inediti

La scrofa non può muoversi, non ha mai potuto muoversi davvero; a fatica riesce a sollevarsi, per poco, poi ricade sopra i suoi stessi escrementi. Non li può vedere, ma sente gli altri tutt’intorno a lei, irraggiungibili, eppure la loro sofferenza, la loro apatia, la loro smania la pressano da ogni parte nello spazio esiguo della gabbia di gestazione. Ha smesso da tempo di mordere le sbarre, ha compreso che le sbarre non si spezzano né si spezzeranno mai coi suoi morsi. Ha atteso che le piaghe sul muso guarissero, ha imparato quel che c’era da imparare. Ma c’è un altro dolore su cui lei non ha alcun potere, è il dolore che viene sempre con la paura, il dolore che viene con la femmina umana. La femmina umana non viene mai soltanto col corpo; porta con sé le cose del dolore: la lama con cui velocissima la incide, il bastone con cui la colpisce ripetutamente sulla schiena, e sempre quell’odore di rabbia e di piacere. Oggi, invece, la femmina umana viene col fuoco, mostra i denti mentre le brucia i capezzoli con la fiamma, poi la picchia così forte da ammazzarla.

Ha lacerato l’utero!, così grida il dottore. Chi ha lacerato? Le loro manovre? La pinza con cui le hanno rotto le acque? È sangue quello che perde? Fermate l’emorragia, Sacche di O positivo, Muoversi! E di colpo si muove tutto, tutto vortica, tutto è in affanno, tutto ha perso il centro, si frammenta, si disperde, deflagra dalle sue gambe spalancate, un dolore diverso le ha azzannato il ventre, lacerato!, e la bambina, non è mai stata quieta dentro di lei, tutti quei mesi stesa a letto, non è servito a niente, e ora, chi ha lacerato?, il sangue esce ma il sangue sta anche entrando, ce la faranno, lei ce la farà se solo l’aiutano, ma la bambina non è mai stata quieta, chi ha lacerato?, lei lo sa, la bambina ha lacerato, con la testa e le mani, l’ha strappata da dentro, non è mai stata quieta.

Che cosa fruttifica?, si chiede la bambina nel suo primo respiro.
Che cosa fruttifica?, si chiede la donna nel suo ultimo respiro.
Le sbarre hanno ceduto al mio morso, pensa la bambina.
Portavo le cose del dolore, pensa la donna.

 

*

Dalla raccolta inedita Unità stratigrafiche
(sezione Animal-Animot-Animort)

quando il gatto di Jacques Derrida fu sul punto di morire
guardò quell’uomo che gli era capitato in sorte
e percepì in lui un disagio ben diverso
da quello che fiutava se Jacques si ritrovava
nudo al suo cospetto

adesso sotto l’ondivago ciuffo bianco
Jacques non s’interrogava più
sulla natura dello sguardo del suo gatto
ma si spandeva forte in paura e disorientamento

era dolore nel dolore di un altro
che finalmente sentiva di non essere più l’Altro

Jacques Derrida, L’animal que donc je suis.

 

*

 

                                               “Is this what you want from me? Am I doing this right?”
                                                                                                           Gladys Haunton

 

 

cosmodromo di Baikonur, 3 novembre 1957, ore 02.00
parlanti, separati dall’oblò della capsula spaziale Sputnik 2: il cane Laika; Oleg Gazenko
(“dio” umano di Laika e, in quanto tale, dotato narrativamente dell’onniscienza)

— un ultimo cane e poi il primo uomo, anche grazie a te
— se è questo ciò che vuoi da me
— Laika, Mushka, Albina, Lisichka… vi do un nome, ora siete mortali, perché solo chi è chiamato diventa colui che un giorno non potrà più rispondere
— se è questo ciò che vuoi da me
— non è una catena, Laika, non sono lacci normali, ma l’elastico della fionda che ti lancerà lassù, nella gloria di francobolli e statue di bronzo
— se è questo ciò che vuoi da me
— aprirai la strada verso l’alto, come quando io aprivo sentieri in montagna
— se è questo ciò che vuoi da me
.
.
— Smelyj, invece, riuscì a scappare, sai? e Zhul’ka verrà a vivere in famiglia
.
.
.
— non servirà a niente, non c’è niente che io possa fare
— ma è questo ciò che vuoi da me

Gladys Haunton, Laika’s Window, http://turnrow.ulm.edu/view.php?i=100&setcat=prose.

 

*

come si porta il chiaro
nel buio della cellula?
facendo un topo-lucciola
un ibrido onco-faro
luciferoditore
mitosi nel fulgore

come si porta il chiaro
nel buio d’animale?
illuminando a giorno
la proliferazione
cellulare

e cosa sogna l’ibrido
nel buio della gabbia?
cunicoli recessi
nascondigli a mezz’aria
o raduni fosforici
tra le piante di Uji?

 

Il topo transgenico MITO-LUC è stato ottenuto legando il gene della luciferasi, una proteina prodotta dalle lucciole, a un frammento di DNA del topo, ricavando così bioluminescenza dalle cellule dell’animale.

 

*

 

essere due corpi
uno che abbraccia l’altro che muore

essere due corpi
uno che affonda i capelli nel fiato dell’altro
che batte la terra che piange:
bevete la morte
è schiuma versata dal rhyton
della mia testa

eppure lei si è gettata
come strame
e ripara
come strame
ripara

 

Nel 2015, a Malaga, Virginia Ruiz irrompe nell’arena e abbraccia il toro a cui sta per essere inferto il colpo mortale.

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