Viaggio al termine della notte. La guerra psicopatica.

Premessa

In una condizione di guerra diffusa con conseguenti quanto disastrose catastrofi umanitarie, prendo a prestito il titolo del capolavoro di Céline per dare forma a poche riflessioni che non so come cominceranno né dove condurranno, ammesso che esista una meta cui arrivare.

Ignoro dove finisca la notte né, se al suo termine, la troveremo ancora; la morte è un vizio inutile: scompare.

Ignoro allora se troveremo un sobborgo di Parigi dove curare i malati, se mai ne troveremo, perché ignoro se ci saranno malati e se avranno voglia di farsi curare. Non so neppure se rintraccerò me stesso o qualche mia supposta traccia, perché la notte è vasta, lunga e a volte non finisce mai.

Vivere da malati non è facile; neppure vivere con i malati.

Io i malati li conosco, ma non sono malati. La psiche non si ammala, a meno di danni fisiologici; la psiche è una ricerca. D’identità, di sé, dell’altro, del modo di esistere e coesistere. La psiche non è una malattia. Si ammala quando non esiste.

Quando parlo di vivere con i malati parlo d’altro; anche quando mi riferisco a vivere con la malattia.

La malattia è una cosa strana; inabilita, ma non solo fisicamente. Una ferita antica, uno squarcio dell’anima nel mondo che mentre ti fa stare male ti insegna a vivere: con il mondo.

Vivere con il mondo è una tristezza: un impegno emotivo totalizzante che ti fa stare bene e male allo stesso tempo. Impegna tutte le tue risorse; e anche qualcuna di più.

Una tristezza che ti fa stare bene, allora. Perché ti fa sentire vivo. Sei vivo mentre stai male; e anche qualcun altro.

Nella malattia non si diventa estranei: il mondo permane. Ad esempio, è una tristezza per quello che succede: al Paese, al Parlamento, alle forme istituzionali che ti sembra perdano sempre di più forma. Anzi, non la perdono; ne assumono un’altra – che non ti piace: la forma dell’informe, come il mondo.

Però sei malato, e ti accorgi che tutto è malato. Siamo tutti malati.

Sei vivo stando male tra i malati che stanno male come stai male tu per la tua e per la loro malattia. Sei vivo: per questo ti fa male.

All’interno della notte. La notte della coscienza.

Nella notte ti scopri sociopatico. Anzi no: i sociopatici non sanno di essere tali e neppure vogliono saperlo. Ti scopri allora paranoico, ma poi ti accorgi che, come i sociopatici, anche i paranoici preferiscono non sapere di essere tali. Stanno nella notte e nella notte nessuno sa o vuole sapere niente.

Per diradare un po’e tentare di dare una parvenza di senso all’insensatezza manifesta di queste guerre assurde da cui ci troviamo circondati, potrei allora parlare della psicopatia (o sociopatia: i due termini indicano lo stesso male notturno) e dire che i sociopatici non provano alcun sentimento o affetto. Dunque neppure rimorso o vergogna. Non possono farlo, a pena di provare un’angoscia devastante capace di destabilizzarli a livello irreversibile. Per questo fanno quello che fanno: non possono farne a meno. Se lo facessero, verrebbero travolti da qualcosa che ignorano, che non possono e non vogliono conoscere, in breve dall’estrema insufficienza di se stessi. Il loro Sé non ha oggetti interni sicuri perché non ha conosciuto figure di cura affidabili e dunque non ha potuto introiettarle. Su tali basi, non ha potuto neppure identificarsi con oggetti impersonali archetipici come la cultura, il senso della storia, la stessa, seppur fugace, umanità.

La sociopatia è un problema psichico severo che si colloca al lato psicotico del disturbo. Anche la paranoia. Per i paranoici il mondo è un luogo ostile, minaccioso, sempre pronto a distruggerci. Meglio allora agire per primi e tentare di distruggerlo noi.

Incapaci di accettare aspetti della personalità per loro inaccettabili, che per questo restano rigorosamente inconsci, i paranoici se ne liberano proiettandoli all’esterno su un Altro Indefinito ma non per questo meno minaccioso. Se poi l’altro assume connotazioni precise, il bersaglio è servito e non resta che aggredire.

Lo stesso si può dire del disturbo narcisistico della personalità di cui la sociopatia rappresenta il livello più estremo. Disturbo narcisistico che è alla base di profondi disastri individuali e sociali, anche i più comuni, come il così detto femminicidio, espressione di una coscienza egoica minima racchiusa in una bolla di vuoto, di una folle pretesa di controllo onnipotente sull’altro (difesa arcaica comune a molti disturbi di livello severo) e dell’incapacità di amare, ma questa è, purtroppo, un’altra storia.

Regrediti ai livelli più arcaici della psiche dove dominano impulsi difficilmente controllabili, di cui sono rappresentazione rabbia e aggressività, coloro che sono affetti da quei disturbi non possiedono una personalità dato che sono solamente dei posseduti. Privi di un Io sufficientemente cosciente, e dunque della capacità cognitiva più elementare e persino di apprendere dall’esperienza, trasformano il mondo in un incubo per sé e per gli altri, un incubo dove la notte non finisce mai, tranne che quando finisce.

All’interno della notte. La notte della società.

