“Lo scrittore deve essere osservatore consapevole di ciò che lo circonda”

foto paolo agrati

Parola d’Autore

È la distanza, il tema. La distanza intesa come spazio tra noi e il resto delle cose. Una distanza che ci definisce, che ci chiama per nome, che ci dice chi siamo. A volte con confini sbiaditi, fumosi, inafferrabili. Ho scritto “Nessuno ripara la rotta” costruendo un percorso di parole e poesie come se fosse un viaggio, camminando per strade che sono diventate capitoli, incontrando luoghi, persone, cose. Un viaggio dove non c’è nulla di riparabile, non c’è nemmeno un luogo dove trovare conforto, riparo. Perché ogni azione, ogni accadimento è parte di un percorso consapevole di essere composto da costruzione e da distruzione. Le macerie, le rotture, i rimpianti. Ogni cosa è parte integrante della strada che porta ciascuno ad essere ciò che è. Ogni cosa è preziosa per dirci chi siamo. È costituzione e sviluppo della rotta intrapresa. Non è un caso dunque che questo libro offra una soluzione di continuità con la mia prima raccolta poetica: “Quando l’estate crepa” che proponeva anch’essa seppur con un differente registro stilistico, il tema della rottura; della morte di un amore. Ma nonostante le distanze, le spaccature con tutto ciò che la circonda, la mia poesia tende a tessere una cucitura, a ricostituire gli strappi con l’esterno, a proporsi nuda, senza vergogne o freni. Questo attraverso una particolare attenzione per l’oralità, per la lettura pubblica. Ci sono poesie che vanno lette in solitudine, gustate in silenzio, piante, consumate con gesti intimi, personali. Ce ne sono altre che vibrano, fremono tramite l’eco della lettura condivisa; perché propongono temi provocatori, perché sfruttano l’intonazione, si impreziosiscono con la voce, la musicalità, la coralità. Perché si appoggiano a linguaggi più comuni come per esempio l’ironia; rinunciano ad alcune formalità sia tematiche che stilistiche a favore dell’immediatezza. Un’immediatezza che spesso viene confusa, interpretata come carenza; come se l’accessibilità di un testo sia da considerare una forma di povertà. È su questi binari dunque che sono alla ricerca di una strada espressiva, sperimentando il linguaggio nella piazza, nel tentativo di ricucire un rapporto pubblico che ha sempre contraddistinto la poesia prima che diventasse affare per pochi. Associando la parola spettacolo alla parola lettura, con la ferma intenzione di non trasformare questo abbinamento in una sonora bestemmia. D’altronde il freno maggiore che si incontra nel modo di fare poesia al giorno d’oggi è proprio l’incapacità di chi scrive o legge in pubblico, di riuscire a rivolgersi all’esterno, al fuori. Di non essere in grado di aprire una finestra, creare un canale, una condivisione emotiva. E questa contraddizione in termini non permette al poeta di essere testimone di una modernità che fonda le sue radici principalmente nella comunicazione, nello scambio; seppure spesso miserabile, frenetico, di bassa qualità. Questa penso sia una sfida che uno scrittore debba porsi oggi ma che in realtà si è sempre posto; essere osservatore consapevole di ciò che lo circonda, riuscire a individuare un dire comune e trasformarlo in un coro nel cui eco si ritrovano accordate una e più voci. Non lasciare ad altri questo compito, permettendo che il coro sia miserabile, frenetico, di bassa qualità.

 

 

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