Cinque poesie da ‘La cura’

Into the deep di Danny McCaw

Anteprima

cinque poesie tratte da La cura, in uscita per Fermenti Editrice, 2015

Ospedale, madre morta

All’ora in cui ci lasciò
facesti cadere la maschera
e il fanciullo abbandonato gridò:
« cosa faremo? »
Quale risposta, padre?
Il cadavere sparirà
coni vestiti occultati,
sogneremo di orribili paesaggi,
luoghi insopportabili dove i morti
a bocca aperta s’ammucchiano
sul nostro cammino.
Ci saranno serpenti ovunque,
altissime onde ci impediranno
di lasciare l’isola.
Potremo solo camminare
in questa natura alla frangia
dell’umano, come due alieni
privati di parole. Forse così
imparerò a conoscerti,
ad amare il tuo vero volto.

 

Dallo Shobogenzo*

Sei il genere di persona che scende a bere nei burroni,
ma hai bisogno di un mestolo assai lungo
per portare alla tua bocca quest’acqua viva.
Dove andrai a procurartelo ? Quale
estensione miracolosa del tuo braccio
o esercizio giornaliero di fatica e riposo
servirà in questa regione che hai scelto?

*Opera del filosofo e maestro zen Eihei Dogen (1200-1253)

 

L’hotel

Per te sono denti da collezionare,
la mia lingua da appendere al soffitto
e i capelli da stirare
con la colla su un manichino.
Questo è vedere, non amare,
questo è provare a toccare
per sapere cos’è reale.
Quando il cuore s’è freddato alla finestra
l’amante è scomponibile, e vincono i dettagli.
Il terrore ti fa parlare molto chiaro.
Parti? Rimani? Chi chiamare?
Meglio mordere un mio osso che soffrire.

 

Un cuore indiano
a Jim Harrison

Ben oltre la testa del cavallo, il muso esigente,
le froge che espellono vapore, cammino
per i sentieri dietro la casa d’infanzia,
e ho anni abbastanza per sentire che è bene
perdersi, non tornare. Sarà già autunno
e mi aspetto di sicuro di afferrare qualcosa
tra quelle bestie.
Ma nessuna traccia d’uomo,
se non macchine infossate nelle sponde dei viali.

M’introduco nella proprietà che non conosco.
Un nuovo cammino a destra della strada
dai sassi bianchi. Giungo a un lago artificiale
sotto i monti di tufo mi siedo
davanti a questa placidità,
allegro della scoperta, ma
sperando che accada qualcosa.

Un’isola è cresciuta al centro
della pozza, con alberi e insetti
a sciami. Sarebbe inutile arrivarci,
ma trovo bello il posto per morirci.
Poi dei cani sulla cima della rupe
abbaiano e un uomo con loro
mi urla di andar via.
Ai primi segni del temporale una poiana s’alza
divaricando le più grandi ali mai viste.

 

Yom Kippur

Non c’è Gesù che scacciava mercanti e usurai.
Gli scambi meno pregevoli si diffondono.
Il rabbino intona i versi del perdono
e ha alle spalle gli indifferenti.
Chi saranno i più devoti
colui che dorme o finge,
la fronte incollata al Libro,
o l’amico drappeggiato di bianco?
Una scimmia nascosta tra le volte,
più in alto delle donne,
scenderà con la sua grazia?
Il popolo è già chino,
una marea di sudari è distesa
perché il tuono del cielo ci spaventa
ed io sono nudo.
È una famiglia a ripararmi con la tenda
per pietà o timore celeste
e il corno della libertà dà l’inizio.
Andate a nutrirvi! Sul marciapiede
il Tempio riversa i suoi naufraghi.
Che i figli rimpiazzino i genitori!

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