comunque inerme davanti allo stupore delle cose, come accade con delle creature acquatiche di cui non si conosce il nome esatto: «setolosi, di fogge così antiche, / non ne conoscevamo il nome esatto; // ma quella loro vita / stupiva, ricordava le parole / che schierammo una notte / sul fondo inanimato delle cose» (VIII).

Così, con una rinnovata interrogazione di senso («Che cosa chiameremo l’essenziale / di quella strada che imboccammo a caso? / di questo sogno che trovammo in sogno? // Che cosa di quel nostro pedinare / il gergo della luce sulle pietre», X), il ‘noi’ lirico di Furnari sembra pronto ad essere scagliato nelle spire del tempo, di una Quarta vigilia noctis dove le tenebre ingaggiano l’ultimo, disperato duello con l’incalzante luce del giorno per contendersi, come in una serrata lotta di trincea, ogni singolo millimetro. In questa sezione, la più dolente e luttuosa del libro (e quindi anche la più palpitante), al cospetto di uno spettro paterno – forse di amletica suggestione – di cui si cerca di metabolizzare l’assenza, si riconosce «lo smarrimento di chiamarti e intanto / scoprirci ancora vergini le voci» (XV). Eppure, al di là questo dolore, «portando / la tua paternità dentro ogni gesto» (XVIII), in un dialogo onirico interrotto e a brandelli, il poeta ha ancora una volta modo di affermare la sua dedizione incondizionata alla vita: «Ritornavamo senza far rumore – / trascendendo le foglie – alla radura: / ed eravamo a un passo dal ricordo, / padre, eravamo a un passo dal ricordo» (XX).

Permane dunque, su tutto, una fede assoluta nella poesia, garante di quel tacito patto stipulato dalla comunità dei vivi e dei morti, per dirla con Raboni. È questo il suggello delle ultime due sezioni del libro, dove i confini del giorno, sebbene incapaci di ristabilire l’ordine mitico iniziale, non possono neppure arginare l’afflato vitale del poeta: «Non bastavano i giorni a contenerci – / volevamo morirne, seminarci / per rifruttificare – non bastavano / gli atti di fede» (XXIX).

È una Parola non nuova quella che infine sembra rivendicare il soggetto plurale di quest’opera prima. Una dizione attraversata a un tempo da una freschezza sorgiva e da una sapienza millenaria, insofferente alle negazioni di certe poetiche che hanno dominato la scena culturale novecentesca. Ed è per tale ragione che la parola di questo «vangelo» di Furnari, riprendendo la fonte veterotestamentaria del racconto del diluvio universale, tramutandosi in biblica arca di salvezza  permette al poeta, già novello Adamo e ora diretta stirpe di Noè, di trovare «oltre i campi allagati, ai primi freddi» la propria strada, cioè la propria ragion d’essere; un «sentiero […] impraticato» nel quale si cela il miracolo della poesia:

 

L’acqua era ovunque, sordida, battente:
l’avevano annunciata nella notte
le bocche adolescenti
dell’abbeveratoio tracimato.

Alcuni già l’avevano sentita
aprirsi come un pozzo
nel proprio corpo: l’acqua li ammalava,
non lasciava ferite,
in pochi giorni uscivano di vita.

Ma oltre i campi allagati, ai primi freddi,
sapevamo un sentiero degli ulivi
impraticato, nostro,
cinto da un vento assiduo,
che l’acqua non poteva sospettare.
(XXXI)

 

[1] https://www.lestroverso.it/vangelo-elementare

[2] Qui la recensione di Tommaso Di Dio: http://poesia.blog.rainews.it/2016/01/07/gianluca-furnari-pietro-cagni/#more-48777

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