“Sul margine” di Maria Allo, poesia custode dell’inespresso.

«Vedi così agisce la luce/ eppure in un punto convergente/ nulla accadrà mai invano», versi di Maria Allo (nella foto di Antonio La Rosa) scelti per introdurre “Sul margine”, silloge edita da “Interno Libri”. La poetessa, con l’infinito negli occhi, conduce dentro l’orto delle attese, assottiglia le distanze nutrendo la parola, «custode inerme/ di memoria e pietà», agisce come l’acqua che «si scava la strada/ attraverso le pietre e quando/ è intrappolata si apre un nuovo varco», resiste «come la ginestra sotto/ il peso franoso della lava», ricerca il chiarore, (tema ricorrente, polisemantico), negli abissi del pensiero, «un’alba di senso» possibile, nell’amore, «un unico respiro atemporale». Cardine di questa scrittura esistenziale, d’ampliamento e d’ascesa, la condizione di insularità “nel quadro di una utopia di paesaggio in cui l’uomo, più che al centro della natura, è parte integrante della sua physis”.

Qual è stata (dalle tue parole) la scintilla che ha portato il tuo “Sul margine”?

“Sul margine” si è andato costruendo con tenace fedeltà all’essenza delle cose, lontano dall’impatto diretto del vissuto al fine di favorire la disponibilità alla ricerca, a sperimentare attraverso un percorso aperto e in cammino senza sosta, anche il rischio di perdersi. Non c’è protezione. Sul margine va altrove (chi scrive è uno straniero, ignaro di quanto accadrà) e imprevedibilmente, inseguendo suoni inusuali che non appartengono più a chi scrive ma a ciò che la poesia finirà per dire, approda a un panorama dai confini aperti. Il titolo indica infatti una molteplice modalità di sguardo: al margine della parola come disincanto per una ‘poesia’ che rimane inascoltata e sul cui senso «oggi» è necessario «rimeditare», ma soprattutto risponde come i sinonimi “bordo”, “limite”, “soglia”, a quello opposto di “attraversamento”, l’uno non avrebbe senso logico senza l’altro. Tangibile nel nucleo del libro è la condizione di insularità nel quadro di una utopia di paesaggio in cui l’uomo, più che al centro della natura, è parte integrante della sua physis.

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Il linguaggio risponde a una reale esigenza di dare corpo, voce e sostanza a una verità sfuggente, ambigua, illuminata solo per brevi attimi, e che sembra negarsi nella sua interezza, perciò i testi di questa raccolta nascono in qualche modo dalla sintesi di due realtà antitetiche: da una parte il paziente lavoro di sollecitazione operato dallo studio e dall’altra l’ispirazione( ) che intesse una rete di relazioni fra le parole richiamando l’esigenza di dare un senso unitario alla molteplicità dell’io e del reale e comunque il desiderio di relazione con ciò che nella sua essenza è in costante metamorfosi. La parola è e rimane il centro attorno al quale ruota l’intera mia ricerca poetica e mette a fuoco la necessità di coniugare insieme significante e significato, come giustamente rileva Franca Alaimo nella prefazione. Scrivere vuol dire rileggersi, riscriversi, cancellare e rifare.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

La poesia è custode dell’inespresso, è un venire a patti con il silenzio. “Al di là della parola riluce il silenzio” dice Franz Rosenzweig e il silenzio genera ogni volta parole nuove, nuove visioni. Il poeta cerca le parole con cui sicuramente fallirà nel dire ciò che vorrebbe dire. In questa consapevolezza di scacco ma non di rinuncia comincia a nascere la poesia, ma respira sospesa nelle pieghe e nei vuoti, fra suono e senso e il suo potere, come dice Mandel’stam,è quello di far respirare l’incomprensibile.
Credo che la forza della poesia consista nell’aspirazione a ritrovare un rapporto di immediatezza con ciò che appare invalicabile o inesprimibile, ma è un compito che non può mai essere concluso.

La poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta? Può colmare l’inascoltato?

Sul margine è disseminato, in una trama di significati e di significanti, di parole chiave che costruiscono una riflessione sulla condizione umana: è il genere umano che vive la condizione della solitudine. L’opera, dice Maurice Blanchot, non è né compiuta né incompiuta: essa è la solitudine dell’opera, ha come primo sfondo quest’assenza di esigenza che non permette mai di dirla né compiuta né incompiuta, l’opera è solitaria: ciò non significa che essa rimanga incomunicabile. Alla scrittura è affidato il compito di ricompaginare “la solitudine” in una potenzialità espressiva che porti a comprendere ciò che è fonte di dolore per un ascolto della parte oscura di ognuno. Sul margine si muove nello spazio vuoto che chiede al respiro della poesia accoglienza.

