1Libroin5WPOESIA.: “Lo zecchino d’auro” di Vito Bonito, BLǑNK.

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Chi?
Lo zecchino d’auro è un piccolo libro con disegni parte di un più ampio progetto già completato ma finora inedito nella sua integrità.
Come spesso accade nei libri di questo autore si è di fronte a una comunità di voci e figurine che prendono parola e nello stesso tempo la pèrdono, sia per il sopraggiungere di altre voci sia per la caducità delle voci stesse che come fiammelle di candeline si spengono al primo soffio.

Cosa?
Che cosa ci raccontano questi sembianti così vivi e divertenti da collocarsi senza vergogna in un bigio interregno tra presenza e assenza, visione e delirio, verità rivelata e menzogna mai mentita (sempre ammesso che queste categorie servano a spiegare o suggerire quanto accade in poesia)? È una comunità di cantilene bambine che si ingrossano e si falsèttano, secondo una partitura di volta in volta variabile (dal funebre al grottesco, dal difettivo e difettoso voler vivere al non saper morire se in una forma anch’essa menomata). In questo clima si aprono continui siparietti canterini in cui i personaggi si affacciano a raccontarci le loro vicende, le loro menzogne, le loro deviazioni e devozioni – in una sorta di recitar cascando strampalato e corale, solitario e aurorale, sentenzioso, ferino, al lumicino.
A dirla con le parole di Andrea De Alberti in quarta di copertina: «ritornano anche in questa raccolta la morte, le rose, le rime spiazzanti, le sterzate all’immaginario, le allucinazioni, la capacità d’ingrandimento del reale con poche parole».

Quando?
Il lavoro nasce quattro anni fa, insieme ad altri percorsi paralleli, nel tentativo di ‘risonorizzare’ una lingua messa tra parentesi, ovvero il dialetto dauno. In realtà è accaduto il contrario, essendosi l’autore esposto a un misterioso contagio mnestico di cadenze e fonotassi distorte. Ovviamente non si parla di poesia in dialetto, ma di una morfologia fantastica della lingua dialettale, in cui certi dialettismi, addirittura familiari, infestano, a parodizzare, l’italiano prezioso e infantile della poesia scolastica quanto della canzone italiana (non cantautoriale) soprattutto degli anni 70 del secolo scorso.

Dove?
Materialmente il libro è nato (ed è morto) a letto. L’autore di tale libretto scrive supino perché supinamente si abbandona alle coroncine di luci natalizie e festività patronali nonché ai pettegolezzi dei revenants che si affacciano di volta in volta a conferire prima, durante e dopo il sonno sonniferato dall’iddio Miniàs. Dunque di giorno in giorno (se di giorno si può parlare) si è accumulato un teatro di voci che si vogliono parlare e a cui le pagine del libro cercano di dare un ordine, se di ordine si può parlare per un andirivieni ostinato e protervo di gridii che tentano un ascolto a tutti i costi.
Essendo poi l’autore devoto a questioni teologiche e di lana caprina, il lavoro si è sofisticato, metanolizzato, attraverso interrogativi di prima grandezza e luminosità. Parafrasando IA, autore della postfazione al volume, si potrebbe dire che il libro prova a dare talune risposte ai più scottanti quizzes circa la nostra humana conditio, quelli su l’essere, la poesia, il nostro disabitare poeticamente il mondo e soprattutto il «caramellato niende» che ci disabilita e con vaghezza ci rende signorili.

