David Hockney, “Rita Pynoos, 1-2 March”, 2014

rubrica, fuori mostra

Tre giorni per studiare l’anima, per fissare un’immagine, congelare il tempo e restituire il ritratto, eterno presente di se stessi, nella visione dell’altro ovvero l’artista, il genio creatore o più semplicemente il medium. Tre giorni per cogliere le sfaccettature, gli umori, l’essenza senza banalità né retorica: stessa location dallo sfondo assente, stessa poltrona accogliente, stesso stile e medesime tonalità di colore, campiture regolari, tinte forti e dirette.

Tre giorni come tempo massimo, quello di cui si serve David Hockney (Bradford 1937), ottantenne artista britannico, per le sue sessioni di posa che, distanti dalla pratica di opera su commissione a sconosciuti, interessano invece amici, conoscenti e familiari. Quello di Hockney, incisore, fotografo e scenografo oltre che pittore simbolo della Pop Art, è un repertorio prolifico di ritratti informali che danno luogo ad un personale genere, che è possibile vedere o riconoscere per la prima volta in Italia, a Venezia, alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro in una mostra dal titolo quanto mai esemplificativo “David Hockney. 82 ritratti e una natura morta”. La mostra, organizzata dalla Royal Academy of Arts di Londra e curata da Edith Devaney, è stata inaugurata il 24 Giugno e sarà visitabile fino al 22 Ottobre 2017, per essere poi presentata al Guggenheim Museum di Bilbao e fare tappa al Los Angeles County Museum of Art.

Ben 82 tele di ritratti di uomini e donne, le cui identità sono svelate da brevi cartigli che riportano un commento dell’autore, e una solitaria natura morta su panca che insolitamente rientra nelle selezione di immagini in esposizione, frutto degli ultimi due anni e mezzo di lavoro dell’artista. Una carrellata di sguardi e di impressioni, atteggiamenti e pose, che Hockney ha saputo rendere, pochi acrilici su tela, nella sostanziale immediatezza del gesto pittorico e nella predominanza di toni freddi ma con vividissime eccezioni. È un’apoteosi della pittura figurativa, un apprezzamento all’abilità tecnica, un esercizio per l’occhio. La bellezza di questa mostra risiede nella seduzione del ritratto e nell’esperienza introspettiva come prerogativa, sebbene quelli di Hockney non siano primi piani e la sua “lente di ingrandimento” non si concentri sui volti.

La conoscenza dell’altro è infatti un’empatia che passa anche attraverso i corpi e si trasmette con i gesti e con le pose, per cui osservare ognuno degli ottantadue personaggi dipinti significa avere un’osmosi con essi, è avventurarsi in un dedalo di storie confuse, carpire per ogni personaggio ritratto un prima, un durante, ed un dopo ed associarlo a qualcosa di consueto.  La chiave di lettura della mostra sta proprio nella reiterazione di ottantadue dipinti di simile fattura ma con soggetti diversi.

Ciò equivale ad un’esaltazione dell’esistenza tutta, è un prontuario di tipi umani, scomposizione dell’essere in molteplici realtà. Perché, in fondo, tutto si riduce al ritratto, all’immagine che noi stessi vogliamo proporre, diamo per scontata o cerchiamo di camuffare, enfatizzare e vendere per buona. Nella finzione del reale e nella realtà della pittura, che spesso coincidono, il pittore può scegliere di cogliere solo gli aspetti esteriori o di scavare più in profondità mostrandoci uno spaccato interiore del soggetto o, per meglio dire, la sua interpretazione dello spaccato interiore. Hockney non è di certo un artista iperrealista né lo si può definire un moralista ma il suo messaggio parla di interiorità ed arriva in ognuno dei ritratti che ci propone come continua rinascita dell’io, intangibili modi d’essere, e laddove anche una natura morta può essere presenza ingombrante di un ritratto dal volto assente.

Scomposizione della vita, possibilità… citando Pirandello nel suo celebre romanzo “Uno, nessuno e centomila”: «La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo».     

David Hockney, “John Baldessari, 13-16 December”, 2013
“Lord Jacob Rothschild, 5-6 February”, 2014
David Hockney, “Edith Devaney, 11th, 12th, 13th February 2016”

 

 

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