Nel riflesso allusivo del verso. Il Carme presunto di J. L. Borges

J. L. Borges Grafica di Nino Federico
J. L. Borges Grafica di Nino Federico

l’étranger

«Il mondo e il libro si rimandano eternamente e infinitamente le loro immagini riflesse. Questo potere indefinito di riverberazione, questo scintillante e illimitato moltiplicarsi che è il labirinto della luce che peraltro non è un nulla, sarà allora tutto ciò che troveremo, vertiginosamente, in fondo al nostro desiderio di capire». La citazione è tratta dal capitolo di Blanchot “L’infini littériare: l’Aleph” contenuto nel saggio Le livre à venir (Gallimard, 1959). Il capitolo venne in seguito utilizzato come introduzione alla versione italiana di Ficciones ad opera di Franco Lucentini (Finzioni, Einaudi 1967). Blanchot, parafrasando Borges, dice che «l’essenziale è la letteratura […], l’unità inesauribile di un solo libro e la ripetizione estenuata di tutti i libri». Dopo Finzioni e L’Aleph, il nostro Omero argentino affidò nel libro Poemas 1923-1958 il corpus della sua poetica, vi aggiunse poi altri versi in una nuova edizione nel 1964, accompagnata da un prologo, definendola Obra poética. Questa ripubblicazione prese il titolo di Carme presunto nell’edizione italiana curata da Umberto Cianciòlo (Einaudi, 1969). Non basteranno qui tremila caratteri e nemmeno tremila parole per circoscrivere la ricchezza dell’antologia. Tuttavia la citazione di Blanchot riporta un indizio illuminante, e questo indizio è contenuto nel termine riverberazione. Il fiore poetico del nostro autore dischiude molteplici sentieri tematici legati alla biografia e alla storia. Nei suoi versi la finalità non è solo di sublimare una memoria cristallizzatasi nel tempo, il giardino botanico, il cimitero della Recoleta, i sobborghi, il patio di casa, non è celebrare la pampa e il sentimento atavico nel ricordo di suo bisnonno il colonnello Isidoro Suárez, non è solo l’acutezza penetrante della parola, la raffinatezza dello stile o il pensiero filosofico. È qualcosa di più, va ben oltre: è proprio nella riverberazione dalla biografia alla storia che riusciamo a percepire lo spazio allusivo della sua arte dove finalmente il verso guadagna quel fatidico riscatto di universalità a beneficio del lettore. Insinuazione di una molteplice unità! Buenos Aires per esempio diventa luogo del mondo, Buenos Aires è ogni luogo, fino a mutarsi in poesia («la città vive in me come un poema», Vaniloquio). Borges si muove in una scrittura congetturale, certamente intellettuale, ma capace di un lirismo composto di nostalgia, rimpianto e sentimento e che trova piena espressione nel cosiddetto hecho estético, il fatto estetico. Il poeta, in tale prospettiva, diventa padrone dell’ambiguità, desidera esprimere una dimensione aperta a tutti perché la biografia possa diventare un motivo di condivisione umana. Leggere poesia significa entrare in un mondo dilatato, grazie alla poesia albergherà in noi «una pienezza, un’estasi». Insomma è un mondo dove l’altro è lo stesso uguale a noi, dove el otro e el mismo corrispondono. Non importa l’autore, importa la poesia che il lettore incontra come quando, sul notorio esempio di Berkeley, il palato conosce il sapore della mela solo se la morde. È questo uno dei più grandi insegnamenti del poeta argentino. Sciascia scrisse nelle sue Cronachette che Borges non esiste. Borges è la letteratura sotto umane e mentite spoglie.

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