Enea Roversi, “Incidenti di percorso”, per ripercorrere quarant’anni di scrittura “suggerendo domande”.

«Liberaci dal male, o Signore./ Liberaci dalle flatulenze del potere/ Dall’arroganza interministeriale/ E da quella misera e quotidiana/ Dagli amici corrotti e dai nemici nascosti/ Dalla triviale opulenza/ E dall’inaccettabile sofferenza/ Dai parassiti di ogni specie/ Dai padroni delle guerre/ Dagli uomini stupidi e pericolosi». Dalla poesia – datata 2011 e sempre amaramente attuale – “Preghiera del cittadino stanco”, versi di Enea Roversi, scelti dal volume “Incidenti di percorso”, pubblicato da “puntoacapo”, nella “CollezioneLetteraria”.  Non si placa, nello scorrere implacabile del tempo, il «bisogno di sapere» di un autore che, presente al «peso delle parole», mosso da sottile ironia, procede il proprio lucido e millimetrico “scavo” nella realtà di «un mondo capovolto». Dal «delirio dell’abbondanza», alla ricerca dell’amore (“riscoprire la meraviglia”), della «felicità», della «verità non detta», della «miseria/ intellettuale», dell’ingenuità sognante dei bambini «infilati nei cappottini blu», del «passo ancor non del tutto ritrovato», delle «piccole macchie da cancellare», del rumore «immagine di un’umanità imbarbarita», allo «statico senso/ di deprecabile solitudine», non sfugge nulla dell’irrisolto «gioco/ dell’esistenza».

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Incidenti di percorso”?

Incidenti di percorso è nato dall’esigenza di dare visibilità a testi che non erano entrati a far parte delle raccolte precedenti e ai quali però mi sento particolarmente affezionato. Sono testi nati per lo più come singole poesie, non facenti parte di un progetto, a volte sono tentativi di cambiare rotta nella scrittura: una sorta di unicum, insomma, come ho scritto nella breve nota che introduce la raccolta. È anche un modo per ripercorrere quarant’anni di scrittura: tanti sono infatti gli anni che intercorrono tra i testi più vecchi (datati 1981) e il più recente, Incidenti di percorso per l’appunto (scritto nel 2021), che mi è sembrato il più adatto come titolo per l’intera raccolta.

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Credo che il linguaggio nasca dalla vita e da ogni sua rappresentazione. Ogni accadimento e ogni sensazione che proviamo si può trasformare in linguaggio o comunque può contribuire a trasformare la parola della propria scrittura. Nel mio caso trovo elementi utili sia nel quotidiano che nell’immaginato: non so se, nello specifico, sia la mia vita a diventare linguaggio, so per certo però che si tratta di vita ed è di quello che intendo parlare.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

Uno dei miei punti fermi è che la poesia non deve dare risposte, ma suggerire domande. Non deve tramettere certezze, ma sollevare dubbi. È per questo che amo la poesia complessa (attenzione: ho detto complessa, non complicata): quella che fa riflettere e genera nel lettore quelle domande e quei dubbi di cui sopra. In questo senso la poesia è la lingua che dà voce al pensiero articolato, è la lingua del non detto e dell’indicibile e può diventare altresì la lingua dell’invalicabile, dell’inaccessibile, dell’irrisolvibile. Non so se la mia poesia riesca a generare nel lettore dubbi e domande: io ammiro profondamente gli autori che ci riescono, così come ammiro gli autori che riescono a trasmettere sensazioni profonde attraverso una versificazione accessibile e apparentemente semplice.

Con i tuoi versi, “Turpiloquio dell’anima/ dove rabbia secerne ombre/ solitudine giallastra e spigolosa/ urla”, chiedo: la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta?

Chi scrive è sempre solo, nel momento dell’atto dello scrivere. Marguerite Duras diceva: «Ci vuole sempre una separazione dagli altri intorno a chi scrive libri. È una solitudine, la solitudine dell’autore, quella dello scritto.». Nella sua pensosa solitudine, come acutamente la definisci tu, il poeta è in realtà in compagnia del proprio scrivere e quindi il suo essere solo è già in partenza colmato, seppur parzialmente. Penso che la poesia sia in grado di colmare, oltre a quella del poeta, pure la solitudine del lettore. Si tratta secondo me, in entrambi i casi, di un rapporto privilegiato di solitudine: non un momento di penosa infelicità, ma un momento di emozione strettamente personale che non si può condividere con nessun altro.

La poesia può risolvere – ancora i tuoi versi – le “nuove cromatiche sciagure”?

Temo che le sciagure ci saranno sempre: purtroppo non serve essere profeti per pensarlo. Se nuove e cromatiche oppure vecchie e ripetitive, sempre sciagure saranno e la poesia non servirà certo a risolverle: magari avesse questo taumaturgico potere. Sono convinto che la poesia non salverà il mondo, come qualcuno sosteneva, però sono altrettanto convinto che possa contribuire a migliorarlo. Come diceva Jean Cocteau: «So che la poesia è indispensabile, ma non saprei dire per cosa.». Ed è proprio così: della poesia non possiamo farne a meno, anche se non sappiamo spiegarci la ragione.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica? E il “suono”?

