Tiziano Fratus, con “Agreste” riunisce le assonanze universali dell’esistenza.

«C’è un bosco che mi abita dentro,/ un silenzio cantato e interminabile,/ (…) sono un bosco che radica e sradica»; «fate di voi materia che cammina,/ ricominciate a conoscere la vita/ con la sapienza delle mani»; «l’uomo/ desidera le stelle, desidera i segreti nei taccuini di Dio». Versi emblematici, scelti per introdurre la lettura di “Agreste” nuovo libro di Tiziano Fratus, un “Silvario in versi & radici”, pubblicato da “‎Piano B”. Memoria, incanto, disincanto, istante, attesa, solitudine, immaginazione, mistero, trasformazione, compassione, silenzio, identificano pagine densissime, potremmo dire sinfoniche, nel segno di «un’assonanza che rimescola/ il punto di partenza e il punto di arrivo», nel sogno di «un orizzonte ricco di promesse».

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “agreste”?

Agreste è stato un pensiero, ma anche un approccio. Quel che è rurale ma anche boschivo, provinciale ma anche periferico, umano, umanissimo, ma anche arboreo, vegetale, animale, esistenziale. C’era un’unica parola che secondo me riuniva quasi tutto questo, ed è stata la parola “agreste”.

“C’è un bosco che mi abita dentro”, con i tuoi versi per chiedere: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Da quando ho deciso di costruire, parola dopo parola, opera dopo opera, la mia vita attraverso la scrittura, o anche attraverso la scrittura, come passione, anzitutto, e nel corso del tempo, anche come professione, o artigianato quotidiano, le parole mi hanno sempre divertito e incuriosito: le uso e talora le rinnovo, o le amplio, o le taglio, o le risistemo. Sono gli strumenti essenziali attorno alle quali ruota molto di quel che faccio e sento.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?
Non soltanto la poesia, Angela da Foligno diceva che parlare, usare le parole è un “devastare” l’esperienza mistica, lei si rivolgeva direttamente all’Altissimo, io, nel mio modesto abitare, al massimo mi confronto con qualche sindaco, alcuni assessori, qualche altro scrittore più celebre di me o alcuni lettori. Quindi non esagererei la profondità o la vastità di quel che dico e scrivo, poiché ce ne sono già abbastanza di autori e poeti che desiderano essere irraggiungibili. Io non so se questo sia un mio desiderio, certo alcune esperienze diventano difficili da trasferire, da comunicare grazie alle parole, certe intuizioni, le meditazioni… le qualità delle altre nature, ad esempio… si cerca di farlo, di dirlo, di qualificarlo ma molto resta inespresso.

“Un bosco che radica e sradica”: questo tuo verso mi sembra una perfetta definizione di poesia, mi dirai cosa ne pensi e/o mi dirai: qual è la tua attuale definizione di poesia?

Ho maturato l’idea che le definizioni siano fatte sempre per essere smontate e riscritte, donc non credo in una definizione universale e buona per tutti allo stesso modo di poesia.

“In silenzio di fronte al sole che diminuisce”: la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta? Può colmare l’inascoltato?

Prima del poeta per me esiste la persona, l’individuo. Se qualcosa aiuta la persona a star meglio allora è benefica, la storia della poesia o della letteratura mi affascinavano da giovane, quando era anche facile e forse urgente pensare che un giorno ne avrei fatto parte con quel che invento e scrivo. Oggi do per consegnato, per certo, che sono cose al di fuori totalmente di me e di quel che scrivo. E dunque la dimensione che mi preoccupa, e occupa, è quella che soggettivamente ritengo la migliore qualità per me possibile e raggiungibile. La verifica? La lettura davanti a persone estranee. Se le prendi e vedi che qualcosa resta loro allora è stato buono, altrimenti era una pura illusione. Non credo nell’opera assoluta incompresa che magari tra cento anni qualcuno sbandiererà quale vero capolavoro, mi pare che ce ne siano in giro troppi di megalomani con questi desiderata.

Domandi: “Le nostre sono parole-ponte o parole-sasso?”, domando: le parole bastano alla poesia?

Le parole, i silenzi, e le forme stesse della versificazione. La poesia è quel che scriviamo ma anche la nostra esistenza. Finché siamo al mondo, quantomeno.

“Tutto quello che è possibile volere è certo, io lo voglio”: cosa vuoi dalla poesia? E, ancora, ad oggi, cosa pensi la poesia abbia voluto da te e cosa pensi ti abbia dato?

Dalla poesia non voglio niente: quando desideri qualcosa da qualcuno o da qualcosa ne diventi dipendente, esigente, e alla fine si supera il bene proprio per abbracciare la nevrosi, la pretesa. È una forma di ricerca di significato e di linguaggio che cerca di grattare e di approfondire, talvolta ci riesce, o meglio, ci riesci, molto più spesso no.

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere (riportandole) 5 poesie dal tuo libro “agreste” e, nel contempo, ti invito portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che le ha viste nascere.

