Nel nostro sonno così diverso.

Il sole di luglio irridente
splendeva sull’ultimo tratto di strada.
Erano tutti in fila sul marciapiede
e l’auto della polizia attendeva.
L’aria era innaturalmente ferma
come il corpo di mio figlio nella casa.

*

Il fiotto di sangue che scende
improvvisamente
davanti al figlio morto
mi ricorda che tecnicamente
potrei ancora dare alla luce
un altro infelice.

*

Lui sale ora
come le mura altissime
di una chiesa spoglia,
così solida, ferma e muta.

Come un insetto spaccato,
io mi contorco a terra,
nella sua luce dura.

*

È stato messo a scaffale
un barattolo col suo nome
e il logo delle pompe funebri.
Sulle prime, sembrava
una merce qualunque.

*

Ieri, mentre mostravo
a un’amica come mi tremano le mani
per un congenito difetto
che mi impedisce di fare belle foto,
ho rivisto le sue mani screpolate
e io che gliele ispezionavo a cena
accarezzandole e ho pensato
che le sue mani non ci sono più
e non terranno più la forchetta,
non potranno più toccare, stringere,
non potranno accarezzare.

*

La sua voce
adulta e bambina
chiama mamma
arretra nel buio
non ha corpo
è piena di paura
in grembo gesto
la sua assenza
il cordone ombelicale
il tubo del gas

*

La notte, nel letto,
cerco il suo abbraccio,
sento la pelle liscia
e dolce del petto,
nel buio intravedo
il viso calmo e saggio,
le palpebre socchiuse
e con terrore penso
che lui ha cancellato
le sue braccia, il petto,
il viso, il sorriso
che tutto illuminava
e i suoi occhi di miele.

*

La luna piena nel mattino
mi ricorda che da due mesi lui non c’è.
Per il resto sarà un giorno come gli altri
i morsi al cuore e arrivare a sera.

*

Se io sapessi
di ritrovarlo al di là
di questo ruvido grigio
dove esercito l’occhio
a cadere a precipizio
tra i passi consueti,
sceglierei un piano alto
e gli correrei incontro
con la stessa felicità
con cui lo riabbracciavo
alla fine di ogni giorno.

*

Ho attaccato un fiore
vicino a lui, sulla parete.
Ho scelto, senza volere,
proprio lo stesso colore
del fiore del suo disegno
che tengo ancora appeso
al muro accanto al letto.
Nel nostro sonno così diverso,
così lontano ci avviciniamo:
ciascuno dorme vegliato
dal fiore donato dall’altro.

*

In sogno ho spiegato
lungamente a mio figlio
– e a me, al contempo –
i motivi per non farlo.
Alla fine si è convinto.
Ma il sollievo al risveglio
si era già dileguato
e io non ricordavo
nessun argomento.

*

San Salvatore

Camminavamo ieri
nella chiesa semibuia
sforzando l’occhio
per mettere a fuoco
i dettagli dei dipinti
maestosi, mi facevano
tenerezza le seggioline
sparse con l’etichetta
“non spostare”, ho rivolto
a Cristo il solito sguardo
d’affetto senza preghiera,
ho invidiato la vecchia
che bisbigliava al sacerdote,
l’uomo col saio inginocchiato
per terra davanti all’altare,
quella consolazione buona,
l’inganno innocuo,
la speranza che avrei
di riabbracciarti un giorno,
per un attimo solo,
com’eri, con il tuo nome,
la tua voce, il tuo viso,
dirti ti amo e che tu senta,
subito prima di diventare
entrambi pura luce,
energia del cosmo,
pulviscolo di Dio.

*

In Certosa

Nella sua nicchia buia,
giace rannicchiata
la donna di sabbia.

Sbozzate, le forme
non competono certo
con le statue maestose
del magnifico museo
che unisce sotto il cielo
l’amore e la morte.

Tiene il viso nascosto,
al dolore il suo corpo
si è quasi dissolto.

Qualcuno le ha appoggiato
tra le braccia un lumino:
non sta bene, è di plastica,
ma fa luce, la consola,
è come una speranza.

Anche questa mattina,
porto i fiori a mio figlio
e passo a salutarla.

Ma la luce è scomparsa
e s’intravede appena,
rannicchiata nel buio,
la donna di sabbia.

Ho scritto queste poesie nei primi sette mesi dopo la morte di mio figlio, che si è tolto la vita all’età di 21 anni la notte del 5 luglio dell’anno che il mondo ricorderà come l’inizio della pandemia. Le ho scritte dal confine tra la vita e la morte, dove lui mi ha spinto, facendo di me la vittima di una scelta di cui ha rivendicato appieno, per iscritto, il diritto.

Edvard Munch (1863-1944, Norway), Winter Night.

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