Mirko Boncaldo, “Senza Titoli. Sovversi”, e la poesia che “travalica il discorso”.

Mirko Boncaldo (in copertina nella foto di Edoardo Huez) è nato nel paese di Bartolo Cattafi e da qualche anno ha 25 anni. Vive a Bologna dove ha studiato Lettere Moderne e Semiotica: qui si occupa di comunicazione e viaggi nel futuro. Si dedica alla poesia sin da giovane, seppure, fino a questa pubblicazione, privatamente. I suoi interessi personali si rivolgono in particolare alle tematiche di genere e della tutela ambientale. Suoi contributi sono apparsi sulle riviste letterarie Il Segnale, Zibaldoni e altre Meraviglie, L’Altrove – Appunti di Poesia, Cedro Mag e sui blog letterari di Collettivo Culturale Tutto Mondo e Hook Literary Magazine. 
“Noi, noi che non sapevamo come vivere,/ che volevamo essere vissuti.”, due versi dalla prima silloge “Senza Titoli. Sovversi”, edita da “transeuropa”, per introdurre la nostra intervista

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Senza Titoli. Sovversi”?

Le scintille credo siano sorte dall’urto tra memoria e attualità. Le pietre focaie necessitavano di riaccendere un fuoco quasi del tutto estinto, ad oggi ancora in divenire. Si tratta di una sedimentazione lenta, sorta dall’esigenza di sondare la durata e della parola e della poesia stessa. Questi versi si sono trattenuti fino a quando non si sono liberati del loro autore. Sono “Sovversi” perché superano la prova del tempo, perché ridiscutono le regole del suo linguaggio.

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

In principio credo si tratti di rendere commensurabile l’incommensurabile, e allora un ritmo prende piede tra le sillabe e si fa parola traducendosi dalla vita alla lingua. Quindi ciò che trascende la lingua si ricongiunge ad essa senza ridurvisi. A volte attraversando un oblio, come da uno scavo una parola è raccolta, altre è una fulminea accensione. Il limite credo sia l’abitudine, quindi deve esserci una rivoluzione costante che è data anche dal confronto con altri linguaggi e dall’evasione dalla regolarità. Questo però non è affatto definitivo.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

L’arte in generale si rapporta con questa lingua. L’effimero, l’oblio, il trauma, i suoi esatti opposti, la loro combinazione, quindi il paradosso e l’ossimoro, sono alcune delle sue componenti. La poesia travalica il discorso. Cos’è poiesis se non il ‘fare dal nulla’?

La poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta? Può colmare la “fibra sfilacciata del tempo”?

La poesia e il poeta convivono non appartenendosi. La poesia è sia residenza di ciò che rassicura, sia la lima con cui si sprigiona. È con questa chiave che la pensosa solitudine del poeta si fa porta verso un altrove, in cui è in grado di liberarsi brevemente sia del pensiero che della solitudine. In un processo cronologicamente non lineare la “fibra sfilacciata del tempo” è la dimensione tensiva in cui è possibile una ricognizione, e un ricongiungimento al sé. Da lì ha inizio un rapporto dialettico tra passato, attualità e posterità, caro ai poeti.

La poesia “è vocazione”?

Evocazione più che vocazione giocando con le parole, senza parole.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica? E il “suono”?

Non credo siano fondamentali. Tutto ciò che mette in crisi la verità della parola poetica ne tradirà comunque un’altra. La verità della poesia è l’ispirazione che esprime in modo irripetibile qualcosa che non poteva essere espresso altrimenti e in quell’istante che lo stupore fulmineo richiama all’attenzione soddisfacendo il tempo. La forma e la sonorità possono offrire un’esperienza maggiormente immersiva ma non incidono sulla verità. Ciò che precariamente dura è la verità della poesia.

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal tuo libro – (riportarla gentilmente) – e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Più che un percorso a ritroso, proporrei un tuffo nel mentre. Ecco, questa breve poesia voleva trattenersi, nella sua fortuna, impressa come un’istantanea che, proprio come il momento che cattura, svanisce materializzando altro da sé. Il senso si accorda al suono e la lingua si disfa lentamente nella sua consistenza verbale, il gesto ritorna dalla sua fisicità ad essere energia, si fa comunione o si annulla o si libera. Chi può sciogliere l’enigma, se non il lettore per sè? Questo momento di condivisione con il lettore è per me più importante, perché inesauribile, va al di là del testo.

Alla mia un nodo la tua mano
in un gioco di rima collima
le dita, trafitte al palmo.

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