Lorenza cucina ad ogni ora. Il suo viso si arrossa e brucia. Ha una tavola apparecchiata per due, un marito che non la guarda. Lei depone piatti colmi di verdure pastellate e creme di uova gialle, mandorle e cannella, basilico e zafferano, rosmarino e carni rosolate nel burro dorato, menta e salvia croccante. In estate al mattino frigge melanzane e cuoce pomodori piccoli e rotondi nel profumo della campagna e nel cinguettio degli uccelli appena svegli. Lorenza ama un uomo che non la sa amare e lei cucina per lui. Lo pensa mentre guarda l’olio verde e impasta farine preziose. Lui vive lontano, lui scompare, lui non vuole esistere per lei. Ogni pomeriggio Lorenza guarda il tramonto e immagina che lui lo stia guardando nello stesso istante e si sente serena. Poi mangia un biscotto granellato di mandorle e il suo labbro si copre di zucchero. La sera la sua vita si divide, il sonno non arriva, le lenzuola non la riscaldano. Allora si stringe il cuscino al ventre e attende che venga il Natale per approntare una cena sontuosa. Solo in quel giorno può dimenticare, accendendo il fuoco sotto le pentole, mescolando lacrime e tortelli, preparando torri di panna da demolire finché tutto finisce e si consuma nel brillio della notte, nel disordine delle ore, nell’amore che non può arrivare. Lorenza si sdraia con una preghiera a metà e col cuore che non può essere intero mai. Indossa una camicia da notte macchiata di marmellata, con chicchi di uva passa appiccicati e briciole sparse. E poi dorme, esausta. E non sogna. E non vive. E tutto finisce, o così lei crede, piano. Molto piano.
Opera di Albert Marquet