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Introduzione di Daniela Marcheschi

Giuseppe – “Peppo” – Pontiggia (Como, 25 settembre 1934 – Milano, 27 giugno 2003) aveva un rapporto speciale con le librerie – soprattutto le antiquarie – e con i libri. Non solo apprezzava da bibliofilo tutte quelle caratteristiche esterne che rendono pregevoli i libri, ma ne amava profondamente i contenuti, che gli promettevano incursioni culturali o ne aprivano orizzonti conoscitivi sempre nuovi. Da un simile punto di vista, non ho conosciuto uno scrittore più avventuroso di lui e degno contemporaneo di quegli esploratori antichi e moderni, che hanno ampliato con i loro viaggi, per mare e per terra, i confini del mondo. Ricordare il decennale dell’anniversario della morte di Pontiggia, a Milano, riunendo nella Libreria Popolare di Via Tadino gli amici da tutta Italia e quanti lo hanno stimato come scrittore e critico, per giunta senza disdegnare un breve momento conviviale, è sembrato così il modo migliore per stare ancora con lui, che amava tutto quanto era vita e coltivava gli affetti. Ne è scaturita una Notte Bianca emozionante, anche perché hanno aderito alla serata tanti altri amici, sparsi magari per l’Europa, che ragioni disparate trattenevano fuori Milano o nei loro paesi, ma che, volendo in qualche modo essere fisicamente presenti, hanno inviato una testimonianza scritta. I testi raccolti in questo volume offrono memorie, contributi critici e biografici, in grado di chiarire, precisare sinteticamente diversi aspetti letterari, illuminare influenze e attestare la varietà delle relazioni umane e degli interessi culturali coltivati da Pontiggia: in tal senso, potranno risultare utili ai suoi lettori odierni e futuri. Si tratta di scritti principalmente brevi, perché, nell’affollarsi inatteso delle voci – la “grande sera” e la notte del 21 giugno 2013 – , si sono dovuti imporre dei limiti di tempo un po’ rigidi per consentire di parlare a quanti, numerosi, lo desideravano. Ringrazio Guido Duiella, della Libreria Popolare di  via Tadino, che, come un “Primo Mobile”, ha dato lo spunto e la disponibilità della sua storica libreria a commemorare l’Autore, e che, vista l’affluenza di pubblico, si è assunto anche l’onere di procurare la Sala Grandi della sede della CISL, situata di fronte e presto riempita. Sono grata anche agli attori GianFelice Facchetti e Diego Bonifaccio per aver letto con generosità brani scelti delle opere di Pontiggia, permettendo così di riascoltarne pure in quell’occasione la voce di scrittore e critico. Ringrazio Andrea e Lucia Pontiggia per il sostegno di sempre; coloro che hanno potuto inviare i loro contributi per realizzare il presente volume e coloro che, serenamente tristi, sono intervenuti a quella serata memorabile, tutti testimoniando quanto Pontiggia fosse – sia – vivo in loro e con loro, con noi. Non smetto di ringraziare anche Giuseppe Pontiggia per le tante cose belle che mi ha insegnato, per essere stato il miglior compagno di strada che, chi ama la letteratura, può incontrare sul proprio cammino.

 

Alcuni stralci  dal libro: “Le voci della Notte Bianca con Giuseppe Pontiggia” 
(Guido Conti Editore)

 

L’incontro fra «Kamen’» e Giuseppe Pontiggia
di Amedeo Anelli

Giuseppe Pontiggia è uno dei più importanti scrittori europei per vastità d’interessi e d’esiti, per una scrittura precisa e “densa”, per la tensione fra scrivere ed intendimento etico. Con Rodolfo Quadrelli condivideva un senso ampio delle tradizioni, della tradizione. Tradizione è ciò che riguarda il futuro e non il passato pensava Quadrelli, ciò che vale la pena di tramandare. Per Pontiggia: «i classici sono i contemporanei del futuro». Della loro amicizia e stima reciproca volle scrivere nel numero 18 di «Kamen’» (giugno 2001). Nello stesso numero la pubblicazione di una sua lezione del 1986 tenuta presso la UICS, Scrivere: modi, problemi, aspetti, in una continua riflessione sulla scrittura a proposito del sistema generale della cultura. Ma ciò che ci fece un grande piacere fu l’offerta di pubblicare nella rivista la sua tesi di laurea discussa nel 1959, a Milano, con il Prof. Mario Apollonio, in Cattolica, il titolo La tecnica narrativa di Italo Svevo. Accogliemmo la proposta nei nn. 21 e 22 (gennaio 12 – giugno 2003). La tesi mostra un Pontiggia giovane, ma già sicuro dei propri mezzi e l’attenta lettura del Beach e della neo-fenomenologia della scuola banfiana. […]

