Giusi Contrafatto, “La Brezza del Soffio”

copertina contrafatto

Il silenzio delle voci

Il poetico appartiene al dominio del non dicibile interamente. Anche alla lettura più attenta dei testi, per usare le parole di un poeta, resiste “un nulla di inesauribile segreto”, che non si annulla e perdura, con tutta la sua forza coinvolgente. Questo statuto ineffabile si denuncia in termini di irresistibile evidenza quando ci si confronta con un discorso poetico ordito insistentemente da intrami e stami intensamente vissuti, che attraverso il filtro delle metafore si impongono e si testimoniano come tessere non effimere di un mosaico singolare, affettivo e linguistico.
I versi di Giusi Contrafatto si aprono a una lettura critica che lascia intuire i sentieri segreti lungo i quali Giusi giorno dopo giorno, parola dopo parola, ha intrapreso e patito il suo travagliato viaggio alla ricerca del proprio io. Un viaggio lungo, una quest inversa a quella di Odisseo, che, dopo aver conosciuto degli uomini le dimore e le passioni, anela a ritornare al proprio paese dopo avere misura dopo misura interiorizzato la dolenza della propria condizione.
Questa ineludibile solitudine, questa assenza degli altri nella quale noi stessi finiamo con il ritrovarci assenti, è il tarlo che travaglia la Nostra poetessa.
È difficile non lasciarsi emotivamente coinvolgere in un mondo poetico così drammaticamente vissuto e sentito. Il dovere critico impone tuttavia una analisi sistematicamente fondata. Hjelmslev, la cui modellizzazione del linguaggio possiamo scegliere come chiave di lettura della comunicazione poetica, suggerisce di distinguere espressione e contenuto, a loro volta articolati in forma e sostanza, fermo restando che all’esterno rimangono materie dell’espressione e del contenuto. Questo per quanto si attiene alla estensione sintagmatica dei testi. Riguardo alla loro articolazione paradigmatica, bisogna tener conto quanto meno di quattro livelli: la parole in cui si esprime lo specifico della emittenza individuale; Yuso che riflette la comunità culturale dell’emittente; la norma linguistica della società cui egli appartiene; lo schema quale fondamento logico e ideologico dell’atto comunicativo che, per l’identità a livello!
Strutturale della natura umana e del suo statuto esistenziale, esonda limiti etnici e statuali fino a comprendere l’intera umanità.
Con questa mappatura di ogni fatto comunicativo, dobbiamo entrare nel mondo poetico di Giusi, così come si sostanzia e si dispone nei suoi testi più significativi, tenendo conto della lezione di Borges, ripresa da Gibbon, che il pathos poetico si occulta spesso nel dettaglio. Dobbiamo pertanto non trascurare alcuni versanti e livelli che apparentemente marginali, di fatto ne sostanziano l’essenza poetica.
Preliminarmente consideriamo le materie dell’espressione e del contenuto.
Per la prima è assolutamente evidente che si tratta dell’italiano letterario. Se a livello di norma esso esita in una espressività linguistica che riporta a una tradizione letteraria vecchia di alcuni secoli, a livello dell’uso si inscrive in una pratica letteraria con molti debiti verso un certo ermetismo classicheggiante: Quasimodo, Caldarelli, non Montale.
Risorsa privilegiata e ricercata delle loro poesie è la metafora. In Giusi essa si afferma con particolare forza e esemplare coerenza rispetto al contenuto, fino a raggiungere per novità creativa e espressiva kenningar degli scaldi.
Sono possibili altri richiami, ma in sostanza per quanto si attiene sia alla sostanza dell’espressione sia alla sua forma, il discorso poetico di Giusi da un lato si mantiene prossimo a moduli letterari che accomunano, quanto meno da Petrarca in poi, i poeti lirici italiani, con eccezioni rare ma per questo più significative; dall’altro si segnala per una decisa e forte inclinazione a costruire i l suo immaginario con materiali metaforici del tutto originali. Quando si vive d’Amare / l’amore non si perde / è come una goccia di pioggia / cade in un fiume / svanisce passeggera allo sguardo / ma sai che giungerà /nell ‘immensità del tuo A-mare.
