Susanna Mati e le poesie di Nietzsche, “preziosi documenti psicologici e di estetica”.

È indiscutibile che Nietzsche sia un grandissimo scrittore, anzi, uno dei più grandi scrittori in lingua tedesca, sebbene egli stesso avesse il terrore di passare alla storia e venire ricordato appunto come uno scrittore. Avrebbe forse voluto, Nietzsche, essere ricordato piuttosto come un poeta? Ovvero come colui che in queste poesie viene definito “una bestia, furba, rapace, strisciante” e “un predatore insinuante e mentitore”? E noi, come dobbiamo porci di fronte alla poesia di Nietzsche, cioè alla poesia di un filosofo, che si è messo in testa, ostentandolo, il berretto da giullare? La domanda è tutt’altro che oziosa. In altre parole: Nietzsche è forse un filosofo-poeta? No, Niet¬zsche non è un filosofo-poeta, come uno Hölderlin o un Novalis; questa particolare specie è, nella stessa interpretazione nietzschiana, estinta insieme al Romanticismo. Tuttavia, questa constatazione non ci consente certo di evitare il confronto con i versi-chiave di tutta l’opera poetica di Nietzsche: quel definirsi “nur Narr! nur Dichter!”, “solo giullare! solo poeta!”, colui che è bandito – e si autobandisce – da qualunque verità. In questo senso ha dunque ragione Giorgio Colli quando afferma che il Nietzsche poeta non è altra cosa dal Nietzsche pensatore, “né alcunché di più essoterico”. Alcuni stralci dalla postfazione del libro “Poesie” di Friedrich Nietzsche (con testo originale a fronte, Universale Economica Feltrinelli, 2019), a cura di Susanna Mati che ringraziamo per averci concesso il suo tempo e le sue ulteriori riflessioni.

Quale “verità” ti hanno donato i versi di Nietzsche, “luoghi di rivelazione dei moventi profondi del filosofo, sia psicologici, sia teorici”?

Le poesie di Nietzsche credo possano avere interesse più per lo studioso di Nietzsche e di certe dinamiche della scrittura filosofica, che per chi si interessa di poesia. Le verità che ne emergono, e che lo stesso Nietzsche chiama proprio così, “la mia verità”, fino all’ultimo dei Ditirambi di Dioniso, penso possano svelare molto su quanto la psicologia del personaggio abbia condizionato la sua scrittura e ‘teorizzazione’ filosofica. Succede questo per tutti i filosofi? Molto probabilmente, sì. Personalmente, queste poesie mi sono interessate proprio come momento di uno dei non pochi fallimenti nietzschiani, insieme a quello riguardante la musica – con il quale ci sarebbe da fare un interessante parallelismo – e a quello riguardante la possibilità di scrivere una ‘vera’ opera teoretica, cioè un’opera, appunto, di vera e propria filosofia (che Nietzsche non ha mai scritto!).

Per Guido Ceronetti “tradurre è creare un verso nuovo”: la poesia dunque non è realmente traducibile? Secondo il tuo punto di vista quante versioni sono ammissibili di un unico testo?

Sicuramente un poeta è in diritto di fare questa affermazione, se ha la capacità di ri-creare una nuova poesia. Da parte mia, vorrei però sottolineare il carattere peculiare del tradurre Nietzsche, cioè un filosofo per il quale la poesia è esplicitamente un’attività accessoria, collaterale (anche se lui magari non lo avrebbe voluto…), oltre che quasi vergognosa, e soprattutto non certo all’altezza non solo delle sue argomentazioni filosofiche, ma neppure della sua scrittura filosofica. Tutte le domande riguardanti la Poesia, quindi, si rivelano di fatto fuori luogo rispetto alle modeste e direi quasi pragmatiche esigenze della poesia nietzschiana.

Un traduttore di poesia, come sosteneva Leopardi, deve necessariamente essere un poeta?

Probabilmente sarebbe bene che lo fosse… io non lo sono di sicuro, e di fronte al modello leopardiano, non so sinceramente chi potrebbe esserlo oggi. Ma, appunto, il caso di Nietzsche è un caso particolare, perché le sue poesie ci interessano più come documenti psicologici e di estetica (cioè di un atteggiamento finzionale, fittizio, grazie al quale può esprimersi ancora una ‘verità’), che non come poesia in sé (in quest’ultimo caso, dovremmo semplicemente considerarle un fallimento).

Assodata la difficoltà di riconsegnare un testo equivalente all’originale (pensiamo alle sfumature linguistiche come alle peculiarità musicali), cosa bisogna fare prima di tradurre fedelmente una poesia?

