Domenico Cipriano, la poesia è la percezione dell’eternità.

ph Dino Ignani 

«Ci stringeremo in un più breve spazio/ e violeremo la nostra segretezza/ cercando l’eterno/ in ogni fotogramma del ricordo/ nell’indaco del cielo che si rinnova agli occhi». Versi “divinatori”, scelti per introdurre la lettura del nuovo libro di Domenico Cipriano, “L’origine”, edizioni “L’arcolaio”. Raccolta dalla quale, come scrive il curatore Gianluca D’Andrea, emerge «un sentire che si fa volontà di nominazione, per cui gli slanci verbali si mescolano a elenchi che manifestano una rinnovata aderenza tra materia verbale e mondo, in nome di una concretezza che si fa appartenenza, fiducia rinnovata». Raccolta pensata in tre sezioni (“Un intimo inizio”, “Reminiscenze del sole” e “Il silenzio”) introdotte da altrettante “guide all’ascolto”, indicazioni di brani ideali, emotivamente legati alle poesie. Leggendo, nel «respiro incessante» del creato, nel «sangue rifiorito in vita», si afferra la sostanza del legame tra tutte le cose, del tutto in relazione con tutto, del tutto che «si riannoda, senza il suo contorno», che «riappacifica ogni sogno», che annulla «la distanza sconfinata dalle stelle», che ci restituisce al «giorno da cui non possiamo separarci».

“Rifluisce in me ogni istante / e un’onda col suo flusso mi rinnova / spingendo la corrente di risacca / a un nuovo inizio”. Con i tuoi versi (tratti da “L’Origine”), ti chiedo: la poesia può (e, se può, in che modo) ricondurci alla sostanza della vita, alla “origine smarrita”?
Gli eventi del vivere e i suoi meccanismi spesso ci allontanano dalla sostanza della vita, fatta di affetti e rapporti umani, prima di tutto, nonché del percorso che abbiamo tracciato o già avviato da chi ci ha preceduto. La poesia, scavando emotivamente dentro di noi, aiuta sicuramente a metterci in relazione con questi sentimenti e, nello stesso tempo, riesce a far emergere ciò che inconsciamente portiamo originariamente con noi, ma che si rivela attraverso la scrittura o la lettura dei versi, aprendoci a nuove conoscenze altrimenti smarrite per sempre.

Se la poesia è conoscenza, fin dove ti hanno condotto la sue scintille?
Ho sempre scritto e letto poesia e non saprei immaginare la vita senza questo elemento per me vitale. Sicuramente mi ha aiutato meglio nella conoscenza di me stesso, ma anche nel cambiamento di quelle convinzioni e quei pregiudizi “ancestrali”, dovuti all’ambiente e ai tempi, che avevano bisogno di confronto. La lettura dei poeti, ma aggiungerei la conoscenza di altre forme d’arte (non a caso affianco spesso la musica alla poesia, e nel libro “L’origine” troviamo due disegni realizzati da Francesco Balsamo e Marta Pegoraro), mi hanno portato ad una continua riscrittura anche critica della visione del mondo, riscoprendo e valorizzando elementi del passato, ma anche il loro superamento rapportando le mie esperienze con gli altri modi di vedere le cose, scoprendo un equilibrio in ciò che ci circonda, una convivenza di tempi e realtà apparentemente differenti ma nutriti dalla stessa precaria appartenenza all’umanità.

Qual è la tua “attuale” spiegazione/definizione di poesia?
La percezione dell’eternità.

“Soffro la distanza dalla scrittura / l’indecifrabile cantabilità immaginata di una paese”, ancora i tuoi versi per chiederti: la poesia necessita più di ascoltare o di essere ascoltata?
Sono le due facce di una stessa medaglia. Senza ascolto la poesia non può esistere, ma se non viene ascoltata è come se non prendesse mai vita.

