«È uno straripare di mondo/ che uguale si ripete/ ignaro/ di noi a occhi chiusi/ in un presente con gli argini/ rotti». Versi dell’autrice e traduttrice catanese Cettina Caliò. Versi intimi, versi dell’universo, versi scelti per introdurre la lettura del nuovo libro “Di tu in noi”, pubblicato dalle eleganti edizioni “La nave di Teseo”. Leggendo ci muoviamo «nell’entroterra dell’anima», «nell’assenza», «nella lunghezza obbligata» di giorni fragili, «nel silenzio levato/ che moltiplica se stesso/ sempre per uno», «nel bilico di ogni cosa», «nella quotidianità scardinata», «nel buio esausto», «nel niente delle mani», «nell’equivoco dell’aria che manca», «nel forse di ogni passo», fino all’essenziale, fino a «imparare il peso dalle formiche/ e andare orfani/ dall’altro lato del vento».
Tre sezioni elevate (“La Forma detenuta”, titolo questo che richiama il precedente libro pubblicato con “Le Farfalle” del nostro Angelo Scadurra, “Di tu in noi” e “Note di testa”) per un percorso profondissimo che, malgrado la “precisione del taglio”, connette visibile e invisibile, mette in relazione noto e ignoto. Un percorso viscerale che è anche un insieme inscindibile di senso e di suono “tradotto” da un linguaggio solido, quello riconoscibilissimo della Caliò, che rischiara e attira il lettore verso un ricominciamento.
Perché “Di tu in noi”?
Di Tu in noi è, era, un gioco fra di noi: usavamo il pronome diretto invece di quello indiretto (ehi, dico a tu!, per fare un esempio), era una cosa bambina che ci faceva sorridere molto. Ho voluto tenere il sorriso e la tenerezza che c’è dentro questo anacoluto.
“nell’infinita luce passante/ per un solo dolore”, cosa può la poesia “nella precisione del taglio”?
Credo possa dare le coordinate del dove e del quando. Può tenerti a galla mentre la corrente degli eventi ti strappa via. È uno sforzo di risalita che si risolve in un prostrato sollievo.
In che modo la vita diventa linguaggio?
La vita diventa linguaggio perché come il linguaggio è un codice di segni e suoni. Siamo parole, siamo le poche sillabe che fanno il nostro nome e ci identificano; nei casi migliori siamo parole che diventano azioni e danno la misura e il significato di noi, nel bene e nel male.
La poesia è tale se diventa portatrice di una visione; qual è la tua opinione in merito?
La poesia è un costante lavoro di linguaggio e sul linguaggio; è portatrice di una visione perché il poeta traspone l’esperienza di cose, luoghi, persone, tenta di dire in modo altro e quella visione può diventare strumento e medicamento per chi legge.
Qual è stato, ad oggi, il dono più prezioso ricevuto in dono dalla poesia?
Almeno tre doni: la possibilità di riconoscere me stessa attraverso la lettura dei versi altrui, la possibilità di conoscere me stessa attraverso lo sforzo di nominare le cose. E poi sentire gli altri ed essere sentita da loro, mi riferisco alla commozione e alla tenerezza che arriva dagli altri quando si riconoscono in ciò che scrivi e te lo comunicano.
scelte per voi
Ti tengo
nell’entroterra dell’anima
in un respiro di due sillabe
nel silenzio che fanno gli occhi
quando spalancati sentono
quel perdersi bello
nel nulla del passo
—
Mi costringo a mettere un nome
a ogni cosa che fa tempesta
mi tengo compagnia coi numeri
che insieme fanno l’alfabeto
di noi
nell’inesausto dilagare di tuono
è ancora nostro quell’istante nudo
—
È uno straripare di mondo
che uguale si ripete
ignaro
di noi a occhi chiusi
in un presente con gli argini
rotti
—
Si fa sottile l’anima
nella precisione del taglio
e non è chiaro
se arriva o se ne va
nell’equivoco dell’aria
che manca
tutto
è contrazione
—
Nulla sappiamo della mano
che ci regge il giorno
a tremare
fra la memoria e la sete
di noi stessi erranti
è certo
il destino corroso
(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 04.04.2021, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).