Roberta Dapunt, “la poesia deve ascoltare prima ancora di essere ascoltata”.

 «In questa carne ho radicato gli anni, li ho educati./ In questo corpo la materia dei miei pensieri/ e le parole e le domande./ Su questa pelle l’ambiente delle loro risposte,/ fino a contrarla, le vocali e le consonanti./ Ho consegnato ad ogni osso della mia struttura/ una lettera/ e da lí le parole, una ad una le ho nutrite e ho appreso,/ mentre crescevo la carne si faceva verbo.// Composte membra, ordinate si sono gonfiate,/ dilatate le loro cavità e da lí io ho ascoltato,/ ed era voce del mio corpo. Che mi chiamava/ e io sorda alle sue espressioni, finché/ ho appoggiato le labbra alla loro imboccatura,/ organica relazione, ho forgiato la lingua/ ed essa ha compreso il gusto/ e cosí finalmente io le ho parlato.». Versi di Roberta Dapunt schiudono “Sincope”, nuova fulgida raccolta, Giulio Einaudi Editore, che, nella ferma (e condivisa) consapevolezza che la poesia è «sutura», ricerca di un «fardello d’incanto», incarna la «capitolazione dello spirito».

“Lontana sono dal mondo, ciò che vedo, leggo,/ è tempo scorso, minuti finiti. Che sempre,/ fuori così tanto succede fino al racconto/ e ogni volta io sono stata assente.”, con i suoi versi per chiedere: la poesia, necessita più di ascoltare o di essere ascoltata?

La poesia deve ascoltare prima ancora di essere ascoltata. Nel senso che per essere scritta deve udire con attenzione, così come deve guardare con attenzione. La sua lingua parte da questo, dal considerare con cura ciò che ha di fronte. Osservare con attenzione, rimanere in silenzio per sentire meglio, così da poter entrare in profondità nelle cose, nel tempo e rivelarne i particolari per formularli in versi.

Qual è l’incarico (odierno) della poesia?

Se con incarico lei intende l’atto di affidare alla poesia una cura particolare, una funzione, credo che il tempo non abbia cambiato questo compito. La poesia è una comunicazione, dà la possibilità a chi la scrive di rendere partecipe chi l’accoglie, di un contenuto mentale e spirituale.

La funzione riparatrice della poesia è viva?

Personalmente non credo nella poesia come a una terapia, ma anche penso, che il poeta non vada incontro a un atto riparatorio attraverso la propria poesia. Può succedere a chi la incontra, ascoltandola o leggendola, di incontrare un ricetto, uno spazio in cui un sentimento è o può essere contenuto.

Quando una poesia può dirsi compiuta?

Per ciò che riguarda la mia esperienza, sento una poesia compiersi, quando nella mia lettura riesce a soddisfare il tentativo di scrittura avvenuto.

Giungere al termine di uno spazio assegnato a un foglio, a un quaderno, lì la poesia si compie in poche righe, a volte in troppe parole. Mentre nello spirito rimarrà uno spazio che non ha limiti e non si sposterà da ciò che è destinato a essere incompiuto.

La forma quanto incide sull’essenzialità della parola poetica? Quest’ultima per preservare la propria efficacia comunicativa deve “esprimersi” usando il linguaggio del tempo in cui nasce e vive? 

Perché un’espressione possa succedere, ci vuole una persona, un luogo, un tempo. Questo vale anche per la poesia. Io cerco di esprimermi in ciò che conosco bene, perché mi succede intorno e da vicino. So per certo che in ogni poesia sono io la prima e l’ultima istanza. Il tempo poi raccoglie il rendiconto di un linguaggio che inevitabilmente da corpo a un discorso più ampio.

Quale (e per quali ragioni) poeta e i relativi versi non dovremmo mai dimenticare?

Dimenticare è verbo che contiene in sé un tempo di memoria avvenuto. Dunque, preferisco poter dire, che dovremmo ricordare sempre. Tenere nella mente e nel cuore un poeta imparando a memoria alcuni suoi versi, è un atto che riconosce l’attenzione e ancora di più la considerazione di ciò che dimostriamo di essere nella nostra storia, intendo la storia dell’essere umano, nel suo passato, presente e futuro. La poesia ha la qualità di essere il suo riverbero, anche e soprattutto nei nostri silenzi.

Riporterebbe una poesia o uno stralcio di testo nel quale all’occorrenza ama rifugiarsi?

Non mi rifugio in un testo poetico, molti i versi invece ai quali ho assegnato uno spazio nella mia mente. Fare propria una poesia, è un atto generoso, che non solo ci arricchisce linguisticamente, ma ci lascia dentro, nel cuore e nella mente uno spazio particolare, che in misura diversa ognuno, prima o poi nella vita, rivisiteremo, ricordando la poesia intera, alcuni versi, o anche solo poche parole. Di certo rimarrà il momento di quando l’abbiamo fatta nostra.

 

ph Gustav Willeit

Infine, per salutare i nostri lettori, le chiedo di scegliere tre poesie dal suo “Sincope”.     

 

sincope I

Lì in fondo ad ogni ultimo verso
improvvisa è la perdita di coscienza.
Lettore, io emetto suoni su tempi deboli,
che siano essi di giorni riposti o demenza,
così l’alcol, così l’amore e la morte.
Sono queste le mie verità,
lasciano le visioni accese persino al gelo notturno.
Che nella notte, io le rumino.
ma nel giorno, io di loro mi alimento.

De Anima

nel profilo della carne mi presento,
terra promessa avuta in dono dalla natura
che dal seno su verso il collo la mia partitura
ha note incise tra i capillari e le arterie profonde, ascolta
questa è musica del mio tempo, da quando il mio respiro
ha dato inizio al componimento della mia esistenza.

Qui nel profilo della mia carne ora il tuo guardare
è su di me lavoro d’incavo, vocabolario
dei tuoi pensieri, che mi graffia la fronte,
lingua efficace delle profondità non dette
che mi penetra la natura e oltre. E non ti accorgi
che stai raccogliendo il tuo sguardo sulla mia anima,
mentre io dal profilo di questa carne
vedo te, inesorabile nel tuo elemento materiale.

delle solitudini I

Eppure lo vedo, resistente rimanermi accanto,
il delirio di personalità è una catena di montaggio
tra la condizione di chi è solo e il bisogno di comunicazione.
È voce persa la mia, che si trasforma in emozione
anche quando non è richiesta.

Curato ciò che appare e lì dietro le incisioni nel volto,
nell’universo dei discorsi e delle parole scritte
la solitudine non è isolamento, non è isolamento la solitudine,
che potrà anche essere espansione del verso
ma rimane capitolazione dello spirito.

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