Luis García Montero, Un romanticismo illuminato (Crocetti, 2024).

Non è semplice trovare un titolo analogo nella poesia contemporanea. Due termini che rimandino così esplicitamente a una tradizione culturale e filosofica, e poi critica, accostati insieme in una chiara, apparente antitesi, che combinati a loro volta rimandino a una dimensione saggistica, e non immediatamente a un libro, a una raccolta di poesia. Perché di raccolta si tratta, voluta da Luis Montero in tutta la sua natura di percorso e selezione e auto-presentazione di una larga parte della sua opera e di una precisa immagine della sua idea di poesia.

Capo Sunio

Col passare degli anni,
cosa proverò a leggere questi versi
d’amore che ora ti scrivo?
Me lo chiedo perché è nuda
la storia della mia vita davanti a me,
in quest’alba d’intimità,
quando la luce è improvvisa e rossa
e io sono quello che sono
e le parole
conservano il calore del corpo che le dice.

Saranno memoria e pelle del mio presente
o solo umiliazione, ferita intatta.
Ma col passare del tempo,
quando dolore e fortuna si consumano con noi,
vorrei che questi versi sconfitti
avessero l’emozione
e la quiete delle rovine classiche.
Che sempre la parola, sommersa nell’erba,
spunti con il corpo mezzo rotto,
che l’amore, come un fregio consunto,
conservi dignità contro l’azzurro del cielo
e che sul freddo marmo di un’antica passione
i viaggiatori romantici facciano
l’omaggio del loro nome,
nel comprendere la fortuna così fragile di vivere,
gli occhi che riuscirono a incontrarsi
nell’infinita solitudine del tempo.

Questa precisa immagine della sua poesia è letteralmente legata alla polarità del titolo, che spunta chiara in questa poesia, come la parola semi-sepolta spunterà dall’erba nella forma di una rovina classica. L’atmosfera del tramonto mediterraneo di Capo Sunio, non lontano da Atene, l’immagine delle rovine, il calco della nostalgia romantica sono offerte con generosità e trasparenza. Ma sospese in un equilibrio, che è imposto dal secondo polo attrattivo di questa poesia, quella del controllo razionale, illuminismo e fiducia, e dell’adesione alla vita, nella sua empiria sentimentale. “A volte una pelle è l’unica ragione di ottimismo”. Nato a Granada nel ´58 Montero è in effetti considerato il maggiore rappresentante della corrente poetica L’altra sentimentalità poi diventata Poesia dell’esperienza.

La tentazione del recupero di una figuralità, di una temperatura propri del romanticismo, inteso anche nella sua dimensione sovra-storica, che pure esiste in questa poesia, vengono temperati da una lucidità analitica, quotidiana, vicina alla prosa, che è per Montero la sola dimensione del politico possibile in poesia.

Divisa in tre parti, Parola, Età, Amore, questa vasta raccolta di cento poesie, si presenta come prossima alla vita, alla biografia dell’autore, con un gradiente di occultamento volutamente ed esplicitamente indicato e alluso come basso, minimo, mimetico delle circostanze più intime, più concrete della sua vita. Con un primato della vita e dell’esperienza così sancito nella poesia d’apertura, Domande a un futuro lettore.

 

E non lo nego da oggi:
ringrazio quest’occasione
in cui tu mi salvi dall’oblio.

Ma non mi consola,
se non posso ricordare la vita.

E questa vita è colta nella sua muta sensualità o nell’azione più armonica e cosciente.

Sta piovendo?
Forse confondi sui tetti
la verità con la bellezza

[…]

Stai fumando?

[…]

Sei solo?

Qualcuno legge accanto,
nell’altra poltrona della notte?

Ascoltare la pioggia, vederla, fumare, essere soli o immaginare l’amore. E l’amore non sfugge tra i principali motivi di questa poesia. Che venga dal recupero della poesia del Siglo de Oro, o che venga dalla nuova tradizione di Salinas e non solo.

Un primato della vita e dunque dell’amore sulla poesia, si è detto. E Montero mette questo scarto al centro di una delle fonti più vive e proprie della sua inventio.

