È la luce della concretezza a irradiare queste poesie: sono esperienze reali, come le circostanze in cui l’autore ha visto in faccia la morte; e poi la paura di diventare poveri, le tragedie famigliari, i figli non avuti, i fatti epocali, la cronaca spicciola. Anche quando è la fantasia a sprigionare le sue immagini, queste si stagliano in figure nitide, in personaggi e animali vividi: il delfino che salta e si reimmerge nelle onde del discorso; il guidatore della metro che non sa di essere seguito da una misteriosa teleferica. L’altra faccia di questa concretezza è l’attenzione alla materia solida della poesia, il linguaggio: risulta evidente nella serie di poesie in cui sono le parole stesse a parlare, dicendo «noi», ma anche nelle invenzioni tipografiche e metriche, nel pulsare percussivo o delicato dei loro accenti. Dalla meditazione all’epigramma in rima – così musicale da spingere quasi a canticchiarlo -, ognuna di queste poesie è profondamente fondata, motivata, impastata nella sua forma. Una delle sorgenti di questo libro è la consapevolezza che sono i morti a farci pensare sotto la loro dettatura, consegnandoci le parole che hanno inventato, e che noi, dopo secoli, continuiamo a pronunciare e a scrivere. Così tutta la tradizione, anche nella sua eredità formale, si ripresenta con una spinta intatta e sempre nuova. Scarpa non è un prosatore prestato alla poesia. È scrittore a trecentosessanta gradi e la poesia è da sempre una delle forme della sua funambolica scrittura, forse la matrice espressiva originaria e più profonda del suo stile. Questo libro ci permette per la prima volta di valutare in maniera organica la sua opera in versi.
cinque poesie da “Le nuvole e i soldi” di Tiziano Scarpa, Eiunadi, 2018.
Da “tendo a dimenticare che prima o poi morirò”
Certe volte che non sono morto #9
nel duemilatredici siamo in marcia
direzione parlamento europeo
milleduecento chilometri a piedi
a quota mille metri sulle alpi
scorre un rigagnolo i camminatori
lo hanno già attraversato quasi tutti
mancano solo i piú lenti del gruppo
qualche signora anziana
siamo su una specie di pianerottolo
sopra una rampa di lastre sbrecciate
rocce taglienti ripide
mi metto a gambe larghe
aiuto le signore
a scavalcare l’acqua
mi sento figo forte porgo il braccio
cambio il piede d’appoggio
la roccia cede sto per
giovanni grida prendilo
mi afferra una signora
—
Da “il nostro pianeta si muove nello spazio a 30 km al secondo”
La venditrice di ortaggi
sulla bancarella della venditrice di ortaggi
è spuntato un ciuffo di funghi
crescono lentamente, si alimentano
succhiando il legno secco delle assi
sono i funghi piú belli che ha
attirano i clienti
ma lei non glieli vende
non si sogna nemmeno di staccarli
i clienti se ne vanno delusi
qualcuno si offende
la venditrice di ortaggi
fa bancarotta
quando il mercato chiude
mette in vendita sé stessa
ma nessuno la compra
per non morire di fame
mangia i suoi bellissimi funghi velenosi
—
Da “questo è quello che ho avuto in sorte”
Mia madre
Se esisto è grazie a lei, è colpa sua.
Perciò mia madre avrà
sempre ragione-torto
contemporaneamente.
È la mia insofferenza.
Io sono il suo creditore insolvente,
l’esoso debitore.
—
Da “dovrei smettere di avere così tante aspettative”
Parafrasi delle nuvole #1
in questi versi il poeta considera
i riflessi delle nuvole sul fiume
come una flotta di morti
immersi nella superficie dell’acqua
risalgono la corrente
per tuffarsi nella sorgente
la metrica è libera
come se non badasse agli effetti
ma cercasse di rendere il suo pensiero
con la maggiore aderenza possibile
solo una rima spicca
come una stonatura
o un’immedicabile ferita
––
Da “senti ti dico una cosa che preferirei non dire”
Poesia scritta dalle parole #4
Adesso si forma una frase
che non sa dove andrà a finire,
anche se adesso è finita.
Questa avventura della frase
consiste nell’inoltrarsi
spingendo in avanti il suo margine.
La frase cresce come un anellide
/ che aggiunge / segmenti / a sé stesso /
Per viaggiare in questo modo
piú che spostarsi bisogna prolungarsi.
Filo elettrico si srotola
da una bobina vuota e inesauribile.
La fine del viaggio, la sua destinazione
è una parola che in realtà
è una propaggine,
la punta di una penisola
rimasta ferma.
Lo scopo è arrivare a una parola
che grazie a questo viaggio
assuma un nuovo significato,
come è appena successo
alla parola viaggio.