Adriana Gloria Marigo, “Arte della navigazione notturna”. Poesia come “verità ulteriore e altra da quella conosciuta”.

Con i versi mistici di Adriana Gloria Marigo – «è luce fremente// solfeggia negli occhi/ cromatiche ardenze.» -, introduciamo la lettura della nuova folgorante plaquette “Arte della navigazione notturna”, edita da “Caosfera”, con all’interno “Volto”, un’opera dell’artista Patrizia Coccon Kovacs, un elzeviro di Silvio Raffo e una nota critica di Gianpaolo G. Mastropasqua che, conveniamo, scrive del libro come di “un inno alla grazia che emerge dal buio del nostro quotidiano”. Leggendo col fiato sospeso sfioriamo «suture d’oro». Nella rarità dell’indaco, «splendiamo di sovranità insulare», sentiamo atmosfere contemplative, espressive, come la densa cantabilità di «sempiterna luce minuziosa», di altezze ultraterrene, di profezie mattutine. Siamo dentro la quiete adamantina di una autrice raffinata che avanza l’esistenza con “nobile”, confidente, consapevolezza, «si contendono persino l’aria/ il respiro breve delle cose», «il tempo snida l’inganno», «nel mondo cadono/ bacche aurate».

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Arte della navigazione notturna” (Caosfera edizioni)?

La scintilla è la stessa che si accese all’inizio, nel 2007, quando le parole mi giunsero come un incontro inevitabile, ricco di motivi vitali cui rivolgere attenzione, dedizione, amorevolezza. Si tratta del colloquio con le parti profonde del sé che si attivano, reclamano considerazione quando accadono circostanze cariche di materia psichica: possono essere persone che portano la loro vita nei pressi della mia, eventi del mondo, il mutare di un paesaggio conosciuto o la sorpresa di un luogo che vedo per la prima volta, letture che avviano in me riflessioni, poiché nella luminescenza dello stupore colgo le tracce del mistero della vita. È sempre il mistero, meglio, l’invisibile, ciò che ispira la mia scrittura. Arte della navigazione notturna nasce dall’inquietudine esistenziale e dalla risposta fiduciosa nel tempo del reclusorio pandemico. 

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Abitiamo il mondo ed esso ci abita, la relazione è relazione di parola: prima ancora di compiere azioni sul mondo, apprendiamo a nominarlo, a dire il nome delle cose; al principio è la lingua materna che ci veicola il senso della realtà e il senso del nome. Talvolta accade che l’apprendimento del linguaggio avvenga – in modi del tutto inconsci – mediato da aure, atmosfere di poesia. Forse, nel poeta le tracce mnestiche del primo linguaggio – che ha qualcosa di ancestrale – sviluppano una esigente e fine attenzione, un sottile ascolto e una costante auscultazione nella zona di silenzio tra lui e la vita che accade, e in cui si riversano le figure, i richiami segnici che consentono la creazione di un linguaggio poetico personale, originale.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

La poesia “è” la lingua dell’invalicabile: non è, naturalmente il proposito a ragion veduta – almeno per me non lo è – del poeta, l’obiettivo finale: se così fosse ci sarebbe una perdita di materiale psichico altamente creativo, una sottrazione di pensiero immaginale, un eccesso di volontà che graverebbe sull’esito della poesia. Per fortuna, la poesia è lì a dimostrarci che ciò che l’immanenza presenta – tutto il dolore, tutta la disperazione, l’inquieto trascorrere delle vite personali – per una sorta di metamorfosi numinosa diventa soglia che lascia vedere che qualcosa trascende esistenze e circostanze; apre al sogno come elevazione dagli sfregi del quotidiano; ispira la percezione dell’esistenza di una verità ulteriore e altra da quella conosciuta.

Con i tuoi versi, “laminare// la notte chiude/ l’ultima narrazione solare”, chiedo: la poesia può “risolvere” la pensosa solitudine del poeta?

La poesia ha qualcosa di sacro, potente, un elemento che induce a sollevarsi dalle lande basse della vita, una specie di sortilegio che fa intravedere che può esserci uno stato di armonia grandiosa, assoluta; tuttavia “la pensosa solitudine del poeta” non trova soluzione, non è risolta neppure se il poeta invocasse tutte le Muse e Apollo: la compagnia del Parnaso non ha alcun vantaggio a sanare l’inquietudine del poeta, poiché verrebbe a mancare l’ispirazione se il pensiero immaginale fosse sedato, anestetizzato.

La poesia può colmare – ancora i tuoi versi – “il vuoto in cui svaniamo”?

Poesia è un evento psichico numinoso, una fusione con la psiche del mondo da cui si emerge con il carico prezioso della parola (G. Ungaretti ne dà magnifico conto in quella unicità de Il porto sepolto), ma questo congiungersi e poi allontanarsi non colma il senso di essere «piccioletta barca» in balia di fortunali, calme piatte, gentili alisei, di essere solo partecipi, ambasciatori, in certo modo consolatori dello svanire e riapparire senza fine di continuità dell’impermanenza, dell’angoscia che l’effimero, il provvisorio generano.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica? E il “suono”?

Forma e suono coniugano la loro verità in una inscindibile realtà: un testo poetico consegna i significati del contenuto attraverso l’alchimia della parola che si sceglie in un’opera di fine lavoro scultoreo che dona la forma al testo: ho sempre avvertito la dimensione di scultore fin dall’inizio poiché, se l’ispirazione giunge non richiesta, riversa nella pagina le parole–immagini, l’organizzazione compositiva del verso segue le vie della sottrazione delle scorie dell’ispirazione, persegue la sensibilità per il ritmo, la musica della parola: l’incisività sonora delle consonanti sembra «trasportare l’ossatura del senso» (A. Molesini), la leggerezza coloristica delle vocali trasporta «del senso il tono» (A. Molesini). È per questa contezza, parte essenziale della mia visione poetica, che sottopongo la mia scrittura a un costante, quasi maniacale, affinamento della parola–immagine affinché essa realizzi il verso poetico, il significato e il canto.