Ammesso e non concesso che esista una “verità” della parola poetica, questa verità va ricercata anche attraverso la forma. Nella poesia la forma è importante, perché sottintende ricerca e impegno da parte di chi scrive: riportare un pensiero, anche profondo, in maniera sciatta non è poesia, tuttalpiù può essere cronaca e il solo andare a capo non basta. Altrettanto importante in poesia è il suono: nell’ultima raccolta che ho scritto sono partito proprio dal suono e su di esso ho lavorato, insieme alla metrica. Ho lavorato sulla forma, prima che sul contenuto, che comunque non manca: s’intitola sensibile alle minuscole perché uso solo il carattere minuscolo, anche per i nomi propri. È una raccolta inedita e lo rimarrà ancora per un po’: prima lascio decantare Incidenti di percorso.

Qual è stato, ad oggi, il dono più prezioso ricevuto in dono dalla poesia? 

Questa è una domanda insidiosa, mia cara Grazia, perché si rischia di scivolare sulla buccia di banana della retorica, dicendo cose che sembrano fatte apposta per toccare le corde emotive di chi legge. Scherzi a parte, non ho un dono particolare da menzionare, se non quello di aver avuto, grazie alla poesia e agli eventi poetici, l’occasione di conoscere decine e decine di autrici e di autori, di aver potuto leggere e ascoltare i loro versi, di avere condiviso con loro diversi momenti di arricchimento personale, perché s’impara sempre qualcosa di nuovo quando ci si confronta con altre voci. Come vedi, sto correndo il rischio di scivolare come dicevo poc’anzi: spero di essermi mantenuto in piedi. Tu che dici?

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal tuo libro “Incidenti di percorso” e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Scelgo il peso delle parole perché è un testo al quale sono particolarmente legato: è del 2018 e rappresenta una specie di spartiacque nel mio percorso poetico. È un testo che s’interroga sul senso della parola e quindi della scrittura e del linguaggio: che peso hanno le parole? Quanto pesa la parola scritta su carta? Quale ricerca c’è dietro a ogni parola che scriviamo? Ecco, la poesia nasce da questo: il continuo interrogarsi, il significato delle nostre parole e quello che rimane, dopo che la parola è uscita.

il peso delle parole

riappare (eccolo) il peso delle parole
ostinato e greve           confuso con
la grammatura della carta
per astratte materie e indivisibili misure
verso distinte e confinanti unità
si riavvolge il labirinto dei pensieri
degli elementi assoluti così
imperfettamente congrui     i solchi
le indelebili macchie fra le righe e gli spazi
poi la coerenza da non dimenticare mai
lo stile cercato nei cassetti e dentro
la polvere dei libri
la fatica della ricognizione tutto ha un inizio
nulla si conclude qualcosa rimarrà o
magari no     forse soltanto un peso inutile
un debordante avanzo di vuoto
e la scialba consapevolezza che il
tempo sposta le nuvole e
inchioda i sentimenti
alle pareti     per ogni anima perduta

Grazie, cara Grazia, per la tua ospitalità e la tua disponibilità e grazie a coloro che leggeranno questa intervista e vorranno magari andare ad approfondire la mia scrittura.

Visto che me l’hai gentilmente chiesto, propongo un breve testo da Coleoptera (puntoacapo Editrice, 2020): è il testo che apre l’intera raccolta e s’intitola latte ghiacciato. È nata in un modo banale: stavo camminando, un giorno d’inverno di qualche anno fa, a Bologna e faceva molto freddo. A un certo punto sul marciapiede c’è una lastra di ghiaccio, che cerco di evitare e da lì mi è partita l’immagine del latte ghiacciato, della macchia e del sole che scioglie il ghiaccio: tutto qui.

latte ghiacciato

sul marciapiede una macchia, con bianche striature
di liquido rovesciato o di bagnato indecifrabile
si diramano stelle in ambo i sensi sull’asfalto
sembra latte ghiacciato, forse brina dicembrina rappresa
cerco di evitarla, non mi chiedo il perché di questa
mia azione ma poi è calpestata ormai la brina
di latte ghiacciato che supera il pensiero
che oltrepassa la volontà di delimitare il
raggio d’azione              un raggio di sole che infine
scioglierà la macchia con scontata dolce efferatezza

 

Enea Roversi è nato a Bologna, dove vive. Si occupa di poesia da molti anni, collaborando con diverse realtà. È stato pubblicato su antologie, riviste e blog letterari. Le ultime raccolte pubblicate sono: Incroci obbligati (Arcipelago Itaca, 2019), Coleoptera (puntoacapo Editrice, 2020, Premio Città di Acqui Terme 2021) e Incidenti di percorso (puntoacapo Editrice, 2022). Si occupa anche di arti figurative (collage e tecnica mista). Fa parte dello staff del festival Bologna in Lettere. Gestisce il sito www.enearoversi.it e il blog Tragico Alverman.

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 26.03.2023pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

 

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