Il primo corso di scrittura al teatro Verdi
di Laura Bosio

Nel 1985 (la fortuna a volte viene incontro) ho frequentato il primo corso di scrittura di Giuseppe Pontiggia, al Teatro Verdi di Milano. […] Pontiggia teneva alla puntualità. […] L’insegnamento, non normativo, divagante, spaziava dalla letteratura alla musica, dall’architettura al disegno, dall’osservazione di un dettaglio sulla via Pastrengo prima dell’ingresso a una notizia di cronaca apparsa su un quotidiano. Si era messi di fronte al «problema della scrittura» (già, «problema» lo definiva Pontiggia), all’uso consapevole della lingua, alla responsabilità che comporta, fino a esserne terribilmente spaventati. Sono convinta che ciascuno dei presenti, dentro di sé, sentisse il peso della lingua di legno che aveva usato fino a quel momento, credendo di parlare, di scrivere. Si era richiamati alla precisione della parola, alla chiarezza, alla nudità: ogni espressione sbilenca o assurda, ogni particella e ogni virgola inutile venivano allo scoperto, vergognandosi un po’. Un esempio tra i tanti che mi sono rimasti impressi: l’aggettivo “felice”. Un assoluto: “Sono felice”. Esiste al mondo qualcosa di più grande che essere felici? Proviamo adesso a dire, e scrivere: «Sono molto felice». Il “molto” ci dà un’illusione di accrescimento, ma in realtà, se analizziamo bene, non aggiungiamo nulla, al contrario introduciamo un criterio di quantità che relativizza: si può essere più felici, meno felici, molto o poco felici. Qualcosa di diverso dalla pienezza dell’essere felici. Se poi azzardiamo il superlativo, “felicissimo”, incappiamo in una formula di cortesia, giustamente démodé, che ci fa arretrare: «Le presento Laura Bosio». «Felicissimo». Il punto non era aderire a un dettato, a un diktat: era diventare padroni del linguaggio, e perciò in grado di valutarne le conseguenze, sulla pagina e nella vita. A ciascuno poi la libertà di osare gli impieghi più trasgressivi, azzardati, inventivi, assumendosi magari il rischio di catastrofi espressive. Le lezioni, però, erano anche passeggiate panoramiche, punteggiate di aforismi fulminei, di narrazioni esilaranti, oltre i luoghi comuni e le gabbie ideologiche. Due ore di meraviglia, nel senso etimologico di ammirazione, sorpresa, stupore, partecipazione emotiva. […]

 

 A Peppo di Maurizio Cucchi

Amabile e sapiente
Mi aveva sorriso aperto
Mi aveva trasmesso quiete
Certezza e soprattutto idea
Di grande rispetto per la parola.
Un esempio impeccabile che manca
In questo mare d’enfasi e immondizia.
Rileggo l’arte della fuga
I non illustri
Vorrei vederti un po’, guardare
Il mondo insieme, ridere forte
Come quella volta sulle montagne
Russe … Ma devo accontentarmi
Di un saluto a distanza
E del conforto della mia memoria.
 
Lettura e libertà
di Ferruccio de Bortoli

[…] Sono particolarmente affezionato a un libretto piccolissimo, una trentina di pagine, dedicato all’arte del leggere, Leggere (Lucini, 2004). In un periodo in cui si legge spesso di fretta, abbiamo perso la bellezza e il gusto della lettura, e quelle poche righe di Pontiggia ci restituiscono invece tutto il piacere di un’abitudine straordinaria. Leggere nel silenzio è ormai una rarità; entrare nelle pagine diventando un corpo unico con l’opera che abbiamo scelto, senza essere continuamente interrotti, è una delle avventure più entusiasmanti che ci possa essere. Questo libretto insegna a leggere con attenzione, con costanza, nel silenzio e a fare un esercizio che Peppo suggeriva, quello di leggere ad alta voce, per cementare le emozioni che la lettura suscita. Il libretto si sofferma anche sul rapporto tra lettura e libertà. Pontiggia scriveva: «Dobbiamo difendere la lettura come esperienza che non coltiva l’ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità, della durata. Una lettura concentrata, amante degli indugi, dei ritorni su di sé, aperta più che alle scorciatoie, ai cambiamenti di andatura che assecondano i ritmi alterni della mente». […]

 

 

 

 

 

 

 

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