Chi?
I protagonisti del libro non sono tanto i poeti, che – come dico spesso – possono essere brutte creature, che tengono agguati nella foresta di Brocelandia, ma è la poesia, la poesia con la sua forza resistente, che vive nel tempo e lo sorpassa, che viene dal passato più remoto e si assicura il futuro più lontano. Al di là di tutti i traffici che in nome della poesia si intrecciano tra i poeti, a me pare che sia la poesia a garantirsi il suo spazio intangibile. Vario fin che si vuole, combattuto fino all’estremo, ma sempre vivo grazie a lei.
Cosa?
Dovrei ripetermi. Nel libro cerco di afferrare la molteplicità dei problemi che l’esistenza della poesia pone, e cerco di definirne l’inafferrabilità. E poi rifletto sul suo destino. Sarei tentato di dire che oggi di poesia se ne legga molto poca. Poi, subito dopo, di constatare che se ne scriva molta, anche troppa, sottolineando, a ben vedere, che forse se ne fa – o si presume di farne – molta, ma girando un po’ a vuoto. Non mi piace recriminare sui tempi malandrini e sulle piaghe della non lettura. Anche se, non avendo cifre alla mano, non so rispondere con precisione. Mi piace invece pensare – e cerco di dire – che di poesia se ne continui a leggere, e che chi ne va in cerca sappia districarsi nella selva o nella pletora delle proposte editoriali. A contare – sostengo – è sempre in ogni caso l’incontro individuale con il poeta singolo, e forse questo manuale ha tra le sue anche l’intenzione di indirizzare a una lettura più consapevole. Insomma, un’ambizione almeno un poco pedagogica
Quando?
Il libro è nato nel tempo. Non un atto di concezione definito, ma il frutto delle molte riflessioni che m’è accaduto di maturare in me, sia attraverso le lezioni universitarie (e dunque l’esercizio professionale) sia attraverso le tante recensioni e prefazioni di poeti che m’è accaduto di fare. Lavorare sul terreno, viene il momento in cui emerge il desiderio di mettere insieme e anche in ordine il complesso del proprio fare (anche di “poeta”, con le virgolette d’obbligo, che mi tocca presumere di essere come praticante in proprio). Poi perché c’è sempre in chi ama la poesia la spinta non dirò a far proseliti, ma a far conoscere il poco di ciò che s’è compreso a chi abbia voglia di uscire dai luoghi comuni.
Dove?
Del “dove” mi pare di avere appena detto, ma qui vorrei aggiungere l’ambizione (spero, non la presunzione) di giungere a una sorta di definizione. Sebastiano Vassalli ha parlato di “vita che rimane impigliata in una trama di parole”. Io parlo della poesia come di un mistero che parla nella storia. Che nasce come bisogno espressivo prima della prosa e si dipana nel tempo secondo prospettive e sensibilità diverse che ne specializzano intenti e funzioni, ne muovono interpretazioni, ne variano le componenti, ne segnano le gerarchie. Sempre rimanendo in cima, al di là di ogni infrazione e aggressione, sta la poesia lirica, l’espressione di un’interiorità che “ditta” e dice.
Perché?
Perché leggere il libro? Forse per saperne un po’ di più, come ho detto nel sottotitolo. Non tanto di più, forse, ma un po’ sì. In una sorta di decalogo finale, un po’ per gioco, un po’ sul serio, ma non volendo imporre precetti, cerco di invitare a una sorta di rapporto equilibrato. Un invito, insomma, ad astenersi dai peggiori vizi del dilettantismo allo sbaraglio e dell’insopportabile poetese, del birignao, il linguaggio della raffinatezza più vacua e presuntuosa. Ho guardato molto al nostro Novecento, da un lato a poeti come Dino Campana, come Arturo Onofri, dall’altro poeti come il primo Ungaretti, il Montale meno chiuso, sicuramente Saba, molto Vittorio Sereni, non poco a Pavese in una linea di cui è stato grande interprete Giacomo Debenedetti. Nel manuale cerco di dire questo mettendo a confronto l’oscurità necessaria di Paul Celan con la chiarezza non meno necessitante di Primo Levi. Da un lato la poesia degli ispirati, degli illuminati, degli orfici, dall’altra la poesia dei poeti che tengono fermo il contatto con la realtà. Ai primi il linguaggio estremo che sconfina nell’indicibile, nell’ermetico. Ai secondi il linguaggio che resta legato ai suoi significati, al dicibile, al traducibile in lingua corrente. Se ha senso, la mia preferenza, senza trascurare la poesia dei primi, va ai secondi.
scelti per voi
in copertina Giovanni Tesio nella ph di Bruno Murialdo