Angela Bonanno, “Tu singolare”. Al di là del principio di individuazione.

In genere quando si esamina un romanzo che segue la tradizione formale del genere si procede con un ordine preciso: si inizia con la descrizione dei personaggi e dell’ambientazione spazio temporale, poi si passa alla rassegna delle principali vicende, naturalmente stando attenti a non svelare troppo, creando nel contempo curiosità nell’uditorio e nel futuribile lettore.

Non credo che sia possibile procedere in tal modo per questo nuovo libro di Angela Bonanno che ha per titolo “Tu singolare”, pubblicato da Catartica Edizioni nel marzo del 2023.

Penso proprio di no.

In questo caso il percorso da intraprendere deve essere un altro.

Affrontare innanzitutto le scelte formali e narratologiche dell’autrice.

Sì, perché in quest’opera Angela Bonanno sviluppa ulteriormente una tendenza già anticipata nel precedente libro del 2018, “Prima dammi il pane”, nel quale, pur presentando ancora dei personaggi connotati in modo realistico, quasi nulla era specificato, i riferimenti sociali e culturali e storico-temporali erano appena accennati. Solo la relazione amorosa tra le protagoniste era messa a fuoco nella sua nudità esistenziale. Quando, in quel testo, il quadro, si allargava ad altri ambiti, la messa a fuoco sfumava i contorni degli ambienti, degli oggetti e degli altri personaggi. Il mondo restava fuori, sembrava non contare quasi più. Solo l’amore importava, a livello essenziale, primordiale.

In “Tu Singolare” scompaiono i nomi dei personaggi, sostituiti fin dalla prima pagina da anonimi pronomi personali. Si sa che nella lingua della comunicazione i pronomi possono sostituire i nomi, dopo che essi, almeno una volta, sono stati già utilizzati. Ogni grammatica ci dice che ciò avviene soprattutto per evitare ripetizioni. L’eliminazione dei nomi, e quindi della connotazione dei personaggi, in quest’opera è quindi una scelta consapevole che elimina il principio di individuazione. Qui, quindi, troviamo ruoli, funzioni, ma non persone. Come quando nelle magliette delle squadre di calcio di una volta c’erano solo i numeri e non i nomi dei giocatori.

L’obiettivo è quello di andare all’essenziale, rimuovendo tutto il superfluo e il contingente e pervenire all’intimità più profonda, non personale.

 Nell’opera un io scrivente femminile, alterna brevi scritti (in genere non più lunghi di una pagina) rivolti a un Tu singolare non specificato, con altri in cui si parla di alcuni Lui, altrettanto non ben identificati.

La scelta di usare solo pronomi e non nomi non è, quindi, soltanto un espediente puramente stilistico, ma è il cardine che contrassegna l’intera opera. E consente all’autrice di evitare la trappola della narrazione tradizionale, che necessita di figure realistiche inserite in uno contesto spazio temporale, che si muovono all’interno di un intreccio fatto di eventi concatenati. Questa scelta consente all’autrice di poter pervenire a ciò che le sta più a cuore: arrivare all’essenza, al nucleo basico, non personale, della relazione amorosa.

Viene descritto per tessere di un mosaico, a un livello più profondo e radicale del dato biografico e individuale, il grado zero della passione come si dispiega nel mondo contemporaneo. Al di là del principio di individuazione.

“Non posso chiamarti per nome” potrebbe essere il titolo alternativo di un libro che fa crossover tra i generi e si situa in una “terra di nessuno” tra prosa e poesia. Un libro “sui generis”.

Tutto il vissuto è filtrato attraverso una soggettività femminile che registra nella carne e trascrive, come un sensibilissimo sismografo, i minimi sintomi, i segni, i passaggi d’umore, le impressioni, le emozioni, i trascorsi irrisolti, le ambivalenze della propria nuda vita interiore. “Vivo con il corpo. Non ho emozioni, solo sensi”, afferma ad un certo punto la protagonista.