E, ancora, con uno dei tuoi versi, «ma le parole flettono ogni direzione», ti chiedo: le parole bastano alla poesia?

Ti ringrazio per aver citato uno dei versi più significativi, tratto da “Sul margine”. Credo che la risposta alla tua domanda stia in questo testo del libro: “…Rompo gli argini per vorticare/ nell’insonnia affilata delle mie/migrazioni finché una forma/ del vento nei capelli leggera/possa reggere le parole con ardore” (p.44). Diciamolo: ho cercato con forza in tutti questi anni, quel punto ancora ignoto: “Con dita sparse si scava dappertutto/ nella passione del bianco/ anche se il cielo tra fogli/ cammina spesso sul ciglio/ Così per quanto non salvino in ogni foglio le parole crescono.” (p.44) Le parole flettono ogni direzione in un viaggio senza approdo perché la poesia non cerca significazioni, ma senso,” il senso che c’è a vivere “dice Bonnefoy. Questo non significa ripiegamento della propria vita interiore, perché la vita del poeta è dell’umanità, cui si sente chiamato
a dare voce ed esprimere la compassione e la condivisione del dolore verso ogni creatura che soffre, uomo o animale che sia.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica? E il “suono”?

La forma, a mio parere, non fa perdere di vista la verità della poesia, ma qualunque significante faccia corpo con un’immagine, un senso flessibile della forma, lascia affiorare una pluralità di significati che traducono in vibrazione le zone di mistero dei concetti. Colori, ritmo, forme e contenuti insomma plasmano la materia sonora dei versi creando un legame profondo tra poeta e lettore, chiamato a condividere un’esperienza del sentire non più solo del poeta. Esistono forme nelle quali la parola poetica convive con l’immagine e non è l’unico mezzo espressivo della comunicazione poetica, si pensi ai Calligrammi di Apollinaire o Il palombaro di Govoni che libera il linguaggio dai nessi logico-sintattici, per attivare altri piani psichici e di significato, si pensi alla produzione dei poetry slam o all’uso che fa Sanguineti del latino medioevale simile alle forme geometriche della pittura di Kandiskj. L’obiettivo finale della poesia è quello di trasformare il segno in un’entità autosignificante, che crei da sé il proprio significato. Straniera giunge a noi la parola che forma gli umani, afferma Hölderlin. L’opera poetica accoglie il non-senso- non l’insignificanza.

Immagina di dover dare delle “istruzioni” essenziali per scrivere una poesia, quali daresti?

Non avrei istruzioni da dare. Semplicemente imparare l’ascolto della poesia perché dalle parole intessute di tutte le percezioni può affiorare qualcosa di singolare e di inatteso, solo in parte razionale presente nella poesia, aprire una breccia in chi ascolta e interrogarsi in proposito, senza dimenticare che un udire voci piene di silenzi e di suoni e riconiarle è compito di chi è sempre in ascolto di quella cosa chiamata poesia, come dice Jurij Ortèn.

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una poesia dal tuo libro “Sul margine” – (riportala gentilmente) – e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Itaca perduta

le tempie del cielo come rogo
su fatti di ogni giorno

Ora che il mondo ci sfugge
la memoria muta in bellezza
il senso di Itaca perduta
Ciò che si consuma ha la sua luce
al riparo di un albero e al respiro
sospeso al varco del pensare
Ora che il mondo ci sfugge
l’amore restituisce
il senso dei nessi tra le cose
con l’armonia che si riverbera
sui nostri sguardi e sul futuro
Non avremo corpi né confini
solo innumerevole esistenza
scorrerà nel vento
Sarà un unico respiro atemporale
a farci adempimento e condivisione

Sul margine (Interno Libri Edizioni, 2023)

Da “Resistenza” (come recita il titolo dell’ultima sezione) costituiscono una poetica della resilienza nel senso quasi etimologico del piegarsi del silenzio gelosamente servato all’urgenza improvvisa della parola e alla fioritura violenta e dolorosa della linfa primaverile che aveva irrorato in sotto traccia questo testo-territorio dove ancora una volta il linguaggio poetico si fa casa dell’essere, e il senso della vita si manifesta nell’attimo infinitesimo della epifania collettiva riassunta nella poesia finale di quest’inesausta ricerca: “Ora che il mondo ci sfugge/ la memoria muta in bellezza / il senso di Itaca perduta.( Dalla recensione di Giuseppe Martella ,16 febbraio 2023 in Morel. Voci dall’ isola.

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 18.06.2023, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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