Come tutti gli spiriti liberi, lei, amava varcare i confini, non li sentiva neppure, quei fili spinati posti a tracciare valichi. Tuttavia li vedeva. Volteggiava con il pensiero oltre il tedio del perbenismo benpensante a cui l’avevano abituata la sua famiglia, ma anche la Chiesa e, a tratti, la cinica società netina. Come tutte le anime ardenti, lei, si accendeva sotto voce, si esaltava in un sussurro e urlava sotto pelle. Soffocava l’impulso refrattario a cui le regole la conducevano e ascoltava silenziosa le imperiose parole paterne, l’obbligo morale che la piegava all’assimilazione.
Conobbe le arti, Mariannina, le coltivò con indubbio talento. La cultura era una fonte inesauribile a cui lei si abbeverava con gioiosa voluttà. La sua famiglia apparteneva all’alta borghesia e le consentì l’accesso all’educazione poetica e musicale, si trattava di un’educazione vigilata costantemente dai rigidi parametri della religione e dal senso etico che vedeva una donna costretta comunque ad un ruolo di subalternità. Siamo nella Sicilia delle capinere in gabbia, nell’isola d’oro delle lacrime nascoste, degli spasmi soffocati.
Nella penombra emotiva di chi sente e prova sentimenti e li reprime, Mariannina è già vittima sacrificale, ma lei non lo sa ancora. È moderatamente convinta di poter vivere la sua vita, i sussulti di un’anima vulcanica quanto la sua terra in maniera autonoma, libera. Senza chiedere il permesso, insomma. Ma non è così. Non può essere così. Ci troviamo in Sicilia, nella Sicilia dell’Ottocento, per di più. Una donna non ha diritti, ma solo doveri. Ha in primo luogo il dovere di compiere la volontà paterna e in secondo luogo, profondamente interconnesso al primo, di sposarsi e garantire la discendenza.
Il cuore di Mariannina ha preso a battere di un moto appassionato, accelerato, per il suo maestro di pianoforte, Ascenso Mauceri. Il sentimento è reciproco e sembra quasi che la vita, a volte, possa disporsi a mo’ di favola, di sogno realizzato, trovare compiuta realizzazione. Il padre di Mariannina benedice il fidanzamento, solvo, poi, ritrarsi. C’è un partito di gran lunga preferibile all’orizzonte: un anziano, ricco proprietario terriero ragusano. Niente farfalle nello stomaco, ovviamente, ma le farfalle non rendono una fanciulla una donna “ per bene ”. Tutto ciò che è volatile è transeunte, frivolo: scabroso. Mariannina è solo l’ennesima figlia di quella Sicilia che chiede di sacrificare l’intera vita all’altare dell’onestà e dell’integrità. Le belle parole della gente si possono acquistare, certo. Ma a tariffe assai salate. E Mariannina entra in una spirale di tristezza e depressione. Il buio dello spirito, l’asfissia del cuore. La poesia è l’unico porto sicuro presso cui trovare ristoro, ma presto dovrà rinunciare anche a quello, poiché il suocero, che vive con lei e il marito, ritiene sconveniente per una “ donna per bene ” interessarsi di poesia. Addirittura è fuorviante moralmente che una donna sappia leggere e scrivere!
Nei più splendidi cieli e più secreti sorvolo col desio,
scrive Mariannina, di nascosto, al lume di una candela.
Psiche è il mio nome: un volgo maledetto
Pei miracoli miei fu mosso a sdegno,
E menzognera e stolta anco m’han detto,
Mentre sui mondi io regno!
Eppur le voci d’una turba ignara
Fra i miei concenti oblìo:
Nello sprezzo dei tristi io m’ergo un’ara
E amor contemplo e Dio.
Attraverso la possibilità di immedesimarsi in altro da sé, Psiche, Anima, quell’anima violata, calpestata, ella riemerge dall’oblio della campagna siciliana con un grido soffocato, modulato, quasi timoroso di non essere “ per bene ”.
Si ammala, Mariannina. Le frequenti gravidanze la destabilizzano. Scopre di avere dei fibromi che la dissanguano periodicamente. Come un parossismo del femminino sacro che reclama la sua priorità, queste frequenti perdite ematiche conducono la poetessa a riconoscere in questi sintomi un ultimo spasmo di orgoglio che la conduce a rompere gli schemi di una società maschiocentrica abbandonando il marito e i figli. E’ una donna libera, Mariannina. Forse, molto più semplicemente, Mariannina è una donna. Ed è stanca di dovere pagare per una condizione non richiesta.
Si spegne, abbandonata da tutti i benpensanti, nella sua Noto all’età di trentasei anni. Molte le persone che sfideranno le regole morali e decideranno di prendere parte alle sue esequie.
E il supplizio dei roghi e le torture,
Figlia del ciel, provai.
Or vittoriosa, or vinta, or mito, or nume,
Or sobbietto di scherno, or di desio,
Col variar di lingua e di costume,
Svelai l’amore e Dio!
Eppur la terra non comprese ancora
Le mie leggi, il mio nome, il senso mio:
Conosce il mio poter… sol perché ignora
Che Psiche è amore e Dio!
(Opera di Edouard Vuillard)