“Ogni dipinto è una pagina del mio diario”. Elisa Anfuso, vincitrice del IV Premio Internazionale di Pittura “Giuseppe Sciuti”.

ph Alessandra Lanzafame

«La sua pennellata indagatrice, il suo colore realistico, disteso per velature trasparenti, i suoi impianti compositivi, costruiscono aperture sui luoghi della quotidianità dove la gioia è spesso mista al dolore e alla malinconia. Particolarmente sensibile alla figurazione e all’ambientazione fiamminga, inserisce nello spazio iconico i momenti gioiosi e difficili del germoglio vitale. […] Le potenzialità tecniche e il controllo sicuro delle strutture spaziali le consentono di muoversi con libertà creativa, senza tentennamenti di sorta, con la stessa sicurezza di chi respira con piena energia. Ad Elisa Anfuso, pur giovane e con un futuro radioso davanti a sé, va il merito di avere già inciso un solco indelebile nel linguaggio artistico contemporaneo. Il suo stile pittorico fa già scuola e tendenza e riempirà, da qui a poco, le pagine più luminose del nostro tempo». Un passo dalla motivazione – scritta da Paolo Giansiracusa (Direttore Accademia di Belle Arti di Siracusa) – ispirata dalla sapiente creatività di Elisa Anfuso, giovane catanese vincitrice del IV Premio Internazionale di Pittura “Giuseppe Sciuti”. Con la supervisione del direttore artistico, Giansiracusa, la giuria, presieduta dall’Assessora Graziella Torrisi, ha assegnato la menzione d’onore.
Lo stile narrante che coniuga per traslati la poetica del reale agli insegnamenti (speculari) della favola, distingue le singolari opere della Anfuso che abbiamo intervistato.

Chi è Elisa Anfuso?
Una domanda che vale una vita, o tutte quelle che abbiamo a disposizione. Non ce l’ho una risposta. Ho provato a darmene tante ma tutte lasciavano un fondo buio sotto, ed un velo di inquietudine sopra. Elisa è un puzzle liquido di storie, alcune vere, alcune inventate ma tutte assai reali. Elisa è amica dei mostri e siedono sempre a tavola con lei, indossano buffi cappellini da festa e candidi bavaglini ricamati a mano. Ho così tante immagini dentro me, e ricordi e odori e dolori che non riuscirei a metterli tutti insieme in una sola definizione di me. Elisa non fa che chiederselo chi è, tutte le possibili risposte potrete trovarle in fondo ai suoi dipinti, oltre la finta trama delle tovaglie di lino, col rosso dei canditi a punteggiare il discorso.

Quanto somiglia alle sue ‘concezioni’?
Da piccola, come tutte le bambine della mia età avevo un diario segreto, centinaia di pagine in cui sputavo fuori quanto di bello e di brutto il mondo m’aveva offerto quel giorno. Ecco, diciamo che non ho mai smesso di scriverlo quel mio diario segreto, solo uso un altro linguaggio, parole fatte di luci ed ombre, modellate dal colore, su tele in lino senza più quadretti da seguire. Ogni dipinto una pagina del mio diario insomma. Semplicemente è successo che le immagini cominciassero a fluire più facilmente delle parole. Chi mi conosce attraverso le mie opere, conosce di certo la mia parte più autentica. Ogni tela è un frammento della mia biografia, tutte insieme sono uno straordinario album dei ricordi. Attraverso di esse ho il coraggio di guardare dentro il mio buco nero senza farmene risucchiare, le mie tele sono catini che talvolta diventano scudi. Rimangono sempre parole inespresse, giù nel mio fondo, ed è allora che diventano visione e trovano la forza di affiorare a galla.

Ci parleresti – dalla fase iniziale a quella conclusiva – del tuo personalissimo processo creativo?
Accade sempre come un’urgenza, un fatto inevitabile. Delle volte l’opera se ne sta già lì, sotto ad un pensiero… vedo i toni che avrà la tavolozza, i dettagli dell’incarnato, il senso farsi strada tra le linee del disegno; altre volte devo scendere proprio giù, e scavare, scavare. Alcune opere sono come fiumi sotterranei, ti obbligano a seguirli nel loro percorso spesso assai tortuoso, prima di trovare il punto giusto in cui vengono alla luce con tutta la loro forza. Faccio moltissimi scatti in studio, la fotografia è una fedele compagna nell’inseguire la visione, mi permette subito di fissarla, di ribaltarla persino, di lasciare che per prima si manifesti proprio a me. Ad ogni dettaglio che aggiungo scavo un po’ più a fondo e si svelano significati sino ad allora nascosti, che credevo inaccessibili. La tela bianca infine accoglie le mie visioni come una madre, il colore, velatura su velatura, diventa una sottilissima seconda pelle, come sangue scorre sotto il fiume dei significati.