All’ordine coerente che articola e compone ai diversi livelli il piano dell’espressione, si accompagna, anche se di maggiore complessità, quello del piano del contenuto, nell’equilibrio non facile tra forma e sostanza. Per capire occorre muovere da una riflessione sulla materia che lo costituisce. Come risulta non questionabile dalle metafore utilizzate, la realtà naturale e umana che ruota intorno all’Autrice è quella del suo vissuto diretto: un quotidiano la cui presenza sembra occupare tutto lo spazio del suo immaginario. Appena però si passa dalla organizzazione logica di forma e sostanza e si trascorre dal contenuto apparente a quello profondo, si è costretti a ammettere che questo immaginario ideologicamente perimetrato è tale soltanto a livello delle strutture della manifestazione ,che se apparentemente occultano di fatto protestano una più generale e condivisa visione deserta della condizione umana Questa conversione del reale concreto e immediato in metafora della precarietà umana emerge e si impone in “Isola”: Metti il mare / e in mezzo al mare / metti un ‘Isola/ un cuore che palpita / il cuore del mondo / metti una generosa natura / irrorata del suo stesso sangue / mettici umani / di un Io muto / un super-Io sbraitante / se poi in alcuni casi / metti la nebbia / quella che offusca / e si veste di fumo / non ti fa ingannare/ non è fumo / e mentre il cuore palpita /palpita / è solo nebbia che offusca.
Non si tratta di angoscia conclusa nel giro limitato del personale quotidiano. Si avverte lungo tutto i l discorso poetico di Giusi: […] Passeggiare tra le diversità /districarsi, tra sassi e massi, arrestare il cammino / senza inciampare, scrutare, osservare ostacoli / che un prato verde di ciclica esistenza non contempla. / Sostare tra gli anfratti aggrovigliati / di una esasperata scomposizione di figure, di oggetti, / al di fuori di quella struttura spaziale / che annienta le norme di prospettiva comune / in virtù di una vita migliore. / Coerente al pragmatico, atteggiamento sovente incombe / l’ incomprensione, radice di un limite di orizzonti / dell’esplorazione, pur avendo cognizione / stessa medaglia di due facce che non si incontreranno mai.. […].
Siamo stati abituati a attribuire la diffidenza fatalistica verso l’uomo e la sua storia a quella sorta di specifico assiologico isolano cui si è dato i l nome di sicilitudine. Uno dei suoi primi teorici si ritiene essere stato Luigi Pirandello. Prima nel 1920 poi nel ’31, parlando dell’opera di Giovanni Verga, egli testualmente affermò: I siciliani, quasi tutti, hanno un ‘istintiva paura della vita, per cui si chiudono in sé, appartati, contenti del poco, purché dia loro sicurezza. Avvertono con diffidenza il contrasto tra il loro animo chiuso e la natura intorno aperta, chiara di sole, e più si chiudono in sé, perché di quest’aperto, che da ogni parte è il mare che li isola, cioè che li taglia fuori e li fa soli, diffidano, e ognuno è e si fa isola da sé, e da sé si gode – ma appena, se l’ha – la sua poca gioja; da sé, taciturno, senza cercare conforti, si soffre il suo dolore, spesso disperato.
Non pochi e ben noti Autori sono ritornati a ribadire questa rappresentazione della Sicilia e dei Siciliani. E un ritratto di maniera dell’essere Siciliani, che la poesia di Giusi smentisce. In ogni caso, come testimonia proprio l’opera di Pirandello, questo percorso dall’essere al nulla, certamente presente nella tradizione culturale siciliana, non tale da poter essere scelto a suo tratto identificante, ha una estensione spaziale e temporale più vasta. Da Nietzsche a Heidegger affonda le sue radici nella cultura mitteleuropea post idealistica, che appare essere l’orizzonte ideologico in cui si è formata la Nostra poetessa. È tuttavia rispetto all’appartenenza a questo contesto etnico che si misura e si definisce, distaccandosene, l’identità artistica della Contrafatto. Quel domani senza domani proprio della cultura e di un certo modo di essere Siciliani, che sembra emergere dalla visione del dolore umano suggerito dalla sua poesia, da lei stessa è negato e rifiutato.
Abbiamo toccato alcune corde dello strumento poetico di Giusi.
Altre meriterebbero di essere considerate. Come abbiamo appreso da Borges e Steiner la poesia, come il baconiano sapore del frutto, non è nel testo ma nella sua lettura. Bacone non aveva considerato che il sapore, pur generandosi nel palato, presuppone un frutto ricco di umori. Così è anche per la poesia. Quanto più essa è ricca tanto più genera sapore e saperi. Fuor di metafora, il fatto che la poesia di Giusi si offra a diverse letture, non è soltanto da riferire alle diversità delle decodifiche dei suoi lettori. Questo è un dato costante e scontato per tutti i prodotti della comunicazione soprattutto se letterari. In realtà è la densità espressiva e tematica del discorso poetico di Giusi a giustificare e legittimare la molteplicità delle sue possibili letture. In ogni caso l’intero delle occasioni e suggestioni che propone all’immaginario dei suoi lettori, è una testimonianza alta e nobile a favore di tutta la vera poesia come compagna e amica non solo della nostra solitudine ma anche di tutti coloro che sanno convertire in parole vive il silenzio delle umane voci.

 

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