Angela Bonanno sottoscriverebbe sicuramente le parole della pittrice sudafricana Marlene Dumas: “Dipingo figure nude perché non riesco a immaginare il sublime con il vestito addosso”.

La voce femminile che scrive lo fa senza reticenze, andando alla radice, si scarnifica, non finge, rivela tutto di sé, senza inibizioni sociali e personali. Elenca le sue debolezze, le fragilità, le sottomissioni, il desiderio di un figlio. Con la stessa radicalità e spietatezza può, quindi, smascherare le ipocrisie, gli infingimenti, le recite, le vigliaccherie dell’altro, del maschio, sempre amato, bramato, aspettato.

È difficile trovare un accordo tra esseri così diversi, tra poli opposti che si attraggono e si respingono. 

Il “Tu singolare” sembra rappresentare “la persona giusta” dalle mani affamate, “il padrone”, la storia definitiva. Nel Tu, però, attraverso un gioco di rispecchiamenti e di nascondimenti, riecheggiano alcuni “Lui”, seminati lungo l’esistenza.

I “Lui” sono commutabili, anonimi ma vividi nella rappresentazione. Rappresentano le occasioni perdute, le relazioni che hanno funzionato in modo claudicante, le passioni che potevano realizzarsi e che sono finite troppo presto e quelle che si sono attardate nel male di vivere, quelle che sono rimaste solo congetture e i sentieri interrotti o sbagliati, traditi.

Tutti i “Lui” hanno lasciato nella carne viva di chi scrive ferite ancora aperte e cicatrici ancora non rimarginate, sbucciature, rimorsi e rimpianti.

“E se lui non fosse lui ma tu?” ci dice, la disorientante voce narrante quasi alla fine del libro. Un dubbio che tende a ribaltare la lenta verità che il lettore prova a elaborare pagina dopo pagina. E se fossero intercambiabili? E se il “Tu” non fosse così singolare e andasse a confondersi “nella somma dei fallimenti precedenti” insieme ai tanti “Lui” in quell’album di famiglia in cui la protagonista non vorrebbe finire incapsulata? E se il “Tu” fosse destinato a impallidire nella schiera dei “Lui” andati?

E se le sorti di chi si ama e di chi si desidera non fossero, come suggerisce l’amato e citato Vecchioni, destinati a “incrociarsi un po’ male”, a non diventare “Noi” plurale? D’altra parte dice ancora la protagonista, echeggiando Shakespeare, a p.102 “L’amore! Quella cosa che mi fa andare in giro con gli occhi bendati da bambina nel gioco della mosca cieca.”

“Tu singolare” è un indizio rivelatore del fatto che le donne oggi abbiano, dopo averla conquistata, la forza di guardarsi dentro e di guardare l’altro con occhi puri, con la purezza esplicita e spietata della verità.

La buona letteratura femminile esprime oggi un nuovo punto di vista, evitando di subire la prospettiva maschile finora dominante. In tal modo un “nuovo mondo” emerge e si fa parola, partendo dal margine conquista il centro, rendendo nota la voce comune delle donne.

Lo stile è profondamente originale: secco, aspramente poetico, epigrammatico, fatto di brevi frasi icastiche paratattiche. Sono frequenti gli aforismi, le citazioni implicite, i rimandi colti e i riferimenti pop, le immagini fulminanti.

Per fare solo tre esempi: “Ancora sento il sapore della sua pelle croccante come fresca insalata”; “L’amore le usciva dai capelli come i pensieri e faceva svolazzare, da sotto il vestito il vento”; “Cammino nuda perché il cuore ha smanicato il cappotto”. Non c’è da meravigliarsi di ciò perché Angela Bonanno è anche una poet(ess)a di prim’ordine, insignita di prestigiosi premi letterari tra cui il nazionale Premio Pascoli per la sezione poesia in dialetto con la raccolta dal titolo Strammata (Forme Libere, 2017).

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