Quando una poesia può dirsi compiuta?
Soprattutto negli ultimi anni scrivo pochi versi, anche perché per poter comunicare messaggi importanti e apparentemente nuove in poesia occorre che maturino dentro di noi e si rivelino con i loro tempi. Poi occorre che un testo vada rivisto dopo un po’ di tempo. La poesia sarà compiuta nel momento in cui, anche dopo mesi, rileggendola darà ancora quegli stimoli iniziali con le giuste parole e nella forma che sentiamo ancora viva e giusta perché ne sentiamo il compimento senza volerla più cambiare.

Qual è  l’incarico della poesia?
Aprire al mondo intorno a noi, far comprendere che un atto artistico, tra ricerca del linguaggio e osservazione della realtà, riveli la profondità dell’esistenza, la grazia che si nasconde in ogni cosa, anche la più oscura e impenetrabile.

Per la Blandina “la poesia è più vicina al miracolo che al mestiere”, per Cipriano?
Se non c’è il mestiere del poeta quel miracolo iniziale della poesia rischia di appassire senza fiorire completamente. Sono due elementi imprescindibili nella creazione poetica.

La parola poetica, per preservare la propria efficacia comunicativa, deve “esprimersi” usando il linguaggio del tempo in cui nasce e vive?
Sicuramente sì. Ogni forma d’arte esprime il proprio tempo, ciò non significa che debba utilizzare il peggio della forma comunicativa, ma sicuramente deve avvolgere il fruitore con un linguaggio che è vivo nel tempo in cui si nasce.

Riporteresti una poesia dal tuo “L’origine”, per salutare i nostri lettori?
La poesia che scelgo per i lettori è dedicata a mia figlia e ha in sé il significato di tutto il libro. C’è un momento della nostra esistenza, apparentemente senza un significato preciso, ma in cui si condensa un perfetto momento di benessere e che, a volte, torna come una sottile nostalgia. Un istante a cui siamo riportati inconsciamente, una intimità delicata di cui non sappiamo spiegarci il perché, un episodio che non penseremmo mai di raccontare come un momento fondamentale della nostra vita. Eppure è probabilmente l’attimo della nostra “origine”, quello da cui prendiamo forza. È un momento in cui si condensa, forse, l’essenza del nostro essere al mondo.

 

*

(a Sofia)

C’è sempre un risarcimento
un ciottolo di selce levigato
una disposizione del carbonio che scintilla
o il fuoco addomesticato
a sedimentare la memoria del cosmo. L’istante
dove spunta l’inizio dei pensieri
la nascita.

Ci saranno dissolvenze, la grazia di frammenti
provenienti da lontano, nelle foto
nei diagrammi dei ricordi. Solo una scena si ripete
spuntando da un’epoca scolpita
nel tepore di un’auto in partenza, in un viso trasformato.

Un dettaglio marginale – sepolto o inaccessibile –
che compensa l’angoscia
la distanza sconfinata dalle stelle.

 

 

Domenico Cipriano. È nato nel 1970 a Guardia Lombardi (AV), vive e lavora in Irpinia. Vincitore del premio Lerici-Pea 1999 per l’inedito, ha pubblicato: Il continente perso (Fermenti, 2000, prefazione di Plinio Perilli, nota di Paolo Fresu, premio Camaiore opera prima), L’enigma della macchina per cucire (L’Arca Felice Edizioni, 2008), Novembre (Transeuropa, 2010, prefazione di Antonio La Penna, rosa finalista premio Viareggio), Il centro del mondo (Transeuropa, 2014, postfazione di Maurizio Cucchi), November (edizione bilingue a cura di Barbara Carle, Gradiva Publications, New York, 2015) e L’Origine (L’arcolaio, 2017, nota di Gianluca D’Andrea) che inaugura la “Collana ɸ”. Ha collaborato con vari artisti; ha realizzato il CD di jazz e poesia JPband: Le note richiamano versi (Abeatrecords, 2004) e, dal 2010, guida la formazione jazz-poetry “Elettropercutromba”. Ha scritto i testi di #Hirpiniafelix “Pecore, zappa, scalpello e computer” a cura del Festival internazionale di media art FlussiTalk Rurality 2.0, video-performance presentata a EXPO 2015. Presente in numerose riviste e antologie, è redattore della rivista “Sinestesie”. (www.domenicocipriano.it)

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA di domenica 11.03.2018, pagina Cultura).

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