Non avevo mai ascoltato nulla di Vinicio Capossela, solo letto alcuni articoli nei giornali e su internet. Mi intrigavano i suoi cappelli di tipo amish e i titoli così originali ed evocativi dei suoi testi ma – non so perché – non andai mai su Youtube… Quando a luglio sul monitor si aprì l’anteprima del concerto Ballate per uomini e bestie al teatro Comunale di Vicenza, non esitai e con quattro mesi di anticipo scelsi due posti in quarta fila! Praticamente “a scatola chiusa”!. Questo undicesimo lavoro (targa “Tenco” 2019 per il miglior disco in assoluto) del cantautore, polistrumentista, (anche attore e scrittore), figlio di genitori irpini (chiamato “Vinicio”, perché il padre era fan del celebre fisarmonicista Vinicio degli anni Sessanta) mi ha letteralmente stregata! Ballate per uomini e bestie è una sorta di canzoniere di grande forza espressiva. Vinicio Capossela, artista geniale, libero, originalissimo, evocando un medioevo fantastico fatto di bestie estinte, fate e cavalieri erranti, santi, rappresenta magistralmente l’esistenza umana, con le sue miserie e i suoi appunto bestiali e belluini appetiti, facendoci riflettere sulle pestilenze del nostro presente. Un presente travolto dall’egoismo, dal micidiale pericolo soprattutto del web (Revenge porn in ricordo di Tiziana Cantone, “immolata sulla colonna infame dell’ultima pestilenza”) dalla violenza anche sugli animali e sulla natura…) «Partiamo dalla fine, dai graffiti dei cavernicoli, dalla peste,dall’inferno» esordisce il mattatore che ci propone Uro, Il povero Cristo (“Sono quelli che ci passano accanto e che non vediamo”), La peste, Danza macabra. Stupenda La tentazione del porco: «Porco è un anagramma di “corpo”, tutto di lui viene utilizzato, è l’animale più simile all’uomo e spesso viene pronunciato assieme a Dio». Il maiale diventa l’emblema del peccatore che ai detentori delle istituzioni e ai gestori del web lascia in eredità lo stomaco coperto di pelo. Con acute allegorie e copricapi con sembianze animalesche Capossela, accompagnandosi col pianoforte e la chitarra, sviluppa un discorso musicale in un crescendo alla rovescia: dalla pandemia della peste, dalle fiamme dell’inferno, dallo spaventoso uro, l’opera si stempera con canzoni meno roventi ma non meno efficaci: Ballata del carcere di Reading (lascito come quello di Oscar Wilde incarcerato e sofferente che “non deve essere solo punitivo, né senza fine come l’ergastolo” dedicata a Stefano Cucchi), la Madonna delle conchiglie, “il serafino con occhi di biglie”, che aiuta i naviganti, ecco le sardine, ecco il Capitano…, ecco il tributo alla senatrice Liliana Segre e alla Shoah (“Ricordate che questo è stato” Primo Levi). Nuove tentazioni di Sant’Antonio («Quello che nei capitelli è raffigurato con il porcello»), La belle dame sans merci, Perfetta letizia (ispirata a San Francesco), I musicanti di Brema, Le loup garou ( il lupo mannaro con il pelo verso l’interno), La giraffa di Imola (commovente ricordo della giraffa fuggita dallo zoo e uccisa da una eccessiva dose di narcotico), Di città in città (ha per protagonista un ex re della foresta, declassato a buffone e intristito, La lumaca (che lascia il segno.) «La solitudine prepara all’incontro» sostiene l’artista, e come dargli torto? Tra i brani non mancano pezzi ispirati alla grande letteratura, da testi medievali alle opere di poeti come John Keats e Oscar Wilde (è lo stesso autore che ci introduce alle ballate, invitandoci a segnare il tempo o a fermarlo, con la splendida collaborazione di Alessandro Asso Stefano (alle chitarre), Niccolò Fornabaio (alla batteria), Andrea Lumacchia (al contrabbasso), Raffaele Tiseo (al violino), e Giovanni De Gennaro (viella e autofoni), a lungo applauditi assieme alla creatrice dei pannelli con le immagini, alla regia. Instancabile, il mattatore ci regala altri venti minuti di pura gioia cantando Ovunque proteggi ed altri pezzi bellissimi. Ormai tutti gli astanti sono in piedi a omaggiare il loro beniamino, artista unico nel suo genere, che ha avvinto, coinvolto in una sorta di malia collettiva 910 spettatori di ogni età; «…ero abituato all’altro teatro di Vicenza, qui mi sembra di essere dentro un’astronave…».
Questa magica serata si conclude con l’invito di Capossela ad abbracciare ed abbracciarci, gesto forse foriero di un salvifico amplesso con la madre terra e dato che «la cosa più difficile è il distacco» è meglio uscire piano come fa lui (il copricapo ha le sembianze della lumaca), e i suoi valenti strumentisti, parvenze quasi irreali…
“Ballate per uomini e bestie” è un’opera di grande forza espressiva che guarda alle pestilenze del nostro presente travolto dalla corruzione del linguaggio, dal neoliberismo, dalla violenza e dal saccheggio della natura. In un’epoca in cui il mondo occidentale sembra affrontare un nuovo medioevo inteso come sfiducia nella cultura e nel sapere e smarrimento del senso del sacro, Capossela sceglie di pubblicare un canzoniere che, evocando un medioevo fantastico fatto di bestie estinte, creature magiche, cavalieri erranti, fate e santi, mette in mostra le similitudini e il senso di attualità che lo legano profondamente alle cronache dell’oggi.
Il racconto e il canto divengono strumento per tentare un riavvicinamento al sacro e alle bestie, indispensabile punto di accesso al mistero della natura, anche umana. La forma scelta da Capossela per questa sua nuova impresa artistica è quella della ballata, come occasione di pratica metrica e di svincolamento dalla sintesi. La ballata prende il caos delle parole in libertà, l’esperienza liquida del divenire, le riduce a storia e le compone nel fluire di strofe. Tra i quattordici brani che compongono l’album non mancano poi canzoni ispirate alla grande letteratura, da testi medievali alle opere di poeti amati come Oscar Wilde e John Keats.
Scritto, composto e prodotto da Vinicio Capossela, “Ballate per uomini e bestie” è stato registrato nell’arco di due anni tra Milano, Montecanto (Irpinia) e Sofia (Bulgaria) da Taketo Gohara e Niccolò Fornabaio, e si avvale della collaborazione di musicisti prestigiosi come Raffaele Tiseo, Stefano Nanni, Massimo Zamboni, Teho Teardo, Marc Ribot, Daniele Sepe, Jim White, Georgos Xylouris e l’Orchestra Nazionale della Radio Bulgara.