Lino Angiuli, la poesia nel territorio dei pensieri forti

copertina l appello nella mano art PacilioSin dall’infanzia abbiamo legami con l’ambiente che ci circonda e, grazie al nostro contatto con esso, apprendiamo fastidi/dolori o esperienze gioiose/felici costruendo, con il nostro corpo, un comportamento dialogante con noi stessi e con il resto del mondo. Il paradigma distintivo, cioè l’orientamento che mettiamo nei nostri rapporti con il cosmo, ci permette di giudicare le cose, di prendere una certa posizione rispetto alle innumerevoli interpretazioni con cui, sicuramente, facciamo i conti ogni giorno e di avere certezze sufficienti per decidere, fare e ragionare anche su e dentro noi stessi.  Ne L’appello della mano Nino Aragno Editore, 2010 – Lino Angiuli identifica la realtà esterna/interna, pur conoscendone la precarietà e l’indefinitezza, rispondendo a una necessità di certezze. Il bisogno dell’autore, quindi, è decidere il proprio percorso vitale come definito attraverso la presa di posizione adottata che, inevitabilmente, ne esclude un’altra. In questo volume di poesie il paradigma distintivo è un paradigma forte perché sa dominare la scena esistenziale che troppo spesso è confusionaria, debole, ambigua. Il linguaggio poetico si sbarazza dei pregiudizi semantici per entrare, con un susseguirsi di verità possibili, nei concetti dell’infinitezza e dell’instabilità. L’essere umano, figura filosofica empirica, perché in continuo movimento nella vita, sembra voglia attraversare una zona d’ombra fatta di moralità e verità, di atmosfere sfaccettate e sfuggenti lasciandosi coinvolgere, molto spesso, da resistenze di disimpegnata ironia. Il poeta manomette l’agire umano e la sua vulnerabilità attraverso una definizione del mondo della coscienza che non viene dichiarato esclusivamente in modo verbale, ma viene segnalato da una comunicazione fatta dal corpo/mente/spirito. L’indistinto diventa la modalità esecutiva della metafora reale che delimita stabilità effimere con gli oggetti. Nulla si può quantizzare: l’attenzione di Angiuli spezza il ritmo del coinvolgimento distintivo (es. ‘adesso mi trovo qui e non altrove e ci credo che sono qui perché voglio coinvolgermi in questo contesto reale’). In verità il corpo/mano conferma la riducibilità dell’essere adesso, mentre il corpo/mente sa che può essere ovunque, dappertutto e in nessun posto. Psicologia, fisica, poesia non segmentano il reale epocale perché tendono a strutturare un mondo socio-simbolico dentro ciascuno di noi alternando la rinuncia della certezza all’adattamento dell’effimero. Il dire diventa pervaso da spiegazioni spirituali-filosofiche-antropologiche collaudate nel tempo racchiuso da giorni/sezioni che si adeguano all’impatto con l’imprevedibilità sensata, consapevole. La poesia di Angiuli cerca di superare la misura logica tra etica ed estetica: lo strumento è il linguaggio lirico a volte serio e a volte scherzoso, che scandalizza la moralità/verità scientifica. L’autore avverte con profonda sensibilità il divenire delle situazioni, l’evoluzione e la fine spostandosi da luoghi sociali a contesti intimi, affiancando il nostalgico esaurimento del sé dato e indiscutibile. La morte ci addestra alla convivenza con la caducità della vita: essa ritorna come un riverbero insicuro, drammatico, contraddittorio, ma ogni volta può essere nuovamente giocabile.

 

Affacciarsi come lumache incoraggiate dalla pioggia
a rovistare tra le promesse di un’arietta carezzosa
in cerca di ciò che saremo nel day del giudizio
barba e capelli lucidati a nuovo con lo shampoo
ci guarderemo in faccia senza se e senza ma
e finalmente ci potremo stringere le mani invece
adesso c’è da stringere i denti per fare le comparse
infilzate dalla nebbia che nella nebbia vanno verso
un copione il cui finale non lo sa nessuno anche
se tutti facciamo finta di sapere la parte a memoria
ci muoviamo come se credessimo a ciò che facciamo
ci crediamo come se facessimo ciò che muoviamo
inseguendo il bagliore dell’ultimora appena stampata
o dell’ultimo flash che ci ritrae lontanissimi da noi
con la testa girata dal lato sbagliato ragione per cui
è facile prendere assi per figure lucciole per lanterne
allora meglio tornare al credo della braccia conserte
in modo tale da poter diventare tutto orecchi come
uno che non ha più bisogno di dire sempre ‘io’
uno che ha il coraggio di scrivere semplicemente
a casazza andai a te pensai e questa poesia ti portai.

  

lino angiuli x art PACILIO Lino Angiuli (1946) è nato e vive in provincia di Bari, dove ha diretto per la Regione Puglia un Centro di servizi culturali. Collaboratore della RAI, di periodici e quotidiani, ha fondato e diretto alcune riviste letterarie, tra cui, attualmente, il semestrale «incroci». Ha pubblicato numerosi libri in lingua italiana e dialettale. Ricordiamo, tra gli ultimi, Catechismo (1998) e Daddò daddà (2000), Un giorno l’altro (Aragno, 2005).

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