Se non posso più nemmeno ricordare la vita non mi consola nemmeno la consolazione delle religioni salvifiche dell’arte. D’altra parte

La poesia è inutile, serve solo
a tagliare la testa a un re
o a sedurre una ragazza.

Sembra chiaro, e questa poesia non bara mai, vuole presentarsi con questa chiarezza indubbia almeno nella superficie del senso e delle immagini. La poesia serve, ma solo a tagliare la testa al sacro, alle religioni che dal luogo originario migrarono nella politica e poi nel sacro dell’arte. Si tagli la testa anche a quello, dice Montero. E il gesto non sarebbe piccolo. Ma una certa quota di spiritualità ritorna, di fede in un’altra vita, sempre legata alla figuralità della donna e dell’amore.

la donna che si lascia sedurre
per tagliare la testa a un re.

Così si conclude un testo paradigma che ha per titolo La Poesia. E dunque questa sarebbe la poesia, questa donna che si lascia sedurre, che è lettera e allegoria, come di consueto, ma che taglia comunque la testa ai re.

So già che altri poeti
si vestono da poeta,
vanno negli uffici del silenzio,
amministrano le banche del successo,
calcolano con precisione
i saldi dei loro fondi interni,
sono fiaccole di re e di dèi
o sono lingua d’inferno.
Sarà che hanno l’anima.
Io m’accontento d’avere te
ed esserne cosciente.

A una prima parte burocratica, “gli uffici del silenzio”, le “banche del successo”, il calcolo, la precisione, i saldi, i fondi, si viene portati a scoprire che tutta una certa tradizione della poesia, allusa qui provocatoriamente, definita con questi marchi, è legata al vecchio sacro, che ha lì la sua origine come “fiaccola di re e di dèi” oppure “lingua d’inferno”; di nuovo tornando a quel retaggio del romanticismo e delle sue figure da cui Montero, con gesto raro nella poesia dell’ultimo secolo e del nuovo, non disdegna di partire.

Tutta questa tradizione, questo modo d’essere e di essere figura di poeta, sembra dirci Montero, sarà nella gloria della poesia perché loro hanno un’anima, credono di averne, hanno fatto un patto per averne una ed essere in contatto con i re e gli dèi, “io m’accontento d’avere te/ed esserne cosciente”. Una magnifica chiusa nei modi della poesia d’amore, almeno da John Donne, nella sua inversione provocatoria dei segni del sacro, la svalutazione dell’anima e l’avere lei, o nella più tarda, moderna e rivoltata posizione di rifiuto della metafisica religiosa, a cui basta “avere te” e non “avere un’anima” e forse la salvezza. Tutto sarebbe chiaro e riducibile alla poesia d’amore, se questa poesia non avesse titolo di Poetica.

Luis García Montero, nato a Granada nel 1958, è uno dei maggiori rappresentanti dell’attuale poesia spagnola. Insieme a Javier Egea e ad Álvaro Salvador, fonda negli anni Ottanta il movimento chiamato la “Otra sentimentalidad”, che poi confluisce nello spazio della cosiddetta “Poesía de experiencia”. È autore di edizioni critiche di poeti, come quelle di Federico García Lorca e di Rafael Alberti. Professore di letteratura spagnola nella Facoltà di Lettere di Granada, è inoltre saggista e giornalista. Tra le opere in prosa sono da citare anche Luna en el Sur del 1992, il racconto Impares, fila 13, scritto insieme a Felipe Benítez Reyes del 1996, La puerta de la calle del 1997, La mudanza de Adán del 1999, Almanaque de fabulador del 2003, Mañana no será lo que Dios quiera del 2009, biografia sentimentale sul suo amico-poeta Angel González, considerato “libro del año” dalla Corporazione dei Librai di Madrid e Una forma de resistencia del 2012. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti letterari quali il Federico García Lorca dell’Università di Granada nel ’79, il Premio Nacional de Poesía Adonais nell’82, il Fundación Loewe nel ’94, il Premio Nacional de Poesía nel ’95 e il Premio Nacional de la Crítica nel 2003. Il 4 settembre 2012 ha ricevuto il IV premio La Trastienda dall’Università Internazionale Menéndez Pelayo di Santander.

ph in copertina di Pedro Walter

 

Potrebbero interessarti