I
Di come sono andato un giorno dall’antiquario perché non avevo di meglio da fare. Mi porto dietro un plico contenente dei fogli dattiloscritti. Comincio a leggere e mi inalbero perché sono realista, e, a dirla tutta, papalino. Ho in mano pericolosi scritti eretici. Il karma mi impone di studiare il nemico. Non trovo il nome dell’autore. Mi dispero. La mia ricerca comincia da qui.
Le cose sono andate così. Mi trovavo in uno di quei negozi d’antiquariato, quelli che fanno puzza di muffa, su cui aleggia dappertutto l’aria di mobili vecchi, le cui ante si reggono appena, con la saliva. Uno di quelli, cerchiamo di capirci, in cui i proprietari hanno sempre un’aria misteriosa e non ti sorridono mai, manco se il muschio crescesse per davvero sui loro denti. Accompagnavo mia madre. Per ingannare il tempo, mi sono rivolto agli scaffali gremiti di libri, cercando non so quali codici, banditi dalla memoria di tutti.
Lo ammetto: ero lì per salvare dall’oblio un autore meritevole. È quello che cerco di fare, ogniqualvolta metto piede in questa razza di posti. Non lo faccio perché io abbia uno spirito nobile o chissà cosa, volendo che altri siano ricordati al posto mio. Lo faccio solo perché sono maledettamente superstizioso e credo ancora un po’ nel karma. È il solo motivo per cui non me ne vado in giro con una carabina a risolvere vecchie questioni in sospeso. Il karma, dicevamo: se io salvo dall’oblio un autore meritevole, un giorno – come dubitarne? – altri mi salveranno dalla polvere.
“Ecco – mi son detto – un valido motivo per spendere i quattrini di mia madre!”
Ho chiamato mamma e le ho scucito un po’ di grana. Quindi, tutto contento, mi sono avviato a casa, portandomi dietro il mio acquisto di cui ora mi accingo a parlare.
Non si tratta di un libro. È un plico; contiene diversi taccuini manoscritti. La grafia è nervosa, quasi incomprensibile. All’interno delle pagine, però, sono raccolti molti fogli in bella, battuti a macchina. Dio, che bellezza! Battuti a macchina! Ci pensate? Ognuno sa che davanti a un computer girano fiumi di pornografia. E le mani degli autori che stringiamo con ammirazione, chissà cos’hanno fatto proprio lì, inchiodati a quella maledetta sedia, davanti a un computer! Orrore! Se uno pensa a quanti scrivono davanti a un computer, viene voglia di non stringere loro le mani, mai più… per precauzione, dico! Ma davanti a una macchina da scrivere è tutto molto diverso. Stringeresti quelle mani per il solo fatto che profumano di carta, inchiostro e di luoghi romantici.
Ho sfogliato le pagine, mettendo davanti a me le prime: Pensieri minimi di varia umanità. Su questi primi fogli mi sono soffermato e ho cominciato a leggere, prima con aria distratta, poi con maggiore attenzione:
2) Ho aderito a ciò che ho pensato e scritto, ma non a ciò che ho fatto. Il pensiero si rimprovera se si ritrova sempre più le sue fertili indecisioni.
Manco l’avessi scritta io. E ancora:
5) La dottrina dell’amore del prossimo e del perdono, a ben considerare, non correggono il male, ma lo accolgono come una prova di magnanimità che rende più umani e sopportabili i padroni. Continuerà il male a sussistere come atto privato e sociale, perché l’uomo ciclicamente si ripeta e, dopo ogni purificazione, ogni perdonato ritorni pure a peccare, e così ancora sperimentare l’indulgenza del perdono da parte dei padroni che vengono per tale via legittimati giuridicamente e moralmente a esistere, dato che la condizione del peccato sociale, soprattutto, non è stata rimossa e i padroni appaiono virtuosamente necessari per ricomporre i rapporti e le azioni tra chi pecca e chi perdona.
Qui, a dirla tutta, mi sono irritato da morire perché, non giriamoci attorno, sono per il Guelfismo e sogno un’Italia (un’Europa, suvvia!) guidata da Papa Bergoglio, anziché dalla Merkel che – come disse un poeta – è una… diciamo… che non è proprio proprio… lasciamo perdere, dai (sono un gentiluomo anch’io, dopotutto)! Più adirato che mai, ho cominciato a scorrere le pagine nervosamente. Volevo sapere a tutti i costi chi fosse l’Ardito che metteva in discussione la morale tradizionale – perché, ormai mi era chiaro: di scritti (a)morali si trattava.
A dispetto di tutti i miei sforzi, non ho trovato alcuna firma in calce. Il che era buono perché avevo intenzione, inizialmente, di distruggere gli scritti eretici e praticare su di loro quello che i Romani definiscono damnatio memoriae. Ma poi ho pensato ancora una volta al karma: in un futuro lontano qualcuno avrebbe potuto accanirsi contro di me, additandomi come un rivoluzionario e/o un eretico.
Che poi, al di là delle idee – perniciosissime temo – remote quanto si vuole dalla morale comune, quei pensieri erano vertiginosi. Non fosse altro che per scoprirne le incongruenze e le contraddizioni, li avrei pubblicati. E, pubblicandoli, avrei denunciato le loro menzogne di fronte agli occhi riconoscenti dei miei lettori (che sono un sacco – quando scrivo, nei cosiddetti social, ottengo sempre due o tre like, come minimo. Una cifra in questi tempi balordi!).
Ma ecco, dunque: prima di tutto, bisognava risalire al nome dell’autore perché altri non si mettessero in testa che quelle enormi eresie le avessi scritte io, di mio pugno, spacciandole per l’opera di un altro. Avevo un piano. Ma di questo vi informerò più avanti.
(Continua…)