Cinque poesie estratte da Wade in the water (Graywolf Press, Minneapolis – Minnesota, 2018), opera di Tracy K. Smith, inedita in Italia.
Traduzione di Giovanni Parrini.
Ghazal
Il cielo è di un biancore secco, spietato. Ampie strisciate tese allo spasimo.
Le mie mani sono uccelli famelici, che separano ogni gambo da un raccolto rubato: il nostro nome.
È una nave che salpa perennemente, la Storia. Su entrambe le sponde, montagne di uomini, oceani
d’osso, un meccanismo i cui denti triturano tutto ciò che non è il nostro nome.
Puoi immaginare ciò che di noi risuonerà, cosa lacereremo e rivendicheremo, quando ci troveremo
soli con tutto quanto sempre abbiamo agognato: il nostro nome?
O forse ciò che cerchiamo vive oltre il linguaggio, come una tribù di capre su una montagna
soprastante un lago, e i cui zoccoli scalfiscono la roccia, qua e là. Il nostro nome
soffiato d’albero in albero, disperso dalla brezza. Chi sono io per dire ciò che, in questa unione, si è
perduto? Per quanto io ne so, è stata l’erba a catturare il nostro nome.
Accresciute da lamento a ruggito, da ruggito a cupo ringhio di mastino, le voci si spezzano in gola.
A nessun confessore, a nessun peccatore, è stato ancora insegnato il nostro nome.
La chiamata del tempo lo farà risuonare come un tuono? O giacerà, silente fondamento, sotto i
nostri piedi? Il nostro nome, il nostro nome. Il nostro irto, irto nome.
Tafferugli a Baton Rouge
dopo una foto di Jonathan Bachman
I nostri corpi grondano di sangue scuro come l’inchiostro.
Macchie di sangue dentro le fessure dell’asfalto.
È una stranezza dire che l’amore è un linguaggio
che praticano in pochi, però tutti, o quasi tutti, parlano?
Anche quegli uomini in armatura nera
quelli che fanno tintinnare chiavi e manette, che cos’altro sono
loro, così protetti, se non è la lama dell’amore
a foggiare le fibre familiari del cuore?
Osserviamo e soffriamo, dormiamo, ci agitiamo, mangiamo.
Amore: cuore aperto, tagliato. Amore, nitido
quasi nudo, sulla strada di sempre
Lembo che lo solleva una diversa brezza.
Immedesimazione
Lei é come una vecchia tozza macchina
sgangherata ma che arranca tuttora
lungo il tratto in pendenza del marciapiede
di Harrison Street
il bagaglio trascinato di traverso
e, immagino, pesante.
E, il quadro del suo volto e, oh! la fronte
con quei profondi solchi, la bocca sigillata
le labbra piatte compresse. Guardandola
lei piegata in avanti
a lottare contro la gravità
mentre cammina a gambe larghe – i piedi
come si rifiutassero di stare vicini –
osservando le sue spalle serrate
come sferzate a ogni passo, ancora un altro e un altro, e
la determinazione dei suoi occhi
a non cambiare, a non battere ciglio
oppure a stare eretta, allora penso
uno su cinque giorni, io sono te
stanca, svuotata, che odio ciò che porto
ma timorosa di deporlo, io misera, affamata
che urto gli altri col carico leggero del mio sconforto,
a mezza strada sulla via di casa
che mi voglio fermare, rinunciare
eppure continuare
per lo più per ripicca.
Fermata sulla strada nuova
La Storia va di corsa, si muove come una donna
quando raduna i figli su un bus affollato.
La Storia sputa un vai, vai, vai, barcolla all’orizzonte
colpendo col suo pugno i poggiatesta dei guidatori.
Nulla d’altro si muove. In un posto s’acquetano le mosche
guardando, mai annoiate, con i loro milioni di occhi.
Stringono, i corvi, un patto con la brezza.
Loro chiocciano e gracchiano alle donne nella loro frenesia
quelle che si puliscono i denti con la lingua
e hanno gonne sudice di fango. Ma la storia
non è una donna, né folla che si addensa in piazza
non è il lucente sciame delle voci che cantano No e Ora
e neppure il silenzio incantato di una stanza
dove il film degli eventi sta per essere presentato.
Forse la storia è solamente un autobus
che aspetta a lungo prima di avviare il motore
e muoversi veloce per la strada. O magari è la voce
che viene dalla radio, come una chiamata da lontano.
O è il bimbo nella piega del braccio materno
che crede che la storia stia a dormire in una tomba
oppure dentro il ventre di una bomba.
Un’antica storia
Siamo stati creati per capire che sarebbe stato terribile.
Ogni volere minimo, ogni impulso persistente
ogni odio ingigantito fino a una sorta di epico vento.
Livida, la terra e danneggiata, come un sogno furioso.
Il peggio in noi che ha preso il controllo
e abbattuto totalmente il resto.
Un’era lunga è trascorsa.
Quando, infine abbiamo capito quanto poco
ci sarebbe sopravissuto
– quanto poco avevamo riparato
oppure costruito, che non fosse ora perso –
qualcosa di ampio e antico si svegliò. E poi il nostro canto
ha cambiato le stagioni.
Così animali ritenuti estinti da molto tempo scesero dagli alberi.
Salvammo uno dell’altro la nuova discendenza.
Piangemmo a ricordare quei colori.
—
Note al testo
Ghazal
Il titolo è ripreso da una forma compositiva poetica, costituita da una serie di distici, che ha origini nel VI secolo, con il poeta persiano Hakīm Sanāʾi (Sana’i il sapiente, in lingua persiana) nato a Ghazna, una città situata in Afghanistan.
Tafferugli a Baton Rouge
Il fotografo citato nel sottotitolo della poesia, Jonathan Bachman, è un fotogiornalista freelance, premio Pultizer nel 2017. Nato a New Orleans, lavora usualmente per l’agenzia Reuters, per la Getty Images e per la Associated Press. Nel luglio 2016, Bachman riuscì a fare alcuni scatti che testimoniano la reazione all’uccisione del trentasettenne Alton Sterling, un uomo di colore assassinato da un poliziotto, a Baton Rouge.
Nota biobibliografica sintetica
Giovanni Parrini è nato a Firenze, città in cui vive. Ha pubblicato i lavori seguenti: Nel viaggio (Lietocolle, Faloppio, 2006); Tra segni e sogni (Manni, Lecce, 2006); Nell’oltre delle cose (Interlinea, Novara, 2011 – Premio Mario Luzi 2011; finalista Premio “Il Ceppo” Pistoia 2013); Valichi (Moretti & Vitali, Bergamo, 2015 – Premio Viareggio-Giuria 2015; Premio Pisa 2015); Le misure del cielo in “Poesia”, n° 284, a cura di M.G. Calandrone (Crocetti Editore, Milano); Tra poco, nell’aurora in “Nuovi Argomenti”, n° 73 (Mondadori, Roma, 2016); Antico cascinale in “Gradiva”, n° 55 (Leo Olschki editore, Firenze, 2019); Garden of Eden Cinque poesie tradotte da Wade in the water di Tracy K. Smith (premio Pulitzer, cinquantaduesimo poeta laureato americano) in “Nuovi Argomenti” (Mondadori). Vari lavori di poesia sono presenti nell’Almanacco dello Specchio 2010-2011 (Mondadori, Milano). Suoi interventi critici su poeti contemporanei italiani e stranieri si trovano in “Caffé Michelangiolo” (Polistampa, Firenze), “Poesia” (Crocetti Editore, Milano), “L’immaginazione” (Manni Editore, Lecce).