Quali sono (o sono stati) – e per quali ragioni – i tuoi modelli e i tuoi colori di riferimento?
Tutta la corrente simbolista mi ha sempre profondamente affascinata. È la forza arcaica del simbolo che ha il potere straordinario di congiungere e continuamente rimandare ad un altrove e, incurante delle contraddizioni, giocare sull’ambivalenza. Ma si sono espressi per simboli anche artisti cronologicamente lontani dal simbolismo storicizzato, da Piero della Francesca a Frida Kahlo. È dal potere evocativo del simbolo che nasce l’inquietudine. E poi i bianchi vibranti di Wistler, il silenzio buio delle scene di Bocklin, i tratti malinconici delle donne preraffaellite, la deliziosa cura per i dettagli tanto cara ai fiamminghi.

Quanto c’è del ‘luogo’ al quale senti di appartenere nei tuoi lavori?
Alcune cose ce le portiamo dentro senza neanche esserne consapevoli, ne conservano memoria genetica le nostre cellule ma non noi. Mi sono sempre sentita poco siciliana ad esempio… un animo troppo crepuscolare il mio per sentirsi a casa in un terra tutta sole e mare e luce abbagliante. Ma la Sicilia è anche culla di fiabe e leggende e miti così antichi da averne perso l’origine nel tempo, i figli di questa terra portano dentro un discorso ancestrale ed hanno l’anima ricca di suggestioni. L’immaginario che negli anni ho alimentato ha atmosfere più fredde e decadenti, è illuminato da una luce più diafana e ci sono luoghi di buio assoluto ma tutto questo è intrecciato alle mie radici, così diverse da averle credute aliene per molto tempo. È una storia nuova ma che viene da molto lontano.

Com’è nata la tua passione per l’arte? Cosa ha significato e, oggi, cosa significa?
Se mai c’è stato un inizio, non lo ricordo. Ho questa immagine di me, una delle prime impresse nella mia memoria, di questa bimba dalle manine paffute coi pastelli in mano e il foglio bianco davanti che, alla domanda di rito “cosa vuoi fare da grande?” rispondeva con fierezza: “disegnare!”. Più che una passione è un modo di sentire la vita, la mia vita, e di dare un significato al mio esserci. L’arte mi ha salvata, questo non mi stancherò mai di ripeterlo, è stata ed è un solido rifugio dai miei tormenti, un pozzo profondo ed inesauribile, una via d’accesso privilegiata verso l’inconscio e le sue oscurità ed ancora uno specchio sempre nitido, persino ai miei occhi miopi.

Qual è la tua ‘attuale’ definizione di arte?
Questa è una domanda ardita, alla cui risposta si lavora incessantemente da secoli. Tutti i più eminenti pensatori, filosofi, artisti e non, si sono cimentati in una risposta ma l’Arte rifugge per sua natura a qualsivoglia definizione, l’Arte non dà risposte, è essa stessa la Risposta. Qualche anno fa ti parlai dell’artista come fosse un po’ uno sciamano in grado di connettere mondo e coscienza ed è un pensiero quanto mai attuale. Chi potrebbe guidarci? Chi altro se non l’artista può aiutarci ad interpretare questo mondo così caotico ed insensato?

“Vicina allo Sciuti nelle aperture spaziali, recupera dal passato quell’armonia cromatica e quell’equilibrio compositivo tanto cari al sentimento di bellezza dell’umanità nuova”, uno stralcio dalla motivazione del Premio Sciuti 2017 per chiederti un commento sulle evoluzioni e sulla direzione intrapresa dalla tua ricerca stilistica.
Forse la tela è il solo posto in cui riesco a trovare un equilibrio e mettere le cose in armonia. Forse, tanto più la mia anima si perde quanto più riesce a creare il giusto contrappeso per ritrovarsi.

Per concludere puoi parlarci dei tuoi progetti futuri e dirci in quali musei e gallerie è possibile ammirare le tue tele?
La parola futuro mi suona sempre atroce, mai fatto troppi progetti. Del resto a guardarmi indietro è facile capire come sia sempre stata la mia arte, nella sua necessità, a determinare il corso della mia vita in ogni suo aspetto, non il contrario. Restando ancorati al presente, le mie opere sono curate dalla Galerie Augustin di Vienna e dalla Liquid Art System di Franco Senesi e sono orgogliosa di dire che un mio dipinto è presente nella collezione del MacS di Catania, il museo di Arte contemporanea siciliano, al fianco di artisti straordinari. Dipingerò finché ne sarò capace, e spero di esserlo sino alla fine. Ecco, questo mi sembra di poterlo dire, anche se non lo chiamerei progetto, forse destino.

Elisa Anfuso, Le mie prigioni, 2015.
Elisa Anfuso, Marcondirondello (Le apparenze incantano), 2015.
Elisa Anfuso, Mondi Celesti I. L’esperienza della carne e della gravità, 2016.
Elisa Anfuso, Mondi Celesti XI – The return of the King, 2017.

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(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 15.09.2017, pag. 15, Cultura).

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