#1Libroin5WPOESIA.: Emiliano Cribari, “Cronache dalle rovine”, peQuod.

#1Libroin5WPOESIA

 

 

CHI?

Il bosco. I sentieri aperti nel bosco. Gli animali del bosco. Gli alberi e le piante del bosco. I versi fanno il verso a ogni suono, e a ogni silenzio, che ospita il bosco. Io ci cammino dentro e sono sempre qualcosa di troppo.

COSA?

Prima cinquanta poesie, verdi, ora spuntate dal laniccio della nebbia evanescente, ora radicate sotto il sole cocente o tra sciami di pioggia battente. Poi “I diari dell’Argentiera”, resoconto poetico (anche in forma narrativa) di un’infuocata avanscoperta compiuta in Sardegna, tra le rocce e il mare. Infine, un drappello di lettere – le “Lettere all’inquietudine” – fotografie di solitudini pensate e ripensate in viaggio.

QUANDO?

In pochi mesi e tanti sentieri. D’inverno più che d’estate. La mattina – la mattina presto – più che la sera. Raro è sapere dove inizia e dove finisce quel pensiero rarefatto che ammanta le spalle di ogni poesia.

DOVE?

Sull’Appennino, lungo le vene dei boschi dell’Appennino (soprattutto tosco-romagnolo) e nei paesi dell’Italia interna, frantumati dalle scosse dell’abbandono. C’è poi tanta Sardegna e c’è, come sempre, la Calabria, misura esatta di quanto siano distanti i miei versi dalla loro ispirazione.

PERCHÉ?

Perché si mangia, perché si beve, perché si osserva un pettirosso con stupore. Le poesie sono mandrie arrembanti, affamate, assetate, che sanno dove vogliono andare (e ci andranno) senza fare rumore. Alla mia età non si scrive più per piacere ma per capire. Ogni libro ha un’urgenza fuori dalla portata della ragione.

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Emiliano Cribari, “Cronache dalle rovine”, peQuod.

 

ha piovuto il sentiero è sparito
spariti gli uomini il bosco
è tornato più prossimo a Dio
se muoio qui di introspezione
verranno a prendermi i cinghiali
eccoli in branco ingrugnire
sotto cieli rovinati dai caccia americani
sotto cieli disumani
sono a un passo
oltre le eriche ritorte
affamate
li ho chiamati
se muoio qui di silenzio o di senso
verranno a prendermi gli uccelli a brevi voli
un canto funebre per echi e lontananze
omelia di foglie accese dai venti
c’è più pace fra i selvaggi
più speranza di pietà
in mezzo ai monti

allontanarsi conforta
prendere i campi i sentieri
disfarsi di tutti gli inutili suoni
credere a un bosco d’abeti e inoltrarsi
protetto da un’ape tenace: un bacio
il viaggio inizia quando il cielo
all’improvviso
svela i monti le valli
ciò che resta delle nuvole
le case ammassate e nude
che da qui quasi acquistano un senso
il viaggio inizia quando il bosco si chiude
come un pugno spreme un rivolo d’acqua:
gocciola il sentiero
s’incuneano i passi gli odori
anche i pensieri si assottigliano e diventano umori
pace non è quiete
ma obbligata accettazione del dolore
ha pace il mare di notte
la montagna di notte
hanno pace le nuvole le farfalle
hanno pace le forme dissolte
più alte
perfino le more hanno pace
i lamponi
figli dei rovi e di un’altra stagione
destinata in un balzo a finire
ha pace lo spirito di un corpo ammalato
di una mano che scrive poesia
ha pace la luce dopo il temporale
(io sento i tuoni vedo i lampi m’infradicio anche al riparo)
il viaggio finisce per caso
in un silenzio prevedibile e inaspettato

basta prendere un sentiero
salire qualche metro
graffiarsi le gambe
le braccia
faticare
d’estate sudare e d’inverno dubitare
come i muli farsi carico di tutto
io credo nelle capre
che mettono le zampe dove la roccia le sa trattenere
credo nella roccia, che sopporta
in questa terra assetata
che le basta una goccia di pioggia per partorire
credo nel mare che non ha confini
nel mare a cui chiedere risposte
quando gli occhi riconoscono il sale
e vorrebbero soltanto lasciarsi andare
credo nel vento che orienta le onde
e le guida dove finalmente possono deflagrare
credo nell’erranza
nella fierezza delle ginocchia sbucciate
dai rami in tensione
credo nell’ascolto, nella pietà, nella clemenza,
nel dolore
troppe parole e pochi passi
credo nei sacrifici
che non vedo in questi esseri umani
ma che vedo ancora nelle formiche
credo nell’alto, nel torto, nel brutto quando si palesa
credo negli inermi
negli inetti che chiedono come
nei saggi che chiedono dove
questa non è una poesia ma un sentiero:
devo farlo anche se piove, di notte, da solo
devo farlo anche se quest’accidia, mentalmente, uccide
non siamo noi quelli che volano
che prendono il largo senza orpelli nel mare
noi siamo quelli che gridano
che sterminano
che sperano strisciando
per caso
di non dover in un soffio
sparire

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