Alberto Nessi, “la poesia ha bisogno di pace e di solitudine”.

«Segui le curve del giaggiolo/ se vuoi essere felice, non indugiare (…)». Leggendo sentiamo un battito di cuore all’unisono col regno botanico. Sentiamo la levità, la pienezza, la letizia, la malinconia, la circolarità del tempo (ora ci cattura, ora ci libera). Sentiamo l’indomito miracolo della vita (trascorsa, presente, «nuova»): scalpita come la gioia dell’acqua che «invade il mattino», persiste addentro la «fuga/ da noi stessi», tra le venature delle foglie, le fioriture, «il legno storto dell’umanità», il deserto, il sussurrio dell’erba, il ricordo, il rischio, l’incanto, «il bagliore che si fa strada/ nel deserto di chi nega…». Considerazioni ispirate dal volume “La seconda bellezza. Poesie vegetali”, edito da “interlinea”, collana “Lyra”, con le quali introduciamo la nostra intervista al poeta e narratore Alberto Nessi.

Qual è stata la “scintilla” che ha portato il suo “La seconda bellezza”?

La scintilla della verità. Nell’ultima fase della mia vita, il mio interesse per il mondo della vegetazione si è intensificato, anche perché sono andato ad abitare in Valle di Muggio, a contatto diretto con gli alberi dei boschi e con il mio giardino. Deluso dagli uomini, che non sanno vivere in pace e costruire una società giusta, mi sono rifugiato nella vita delle piante, anche se non ho smesso di interessarmi a ciò che accade nella società. Ma, disgustato dalla politica, la natura mi è venuta incontro con la sua vitalità e la sua freschezza.

Nell’incanto di “un momento di pace”, le parole bastano (o giovano) alla poesia? 

Le parole non bastano, se dietro non c’è la vita. La poesia ha bisogno di pace e di solitudine, ma la molla che la fa scattare è la realtà. Se è fatta solo di parole combinate tra di loro, il componimento poetico non lievita, resta solo un esercizio.

Qual è (o quale dovrebbe essere) la lingua ideale della poesia?

Non esiste la lingua ideale della poesia, ogni poeta inventa la sua, tenendo conto dei poeti che lo hanno preceduto e, insieme, della lingua parlata nella vita di tutti i giorni: almeno questo è ciò che vale per me. Non credo che ci siano né formule né scuole che possano insegnare a scrivere una poesia. Forse possono insegnare come non scriverla. Per me, la lingua poetica va inventata ogni volta, fermo restando che le parole sono quelle dell’uso comune: Antonio Machado dice che del metallo comune il poeta sa fare un gioiello.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica?

Direi che è la verità che incide sulla forma e costringe il poeta, se è un poeta autentico, a scegliere le parole giuste. Se fingo, sento che nel testo c’è qualcosa che non va. Basta un sostantivo, un aggettivo, una virgola per rovinare una poesia. D’altronde la forma è importantissima. Leopardi scrive: ” Dolce e chiara è la notte e senza vento”. Se cambiamo o spostiamo una parola in questo endecasillabo, il testo perde forza, la musica si spegne.

Ad oggi, dove è stato condotto dalla poesia? Qual è stato l’insegnamento?

La poesia non mi ha condotto da nessuna parte, solo a rendermi conto che senza di lei vivrei male e non potrei dare niente né a me stesso né agli altri. Dico “poesia” ma potrei anche dire “prosa”. Perché per me il problema centrale, in letteratura, è quello dell’espressività, dello stile.

“Siamo sogni, rametti d’una pianta/ naviganti senza nocchiero”, con i suoi versi per chiederle: la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta? Può colmare l’inascoltato? 

La poesia può far compagnia all’uomo, distoglierlo dalla sua solitudine. Dovrebbe anche avere un’influenza positiva. Dice Leopardi, in una delle Operette morali, precisamente nel “Dialogo di Timandro e di Eleandro: “Ora io fo poca stima di quella poesia che, letta e meditata, non lascia al lettore nell’animo un tal sentimento nobile che, per mezz’ora, gli impedisca di ammettere un pensier vile, e di fare un’azione indegna.”  Ma attenzione: per mezz’ora, per mezz’ora soltanto…

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal suo libro – (chiedo gentilmente di riportala) – e, nel contempo, la invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.          

   Scrivere una poesia

Al ballerino di Carimate
                          che mi ha chiesto come si scrive una poesia

Sì, forse è un po’ come ballare il tango
si dev’essere in due, cinger la vita
non fare il passo più lungo della gamba
assecondare l’onda dentro l’ombra
dove pulsa il sangue, fare il casqué
sulla pedana senza cascarsi addosso
inseguire il tuo cuore, Caminito.

 

E da Perché non scrivo con un filo d’erbaAntologia con autografi e inediti, Interlinea, Novara, 2020.

          Una sera di alcuni anni fa, dopo una mia lettura di poesie, andammo tra amiche e amici a bere qualcosa in un bar; e uno di quelli che avevano presenziato alla lettura, che si diceva appassionato di ballo e proveniva da Carimate (nome di un paese lombardo che mi restò impresso per la sua espressività), mi chiese come si fa a scrivere una poesia.

          Tornato a casa dopo la serata letteraria, ho ripensato a quella domanda e ho scritto la poesia, che sembra quasi una dichiarazione di poetica.

          Scrivere versi è come ballare: bisogna essere in due, il poeta e la vita.  Non bisogna esibire la propria bravura e non andare oltre le proprie capacità. È necessario seguire il proprio temperamento nella passione per la poesia, come il ballerino si fa trascinare dai movimenti della ballerina e, insieme, li asseconda. Fare uso di figure retoriche con moderazione, inseguire il reale con sentimento, come il ballerino balla con precisione e insieme con passione, un tango (Caminito, per quelli della mia generazione, è il tango per eccellenza)

 

 

Biografia dell’autore
Alberto Nessi, nato a Mendrisio nel 1940, è poeta e narratore. Dopo gli studi alla Scuola magistrale di Locarno e all’Università di Friburgo, è stato insegnante in diversi ordini di scuole. Ha abitato sempre nel Mendrisiotto. È sposato con Raffaella e padre di due figlie.
Ha esordito come poeta nel 1969 e ha al suo attivo diversi libri di poesia, tra i quali una scelta antologica apparsa presso l’editore Casagrande di Bellinzona nel 2010 col titolo Ladro di minuzie. Le sue opere più recenti sono Un sabato senza dolore (Interlinea, Novara 2016), Rime facili per grandi e piccini (Casagrande, Bellinzona 2018) e Perché non scrivo con un filo d’erba (Interlinea 2020), antologia con autografi e inediti pubblicata in occasione dei suoi 80 anni. Alberto Nessi è inoltre autore di tre romanzi e di tre raccolte di racconti (l’ultima si intitola Miló, Casagrande, Bellinzona 2014). Nel 2017 ha pubblicato, per le edizioni Unicopli di Milano, Svizzera italiana. Quindici passeggiate letterarie.
Nel 2016 gli è stato conferito il Gran Premio svizzero di letteratura.

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 13.08.2023, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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