COPERTINA ART ALESSANDRA LEONE“Alle ventimila e più persone morte nel vano tentativo di raggiungere le nostre coste, sperando in una vita migliore. Ai volontari che in tutta Italia sono impegnati nell’assistenza di profughi e richiedenti asilo”. Questa la dedica che Francesco Maria Magnano ha scritto con un inchiostro pieno di amore nel suo Vuoti a perdere (Melino Nerella edizioni). Amal, “Speranza” in italiano, è una giovane sveglia e intelligente, nata tra il 3 e il 4 ottobre 1993, proprio nella notte della battaglia di Mogadiscio (tanto che “i combattimenti cruentissimi lungo la linea verde, striscia di separazione tra le fazioni, avevano impedito ogni tentativo di trasferimento in ospedale”).

Una piccola Ulisse in gonnella, ma meno furba e scaltra dell’eroe omerico (almeno inizialmente perché la vita e le esperienze, si sa, possono cambiare parte di noi), la quale compie un viaggio impervio per la libertà e l’indipendenza, per scappare dalle ingiustizie e dalle restrizioni del suo Paese. Una Ulisse il cui fine non è tornare alla sua Itaca, città dove ha lasciato gli affetti e gli amici, ma arrivare a Lampedusa, che per la sua posizione tra le coste nordafricane e il sud d’Europa è stata ed è tutt’ora punto privilegiato d’approdo dell’immigrazione.

“Prima della classe, almeno fino alla chiusura forzata delle scuole, frequentava la quinta del liceo scientifico. I miliziani delle corti islamiche scoraggiavano la frequenza scolastica femminile. Ma il papà, Abdel Ghaffar, professore di Storia allo stesso liceo, aveva messo a soqquadro l’istituzione: Amal avrebbe studiato!”. Così si legge nella quarta di copertina in cui l’autore sembra aver vissuto in prima persona il dramma del viaggio della speranza verso Lampedusa. Forse proprio perché Francesco Maria Magnano vive accanto agli immigrati, dirigendo da due anni un centro di accoglienza per coloro che richiedono asilo politico. Avrà sicuramente conosciuto molte Amal nella sua vita…

“Ho lavorato con i migranti. Ne ho condiviso speranze e delusioni. Una parola mi risuona costantemente: “sciuè sciuè”, cioè “piano piano”. Assume un significato di pazienza e attesa, speranza e fede. Con l’aiuto di Dio piano piano speriamo di migliorare la nostra condizione. Se pensiamo alle nostre esistenze di agiati europei , mai la nostra crisi potrà essere nemmeno lontanamente paragonata alle carestie e alle guerre. Ci lamentiamo se non andiamo in vacanza”.

Un libro forte, “che si è scritto da solo”, come ammette Magnano, a tratti crudo e crudele, in cui la protagonista è vittima di violenze e soprusi da parte dell’altro sesso, tanto che più volte ricorderà a se stessa di non doversi mai fidare degli uomini.

Una ragazza profondamente libera Amal, forte, con le idee chiare, una vendicatrice del ruolo di schiavitù cui è costretta la donna nel suo Paese. La sua arma? La cultura. Quella cultura che le ha trasmesso fin da piccola il suo papà, il quale conservava tutti i suoi libri dentro un grande baule sepolto in giardino, perché, “ovviamente”, ogni libro, rivista e giornale veniva controllato a Mogadiscio (lo Stato aveva il proprio index librorum).

Papà Abdel Ghaffar trasmetteva oralmente con saggezza e infinita dolcezza il suo sapere alla figlia. La cultura aiuterà parecchio Amal nella sua odissea, facendole capire molto di più rispetto ai compagni di viaggio, che appaiono ciechi rispetto a lei. La cultura salverà il mondo e cambierà la vita di Amal?

 

 

 

 

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