Come per molti, la Lampedusa di questi ultimi giorni è entrata dallo schermo del mio smartphone. Non come realtà, ma attraverso narrazioni di immagini e parole, orientate in un senso o nell’altro, erette sopra i corpi e i cadaveri. Oscena e mostruosa è la parola dei governanti, e il silenzio connivente. Di politico a Lampedusa c’è solo l’assenza della polis, il grido di una comunità lasciata sola con la propria paura e la propria rabbia, l’eco di un’onda che ha allagato i polmoni di quanti non credono più al proprio fiato come messaggero di aiuto.
La rabbia dell’uomo punta in alto
ma ricade davanti alle telecamere
parla a nome di molti
moltitudine tra corpo e cadavere,
Non ce la facciamo più
un tempo a difenderci era il mare
adesso guardiamo con spavento
i suoi giorni di ventre piatto come di donna
sul punto di essere ingravidata
Loro non sono la nostra guerra
Loro non sono i nostri nemici
Non ce la facciamo più e basta,
la santità che il mondo ci chiede di mostrare
la mostrino prima altri,
siamo così arrabbiati, e soli, così soli
Loro non sono le nostre case
Loro non sono i nostri ospiti
Loro non sono i nostri pasti
Loro non sono i nostri rituali prima di addormentarci
Noi non riusciamo più a fare l’amore
con la donna distesa sul nostro letto
20.9. ’23
in copertina, Collezione Peggy Guggenheim, Pablo Picasso, Sulla spiaggia, 1937