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Poesia

“Ostinarsi a far parlare il nulla / a cercare parole che non hanno voglia / frequentare il deserto senza voce / senza respiro, macchie di ruggine / – magari! – senza arnesi perduti / nella sabbia – magari! – un deserto / senza sabbia senza caldo senza freddo / senza scoppi di luce al buio – magari / magari! – mangiare un pezzo di pizza / – magari! – Masticare. Faccio finta. Che meraviglia / essere in vita, ci si può persino lamentare”. Con questi versi inizia il nuovo libro composito di Patrizia Cavalli, il suo sempre aperto teatro apre il sipario alla dimensione del desiderio, anche quando questo è uno spettro (vedi Derrida, Lacan in proposito) avido e lunatico. Un poeta si distingue dalla voce, il timbro della Cavalli è inconfondibile, salottiero e colto, umorale, da flâneur romana (cfr. poemetto La patria, pp. 17-26, passeggiata walseriana che perlustra geograficamente e psicologicamente il Belpaese), scandito da pause e accenti teatralmente svagati, ondivaghi, riottosi a ogni recinto normativo. Un’autodefinizione direi impeccabile ce la offre forse inconsapevolmente l’autrice, quella di maestà barbarica (dal poemetto La maestà barbarica, pp. 11-14), che rende molto l’idea della sua costante oscillazione poetica tra pensiero aristocratico e selvaggia adesione agli istinti (scrive bene Berardinelli quando parla di «Tempeste atmosferiche e ormonali, ritmi del corpo e delle stagioni», cfr. retro copertina). Prepotente, davanti a questi versi, mi si para davanti un aforisma di Kraus: “Nell’inautentico l’autentico si esalta”; così, in una dimensione sempre più poematica e pubblica (vedi il libretto d’opera Tre risvegli, pp. 43-65), la natura orale, cantabile, connessa alla dimensione filosofica, esplorativa, trova vigore in cori, voci, personaggi e proiezioni “costruite” per corrispondere con l’altro (vedi il bellissimo componimento Tessere è umano), sempre rivolgendosi allo spettatore (prima che lettore), condividendo con lui anche certe idiosincrasie come quella legata all’inquinamento acustico (cfr. poesia p. 8 e L’angelo labiale, pp. 81-84).

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