Perché?
Il perché di questo libro non sta né in cielo né in terra. È venuto come tutti gli altri, per sua urgenza, per sua prepotenza. Il titolo rimanderebbe alla trasmissione-concorso de “Lo zecchino d’oro”, che ha formato e continua a forgiare il nostro spirito. Non è dato restituire una debita coerenza tra il titolo e il contenuto del libro stesso, ma questo non ha importanza ovviamente.
I motivi per NON leggere questo libretto sono tanti, tutti, tranne uno che il lettore scoprirà solo leggendo Lo zecchino d’auro.
Leggere poesia non vuol dire leggere qualsiasi poesia o qualsiasi poeta. Ognuno deve mettersi in cammino verso la propria poesia, i propri autori, leggendo, leggendo senza tregua (e non solo poesia), ma anche e soprattutto eliminando, eliminando l’immane richiesta di esistere di una folla di versi e parole sì tanto vane quanto asfissiate già alla nascita – per ritornare sempre più acutamente a uno sguardo limpido, leggero, teneramente crudele e definitivo.

Scelte per voi

1

avevo voluto ridere
quando mi appresentai
ha te così compunto

lo so ti apparii all’imbrovviso
(per me dico) che tu mango
un preavviso (a me dico)
un zegno un zegnale
almeno zodiacale
(non dico un gomunicato
ufficiale – a chi poi…)

comunque ti apparvi
in biedi sull’attendi
capo chino
coi pandaloni corti

v’erano di già i morti?
i già risorti? o sanna?

tu c’eri non g’eri
or sì or no parea
immane un neo
che in nïende si sfacea

nel liquido licor
come di vetro che s’appanna
vid’io la luce senza dire
– beo –

2
il mio penziero va ha te
anghe se non sei
un troviero come me

sei l’infermiero
de la flebo
senza niende

che clàmiti come fossi
un resiliende un cabbiano
un sandissimo prèuto
che giàcula a caso
col messale in mano

verà la morte? sarai invano?

3
o lettore
mio ingombreso

non dolerti se stai appeso
a un caramellato niende

torneremo mai arriveder le stelle?
moriranno tutte le parole belle?

noi stiamo nelle
ma non ziamo quelle

 

*

vito m. bonito (nella foto di Dino Ignani) ha pubblicato Acrobeati (La Vita Felice, 2023); Lo zecchino d’auro (Blŏnk, 2023); papaveri per niente e teatrino de li papavera (Derbauch, 2021); di non sapere infine a memoria 1978-1980 (L’arcolaio, 2021); fabula rasa (Oèdipus, 2018); la bambina bianca (Derbauch, 2017); Soffiati via (Il Ponte del Sale, 2015 – premio Nazionale Elio Pagliarani 2015); Luce eterna (Galerie Bordas Venezia, 2012); Fioritura del sangue (Perrone, 2010); La vita inferiore (Donzelli, 2004); Campo degli orfani (Book, 2000); A distanza di neve, Book, 1997. È presente in Poesia contemporanea. Quinto quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Crocetti 1996); in Parola Plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, (Sossella 2005); in Alberto Bertoni,Trent’anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni 1971-2000 (Book 2005). In ambito critico sono usciti i volumi Le parole e le ore. Gli orologi barocchi: antologia poetica del Seicento, Palermo, Sellerio, 1996; L’occhio del tempo. L’orologio barocco tra letteratura, scienza ed emblematica, Bologna, Clueb, 1995; Il gelo e lo sguardo. La poesia di Cosimo Ortesta e Valerio Magrelli, Bologna, Clueb, 1996; Il canto della crisalide. Poesia e orfanità, Bologna, Clueb, 1999); Pascoli, Napoli, Liguori, 2007. È tra gli autori dell’antologia Poesia del Novecento italiano (vol. II), a cura di N. Lorenzini Roma, Carocci, 2002. Ha scritto inoltre saggi su Montale, De Signoribus, Beckett, Artaud, la Socìetas Raffaello Sanzio, Aristakisjan, Herzog e Korine. Da ultimo ha curato (con Jacopo Galavotti e Giacomo Morbiato) il volume di Cosimo Ortesta, Tutte le poesie, Argo Libri, 2022. Di Soffiati via è uscita la traduzione inglese Blown away, a cura di Allison Grimaldi Donahue, Fomite Press, Vermont, 2021

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