Non so se sono la persona giusta per rispondere a questa domanda… io mi limito assai spesso a restituire traduzioni letterali, quasi di servizio, in cui risuoni ancora l’originale (per chi lo sa cogliere). In questo senso, secondo me il massimo che si può fare è cercare di abitare in una lontananza, consapevolmente.

Ti invito, per salutare i nostri lettori, a scegliere alcuni testi dal volume “Poesie” di Nietzsche, raccontandoci, se vuoi, anche brevemente, il perché delle tue scelte.

Proporrei due brevi poesiole, innanzitutto; la prima è quella in apertura di volume, tratta da Umano, troppo umano:

“Amici, non ci sono amici!” così gridò il
saggio morente;
“Nemici, non ci sono nemici!” – grido io, lo
stolto vivente.

Questo stolto, che compare in numerose poesie sotto le spoglie del giullare (der Narr), e che è la vera maschera poetica di Nietzsche, dedita a quella che lui definisce Unvernunft, s-ragione, si oppone evidentemente alla (presunta) saggezza in nome della vita (è appunto uno stolto vivente, non un saggio morente!).

La seconda, che secondo me spiega molto bene il percorso filosofico nietzschiano da un certo punto in poi – e cioè da quando Nietzsche decide non più di ‘cercare’, bensì di ‘trovare’ le sue idee-guida (come quelle di oltreuomo e di eterno ritorno) -, è tratta da Scherzo, malizia e vendetta (n. 2), raccolta poetica a sua volta contenuta ne La gaia scienza, e si intitola La mia felicità:

Da quando fui stanco di cercare,
imparai a trovare.
Da quando un vento mi fu avverso,
navigo con tutti i venti.

Riguardo alla consapevolezza del proprio compito creativo e distruttivo insieme, nella stessa raccolta Scherzo, malizia e vendetta (n. 62) troviamo anche la poesia intitolata Ecce homo (lo stesso titolo della futura opera ‘autobiografica’ del 1888):

Sì! So da dove vengo!
Insaziato come la fiamma
ardo e mi consumo.
Luce diventa tutto ciò che tocco,
carbone tutto ciò che lascio:
di sicuro io sono fiamma.

Una delle più belle poesie di Nietzsche, contenuta originariamente in Nietzsche contra Wagner, è sicuramente quella dedicata a Venezia (una delle due in ricordo del soggiorno in questa città); è nata la leggenda che Nietzsche cantasse questa poesia quando, oramai pazzo, si trovava sul treno che lo riconduceva, scortato dall’amico Overbeck, da Torino a Basilea:

Stavo sul ponte,
poco tempo fa, nella notte bruna.
Di lontano giungeva un canto:
gocce d’oro affioravano
sulla superficie vibrante.
Gondole, luci, musica –
ebbre nuotavano via nel crepuscolo…

La mia anima, strumento a corde,
cantò per sé, a un tocco invisibile,
una canzone di gondolieri,
tremando alla variopinta beatitudine.
– L’ha udita qualcuno?…

Infine, vi saluterei con questo ditirambo, che a suo modo illustra il senso dell’idea di eterno ritorno e che meriterebbe un commento filosofico sul perché il piacere sia più profondo del dolore ed esiga nientemeno che l’eternità, e che si trova in conclusione del capitolo Il canto del nottambulo, § 12, di Così parlò Zarathustra:

Oh uomo! Stai attento!
Cosa dice la profonda mezzanotte?
“Dormivo, dormivo –,
Da un sonno profondo mi sono svegliata: –
Il mondo è profondo,
E più profondo di quanto abbia pensato il giorno.
Profondo è il suo dolore –,
Piacere – ancor più profondo del dolore:
Il dolore dice: Passa!
Ma ogni piacere vuole eternità –,
– vuole profonda, profonda eternità!”

 

 

Susanna Mati ha insegnato per molti anni Estetica allo IUAV di Venezia. Tra i suoi libri: per Feltrinelli, Friedrich Nietzsche. Tentativo di labirinto (2017); Filosofia della sensibilità. Per un’estetica come pensiero mitologico (Moretti & Vitali 2014); Sex and the City: favola della donna single (Moretti & Vitali 2011); Ninfa in labirinto (Moretti & Vitali 2006). Con Franco Rella ha pubblicato per Mimesis, Nietzsche: arte e verità (2008) e Georges Bataille, filosofo (2007). Ha curato opere di G. Bataille, W.F. Otto, Novalis, K. Reinhardt. Per i Classici Feltrinelli ha tradotto e curato: F. Hölderlin, Poesie scelte (2010); Novalis, Inni alla Notte e Canti spirituali (2012); Platone, Fedro (2013); F. Nietzsche, La nascita della tragedia (2015), Così parlò Zarathustra (2017), L’anticristo (2018) e Poesie (2019).

Potrebbero interessarti