Se, come dice André Green siano tutti figli di una madre morta, quello che allora manca è l’accesso a un linguaggio umano. Manca, dunque, quella che Bion definisce alfabetizzazione degli impulsi arcaci e terrificanti cui ogni bambino è soggetto all’inizio della vita e che non ha avuto modo di elaborare per imparare a controllarli. Tra gli altri fallimenti, quello della famiglia è clamoroso.

Ancorati al principio di piacere, proprio delle prime fasi della vita, scansiamo tutto ciò che dispiace ricorrendo a difese arcaiche potentissime come il diniego e la scissione, con l’unico risultato di non accedere al reale. Siano allora un po’ tutti schizoidi e dissociati e, se non esiste una “madre sufficientemente buona” (Winnicott), neppure un Padre capace di insegnare una castrazione creativa che possa diventare Regola ad argine del godimento immediato e assoluto e dunque limite allo strabordare dell’inconscio (Lacan).

Su scala più vasta, l’intera società ne soffre. Per usare le parole di Kohut:

“Ciò che muove la società verso la salute è la salute stessa di individui creativi nell’ambito della religione, della filosofia, dell’arte e delle scienze che si occupano dell’uomo (sociologia, politica, storia, psicologia). Questi leader sono in contatto empatico con la malattia del Sé di gruppo e, attraverso le loro opere e il loro pensiero, mobilitano i bisogni narcisistici non soddisfatti e indicano la via verso un cambiamento vitale. Ne consegue che durante i periodi di crisi o di identificazione regressiva del Sé di gruppo con capi patologici, c’è una mancanza di creatività nella religione, nella filosofia, nell’arte e nelle scienze dell’uomo. L’assenza di una creativa arte sperimentale durante questi periodi è un fenomeno sorprendente. La creatività è soffocata in tutti i campi. Non c’è nessuno che sia in contatto empatico con il Sé di gruppo disturbato. Ciò spinge a un progressivo peggioramento della condizione del Sé di gruppo (corrispondente nella psicologia individuale alla minaccia di disintegrazione costituita da una psicosi in fase iniziale) e porta a soluzioni patologiche ad hoc”. (Kohut, “Potere, Coraggio e Narcisismo”, Astrolabio, Roma 1978, pp. 102-103)

Se poi i così detti Leader sono profondamente patologici, non può che conseguirne quel disastro collettivo già osservato molte volte nella storia. Non occorre guardare molto indietro: per osservare una psicosi di massa basta dare uno sguardo alla Germania nazista. Detto per inciso, quei leader li abbiamo eletti noi; se ne traggano le debite conclusioni.

L’ambiguità della notte

Nella notte nulla è preciso. L’inconscio non ha tempo, spazio e luogo: non può assumere posizioni chiare. E la coscienza dorme.

Per intendersi, gli U.S.A. inviano due portaerei mentre tentano di scoraggiare il premier israeliano dal proseguire nella sua politica insensata e cercano appigli per far liberare gli ostaggi e far entrare aiuti umanitari a Gaza tramite l’Egitto andando contro le disposizioni restrittive dell’alleato israeliano. Il Qatar, che ospita i vertici politici di Hamas, tratta per la liberazione degli ostaggi e per aprire corridoi umanitari a Gaza. I Paesi Arabi, tutti, si barcamenano in silenzi imbarazzati mentre le masse popolari esplodono di rabbia nelle loro capitali. La Turchia, membro NATO si lancia in un furioso attacco contro Israele stretto alleato degli USA e dunque del principale membro della NATO. Israele stesso è profondamente scisso sulla politica da seguire e si lacera tra politici divisi e politica e esercito, mentre l’Europa, tanto per non smentirsi, procede in ordine sparso: ogni Stato per conto suo e su posizioni contrastanti se non palesemente opposte. L’unico coerente sembra l’Iran: vuole distruggere Israele. Punto.

Tutto procede senza direzione, tranne la morte.

 

Al termine della notte

Non sappiamo quello che troveremo al termine della notte, ma dato che quella fine è già cominciata non è difficile pensare che vi troveremo devastazione.

Quello che sta succedendo in Ucraina e Russia, Israele e Palestina (per non parlare dell’Africa sempre fuori vista) è già successo, dagli albori della storia, e costantemente, a oggi. Basta voler guardare, ma la notte induce un sonno fondo: il sonno della coscienza.

Sembra che siamo tutti assassini e che lo siamo sempre stati. Quel che è peggio, sembra che continueremo ad esserlo.

Solo menti devastate da patologie estremamente severe possono concepire scempi simili. Non so come si possa massacrare, affamare, infierire sui corpi; so che lo abbiamo sempre fatto e noto una profonda ipocrisia (o una difesa estrema di scissione) da parte dei media che commentano con scandalo, divisi tra una parte e l’altra cui attribuire l’intera responsabilità, quanto sta avvenendo, a parte il giusto sdegno che si leva da una minoranza spaurita. 

Thanatos devasta il modo e domina la scena. O forse sono arrivati i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse. Non credo: non sono mai andati via.

Quando finirà questa notte? Nessuno può dirlo, tantomeno io. Posso solo sperare che, al suo termine, si riesca a trovare in una Alterità indefinita e tuttora invisibile, qualcosa che ci permetta ancora di esistere. Per lo meno di r-esistere.

 

 

in copertina Ernest Liebermann, Notte, Dipinto ad olio, 1899.

 

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