Qual è stato, ad oggi, il dono più prezioso ricevuto in dono dalla poesia?

La poesia è stata, all’inizio, un’oasi grandemente ospitale, un riparo prezioso in circostanze complesse che mettevano a soqquadro la mia vita precedente e mi sospingevano verso una nuova fase in cui tutto era sconosciuto e possibile. Al tempo stesso era un esercizio finissimo di ascolto della voce sottile e perentoria del mio sé, la conoscenza della mia natura autentica, una sorta di guida virgiliana che mi accompagnava lungo la ricostruzione della mia vita in cui era necessario la massima sincerità e accoglienza per realizzare la conoscenza intima di me.

Riporteresti alcuni versi o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti (per trovare conforto)?

Da Nell’insidia della soglia di Yves Bonnefoy, libro per me prezioso poiché dal 2015, dopo la prima lettura con grande affezione, durante l’anno rileggo passaggi di quelle sezioni che continuano a mandarmi vibrazioni sapienziali, una tensione etica come uno sguardo vasto, limpido, aperto sul dolore e lo stupore del mondo.

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Sì, per i giorni in cui errava
Già innanzi l’alba il tuono,
Per i miei sentieri tra le erbe bagnate
Curvate dalla notte
Sotto le sue ruote di pietra.
Sì, per i rovi
Delle cime tra le pietre. Per quest’albero, ritto
Contro il cielo.
Per le fiamme, in ogni luogo,
E, ogni sera, le voci dello sposalizio
Di cielo e terra.

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal tuo libro “Arte della navigazione notturna” e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

l’estremo azzurro irrompe
sui muri, sui monti
sperpera la corte della luce
nel mondo cadono
bacche aurate

Caramente, con gratitudine a te, Grazia, e ai nostri lettori il mio saluto con la poesia che chiude la silloge: volutamente ho scelto questo testo poiché propone il tema della luce nella sua manifestazione più fulgida, completa; nella raccolta la luce accompagna l’oscurità non tanto come opposizione, quanto come complemento, altra parte che costituisce l’interezza della vita: la chiarità (estremo azzurro), la sensazione di essere immersi – come in certi giorni d’estate o in momenti di completezza felice – nella plenitudine della luce, nel suo riversarsi nel mondo come piccole delizie d’oro designa la speranza, la gioia che fiorisce inaspettata nel mezzo della fatica dei giorni, degli oltraggi della vita; è, inoltre, metafora del nucleo inscalfibile che costituisce l’essenza umana, la radianza del logos, la dignità dell’uomo.

La silloge ha una genesi originale: è l’insieme di frammenti, incipit di poesie rimaste irrisolte (tranne alcune compiute) che mi hanno raggiunta in ore insonni durante il 2020 e il 2021; i giorni pandemici, la sensazione dell’incombere di qualcosa di oscuro, malevolo, si risolvevano in notturni in cui la parola “luce” tornava e ritornava, come una memoria arcana, un dovere da accettare, al tempo stesso una lenizione. Quella brevitas non era progetto di nuova silloge ma, riordinando le carte, mi colpì la parola “luce” che si ripeteva come un’eco insopprimibile. Accadde una sorta di insufflazione di finissima immaginazione che mi donò il titolo Arte della navigazione notturna: le poesie arrivavano di notte, nel mare della notte che avvertivo come il contraltare del mare delle angosce diurne che le informazioni dei media diffondevano, mentre io dovevo tenere la rotta della mia vita e dell’ispirazione poetica. È stato in questa percezione che immaginai di farne un libro. Lo pensai minuscolo: il formato doveva essere consonante con la brevità dei versi, la copertina riprodurre il cielo notturno non opaco, ma segnato dalle trafitture lasciate dalle stelle e, infine, una immagine che significasse l’ineludibile rapporto tra l’umanità e il cosmo, tra l’umana avventura e l’enigma che lega le vite degli uomini all’insondabile che le sovrasta.

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Nota bio-bibliografica

Adriana Gloria Marigo vive a Luino (VA); studi universitari in pedagogia a indirizzo filosofico, poeta, aforista, critico letterario, dirige la collana di poesia Alabaster per Caosfera Edizioni, Vicenza.

Pubblicazioni: Un biancore lontano, LietoColle, 2009; L’essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice, 2012; Senza il mio nome, Campanotto Editore, 2015; Astro immemore, Prometheus, 2020; Arte della navigazione notturna, Caosfera Edizioni, 2022; Minimalia (aforismi), Campanotto Editore, 2017.

Finalista al Premio Camaiore 2016; Menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2016 e 2020; Finalista al Premio Paolo Prestigiacomo 2021; ospite della Rassegna di Poesia “Poeti al Castello”, Trento, 2013; del Festival della Poesia, Lubiana, 2014; del Festival di Poesia Mitteleuropea “FlussidiVersi” di Caorle (VE) dal 2012 al 2015.

Testi di poesia, interventi critici, traduzioni in spagnolo di aforismi e poesie sono presenti in antologie poetiche, riviste e siti di cultura letteraria, riviste specialistiche di aforismi. È presente in Pianeta Donna. Poetesse italiane del 2000, a cura del poeta e critico letterario Domenico Pisana; in Gli specchi della luna. Poesia femminile del Novecento, a cura del poeta, scrittore, traduttore Silvio Raffo.

 

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 08.04.2023pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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