 

Selva itinerante

C’è un bosco che mi abita dentro,
un silenzio cantato e interminabile,
ruscelli che sgorgano e animali che
corrono: Io non so chi sono, ripete
la voce, Io non so chi sono… ma
sento che c’è questo mondo di fine
trama che abita un luogo senza confini,
qui, nel petto, nel cuore, nella mente,
popola le ore del sonno e nutre le ore
di pensiero, ecco perché quando ritorno
nel bosco reale mi viene voglia di urlare,
di amare come ama una madre che non
distingue un figlio da un altro figlio:
sono un bosco che cammina, sono
un bosco che radica e sradica

Gli alberi non invecchiano

Il tuono avverte le radici degli alberi:
siate pronti alla nuova fine del mondo.
Ma gli alberi sanno di non potersi fidare,
gli alberi imparano a fare presa tra i sassi,
ad allungarsi capovolti in una tenebra
shakespeariana senz’occhi, senza pensieri.
Gli alberi crescono ma non invecchiano,
restano bambini per sempre, non sanno
prendere sul serio le cose che capitano:
perché mai farsi seriosi, corrucciati,
perché mai non ridere delle montagne e
degli oceani, delle comete e degli inverni,
a che serve farsi saggi quando alla fine
tutto accade senza ragione, ora sei e poi
non sei più, io, tu, noi, tutti, siamo quel
che siamo, siamo quando sentiamo

Altro ritratto di madre

C’è una madre lì dentro che continua ad amare la vita.
Lo ricordi quando salivi in bicicletta e ti piaceva farti
ammirare dagli uomini dei paesi e della città, quegli occhi
che ispezionavano, che ti spiavano perché la bellezza
o esiste o non esiste, sei uno dei tanti centri del mondo,
un attrattore di sguardi e desideri, di baffi che si rizzano,
di mani che accarezzano l’aria in attesa forse di.
Cosa è accaduto a quella luminosità? Cosa è accaduto
a quella madre spensierata che portava il figlio sul sellino
sfrecciando come una volpe frettolosa lungo le strade?
Che cosa ha trasformato un sogno in una foto sbiadita?
Il tuo popolo oramai è senza terra, sradicato, perduto,
disegna sui muri il volto di una Madonna penitente

Il cestino di amarene

Le tue mani, colossali,
e il nostro paesaggio, carnale.
Le amarene scomparivano
nella tua bocca, come richiamate
da un filo, sentivo ancora
il tuo corpo caldo, sudato,
pronto a noi due, il cestino
quasi vuoto e gli ossi
sputati, qua e là. Se un pittore
ci avesse ritratto forse sarebbe
stato un Cézanne, ci pensi?
Appesi nostro malgrado
per sempre a una parete,
avvicinandosi i visitatori
avrebbero ricordato il sapore
dei frutti amarognoli in estate

Il cavallo

C’è un cavallo che mi fissa nel buio,
non capisco se a spaventarmi siano le tenebre
che porta cucite negli occhi, o se sia la luce
che di riflesso rimbalza dalle tenebre che
lo circondano, questa notte pesta che accomuna,
che blandisce, pronta come un insetto predatore
a divorarci, senza ragione, per puro istinto.
Ogni tanto si presenta col suo muso brunito,
non emette suoni ma è come se la mia mente
li conoscesse bene, come se fosse lì proprio
perché le mie mani sono pronte ad afferrare
le redini e a partire per un lungo viaggio,
o corto, una campagna vale l’altra quando
si tratta di uscire a cavallo per una cavalcata.
Ma tu non sei un lord inglese del Settecento,
queste non sono le dolci colline del Kent,
qua fuori c’è la rovinosa provincia italiana,
i capannoni dismessi, le torri spezzate,
un’umanità che ricorda quando la natura
era amica, materna, quasi una cartolina.
Chi è il tuo padrone, cavallo che mi vieni
a svegliare? Perché sei qui ai piedi del letto?
Sei tu a precipitare nei miei sogni o sono io,
inetto palombaro onirico, a precipitare nei tuoi?

*

Tiziano Fratus (Bergamo, 1975) cresce nei paesaggi della pianura padana e del Monferato, fin da bambino ammira la natura e coltiva la propria natura solitaria. Attraversando le foreste della California, incontra le sequoie e i pini millenari, primo seme di un percorso che lo porta a pellegrinare e a cucire i margini di una storia umana, arborea e spirituale e a coniare concetti quali Homo radix, Dendrosofia e Silva itinerans. Buddista agreste e nomade editoriale, in un quarto di secolo di attività, Fratus ha scritto per quotidiani e periodici – le rubriche Il cercatore d’alberi per La Stampa, Arbor maxima e La Dendroteca per Il Manifesto, Natura d’autore per La Verità, Con occhi di selva per La Repubblica – ed ha composto un vasto silvario compreso “tra la carta e la corteccia”, articolato in una quarantina di opere di poesia, saggistica, viaggio, narrativa e fotografia, pubblicate da editori di ampia diffusione e da marchi indipendenti; tra le sue opere si ricordano Alberi Millenari d’Italia (Gribaudo), Giona delle sequoie (Bompiani), Manuale del perfetto cercatore di alberi (Feltrinelli), L’Italia è un bosco (Laterza), Ogni albero è un poeta (Oscar Mondadori), Il bosco è un mondo (Einaudi), Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio (Aboca), Il libro delle foreste scolpite (Laterza), Sutra degli alberi (Piano B), I giganti silenziosi (Bompiani), Poesie creaturali (LDN), Manuale del giovane inventore di alberi e foreste (Gribaudo) e Agreste (Piano B). Conduce passeggiate e meditazioni tra gli alberi, ha ideato trasmissioni radiofoniche, collabora con Geo di Rai 3 e le sue fotografie sono oggetto di personali. La sua poesia è sostenuta dalla piattaforma europea Versopolis ed è stata tradotta in undici lingue e pubblicata in venti paesi. Vive nella campagna piemontese. Sito: Studiohomoradix.com

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 30.07.2023pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

 

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