Lorenzo Caschetta, “Un fuoco paziente”, scrittura raffinata e “gravità ponderata”.

Quattro raccolte di poesie con altrettante prefazioni firmate da Maurizio Cucchi: non è cosa da poco nel panorama editoriale italiano. 2005, Carta annonaria, 2013, Convalescenze, 2017, Antelucana e, infine, Un fuoco paziente, edita da Algra Editore a marzo 2021. Lorenzo Caschetta, modenese di adozione, lucano, ci tiene a ricordare menzionando subito dopo Rocco Scotellaro, quasi viaggiassero assieme Scotellaro e le sue origini, tanto da tenerli assieme anche nel libro e a breve distanza, Melfi in copertina con Porta Venosina e Scotellaro in esergo. E ancora aggiunge che gli anni dispari gli portano bene, senza pensare che quella stessa parola, bene, ha un suono molto simile alla sua scrittura: quello di una gravità ponderata, in cui le consonanti labiali hanno un ruolo predominante nel definire l’incedere dei versi. Un muoversi asciutto e sonoro, come una ‘p’ o una ‘b’ che spesso compaiono a inizio parola, fermandosi a un passo dallo svelare del tutto le immagini.
Maurizio Cucchi lo definisce un poeta appartato, anche qui con una doppia labiale e una dentale, trattenuta come la poesia di Lorenzo Caschetta, che resta in tasca o tra i denti in quel ‘porto in tasca pane comunitario/in bocca parole da scambiare./La tua riva non è lontana’ o ‘una parola affiora in bocca/distante quanto una luce di casa/un verso che non ricorda per intero’.
Ma Fuoco paziente è anche una raccolta diversa dalle precedenti, perché pur calibrando dall’alto ogni vocabolo e appoggiandolo al suolo quasi in attesa di una risposta o di una caduta, come si sistemano i pesi su una stadera, con una leva centrale e due bracci diseguali, avendo cura della scala graduale e dell’equilibrio, fisico, questa volta Caschetta lascia intravedere una città sullo sfondo. Ci sono sagome che si muovono alla fermata dell’autobus, messaggi in attesa, la virtualità anche, che perde di consistenza in stanze troppo affollate e suona lontana, distante. E un’eco sempre presente, il ‘crepitio di un roveto ardente’, un’obiezione sollevata, una bestemmia, una sigaretta, canzoni alla radio e braccia conserte. La parola commozione e quel ‘se mi guardi non sono che un passante/innocuo lungo la cintura/che potrebbe scivolare in terra al fuoco/di una pallottola vagante’. E poesie che vengono presentate graficamente con accapo a volte diseguali, il che è un’eccezione considerata l’estrema regolarità grafica delle raccolte precedenti, e titoli che a volte ci sono e a volte no e versi isolati, come le luci su una strada.

 

 

 

Porta Venosina

La commozione stretta in un abbraccio
varco aperto nella distanza
tutto il giorno prezioso nell’aria.
Sciolgo i pensieri cupi, scaldo le ossa.
Qui tutto è più nitido, il cielo alto.
Mani alla pietra ruvida carezza
mi trovo a chiamarti a mezza voce
“aspettami alla Porta Venosina”.

 

L’estraneo

Sempre in dovere di giustificarmi
le mani, gli sguardi, la provenienza.
Nella stanza affollata di un uomo nudo
un messaggio di troppo a una donna.

Che mi affibbino un soprannome nuovo.

Non una fiamma, niente di preciso
eterna vigilia di un viso
non pago dei propri sguardi e si sé,
un forse declinato all’infinito.

Mi appendo a cento finestre virtuali
e mi manca il modo.

Le parole si rapprendono in bocca
ai saluti sbrigativi e fatui
alle faccine emozionali.
In fondo non mi rispondi davvero
non c’è calore di fiamma né di fiato
come un peccato diluito nell’uso comune.

 

Scontro verbale in ufficio

Fra l’uomo dal cuore deserto
e l’uomo che ha vinto un tumore
parole di punta e di taglio.

Qualcuno prova a suturare l’aria
ma questo non è vento che si estingua
o cicatrizzi nel gelo seguente.

Per non appartenergli.

Il colletto della camicia mangiato dal tempo
stracci di pensiero dietro la sigaretta
vorresti avere ora la tua parte,
potrebbe non essere così cospicua
più tardi, come si dice.
Intanto vedi come si muove fra noi:
vi compra con i giornali, con il caffè
gesti mirati a farvi solidali.

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