Gabriella Bertizzolo
Gabriella Bertizzolo

Spesso mi sono chiesta qual è il ruolo della poesia oggi. E ogni volta non ho saputo darmi una risposta. Bisognerebbe prima intenderci su che cosa si intende (casuale il bisticcio di parole?) per poesia e qui si aprirebbe un’immensa voragine. Penso comunque che anche al tempo di internet, il valore della poesia è quello che essa ha sempre avuto. Il poeta dirà le cose che ha sempre detto in un modo diverso. Parlerà della bellezza, del dolore (Alda Merini, la “poetessa dei Navigli”, soprattutto in virtù della terribile esperienza vissuta in manicomio, è la poetessa più letta anche dai giovani) e della morte. Grazie alla forza evocativa che possiede,  entra nella sfera dei sentimenti e delle emozioni del lettore, mantenendo tuttavia un necessario distacco. Tutt’altro che avulso dalla realtà e dalla società, il poeta testimone del suo tempo, è investito di una grossa responsabilità nel trasmettere conoscenza. Al contrario spesso oggi si scrive poesia con leggerezza, come si scrive un sms, mentre la vera poesia esige un profondo esame di coscienza, un rinnegamento di sé, e – non ultimo – un doloroso scontro con la struttura linguistica (si leggano Raboni, Bandini, Ruffato). Come ben dice Gianmario Lucini, bisogna ridare alla poesia, “svuotata del suo ruolo, scissa ed esiliata in un mondo alieno”, il suo ruolo sociale, ruolo che ha detenuto fin dall’antichità, quando costituiva il tramite col sacro. Eppure la poesia sa stare anche in silenzio, soprattutto in momenti in cui il rumore dei media furoreggia. A questo proposito è esemplare la lezione di Loi, poeta che ho avuto il privilegio di incontrare anni fa nel vicentino, il quale asserì, tra l’altro, di non ricordare i suoi testi perché “una volta pubblicati, non appartengono più al poeta”. In questo, – si licet parva componere magnis – mi sento in sintonia: delle tante poesie che ho scritto ne ho memorizzata solo una formata da un unico distico. Un autore che mi ha profondamente ispirato è David Maria Turoldo, “la coscienza inquieta della Chiesa” (personalità poliedrica che con la collaborazione di Pasolini realizzò anche un film, Gli Ultimi, tratto dal suo stesso racconto Io non ero fanciullo): ne ho letto l’opera omnia che mi ha letteralmente incantata. Molti altri sono i poeti che amo, dall’«ermetico» Eraclito al prolifico Erri De Luca. Per concludere questa riflessione, ricordo che Maria Luisa Spaziani definisce Montale il “capo cordata” dei poeti di tutto il Novecento e oltre: come darle torto?

 

 

 

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