Gianluca D’Andrea. Forme del tempo (Letture 2016-2018)

Gianluca D’Andrea nella ph di Dino Ignani

 

 

Forme del tempo (Letture 2016-2018) di Gianluca D’Andrea, Arcipelago itaca Edizioni, è un libro di una bellezza che potremmo definire sempre nuova, vuoi per le continue sorprese che ogni nuova lettura riserva, vuoi per l’amore senza riserve di colui che scrive (in uno “stile” riconoscibilissimo) riuscendo con le proprie riflessioni a identificare il presente (“dimensione unica e molteplice”) incrociando, come spiega lo stesso nella “Premessa minima”, le proprie esperienze di lettura “con altre esperienze, assolutamente personali”.

 

Del libro, avendoli scelti non senza difficoltà, riportiamo tre “passi”:

 

8. UN RACCONTO: RICORDO D’INFANZIA

Gli ultimi giorni sono i più devastanti.
Sono i ricordi di tutto ciò che finisce ed io ricordo le passeggiate tra gli uomini, le persone e i luoghi che non formano il passato ma la sua scomparsa, il ri-presentarsi delle immagini, i fantasmi dei tanti me trascorsi, delle persone incontrate, degli spazi vissuti perché scomparissero dentro l’accumulo, l’archivio aleatorio della memoria, che tiene viva la scomparsa ben oltre me.
Così, immagino la radura con lo sterco di capra, la ricerca di un angolo accessibile e l’angolazione per intercettare una prospettiva riposante, uno spazio di rigenerazione. Dopo, la collina riprende-va la sua ascesa fino a espandersi in un panorama di altre colline. Il valore rassicurante di una meta, prima del ritorno calcolabile – questo era il massimo di una spregiudicatezza infantile –, rendeva la valle sottostante, col suo fortino spagnolo, il centro dell’esplorazione dei nostri corpi; la pienezza delle loro funzioni consisteva nel potere approdare dopo il cammino, provando a scoprire un mistero nel luogo, o meglio a immaginarne il mistero.
Il rientro al luogo di partenza, pur conservando la sensazione ras-sicurante dell’accoglienza, annunciava una sconfitta. L’impossibilità di capire la nostra fine era esorcizzata dal racconto dell’impresa, delle scoperte fatte, immaginate. Da una mitologia oscura.

In sospensione sulla radura
evitavamo le palline di sterco,
dopo aver rifiatato si apriva
un orizzonte e una caduta.
Al forte, al forte! Per finire
d’immaginare l’ultimo giorno
e la sua scomparsa prima
del ritorno ai nostri rifugi,
la vera finzione del racconto
uno accanto all’altro
sentendoci insieme nel desiderio
di dire la nostra visione.
Il mito senza fuoco
che esorcizza la paura,
peggio di morire dimenticare?
Ha un’origine sentire gli spazi
espandersi e richiudersi
dentro un flusso di parole.
Mai riconobbe la propria paura
rifluendo nell’aneddoto
e nella contingenza della storia
comune e abnorme
degli eventi immaginati.

 

17. IMMAGINAZIONE

La sensazione che un “ricordo non possa essere ricordato” è prodotta da un’angoscia. Da un vuoto, quindi, che riesce a colmarsi, anzi finge di colmarsi, con l’utilizzo di uno strumento sostitutivo. Nel caso della poesia, le parole sono il mezzo per tentare il riem-pimento, almeno in parte, laddove il segno ha creato il vuoto del-la sua inaderenza al concreto. Un’ombra che cerca di articolarsi attraverso simboli nuovi, e che rischia sempre di disancorarsi de-finitivamente dalle relazioni. L’immaginazione non è nient’altro che l’emersione dovuta allo sforzo tensivo tra pensiero e segno, nella ricerca di un contatto. Così nascono nuovi simboli e si tenta una diversa mitologia. Come Yeats sosteneva parlando di Blake: «egli fu un uomo alla disperata ricerca di una mitologia, e cercò di crearsene una perché non poté trovarla a portata di mano», vicenda accostabile a chiunque si confronti col linguaggio e con la difficoltà del segno di trovare aderenza al contesto.

 

35. MELANCONIA

La sospensione non va ridotta a mero livellamento. L’irriconoscibilità dell’altro dipende dalla mancanza di attrito dovuto all’assenza di presenza. Per non rischiare di sprofondare nell’ombra – nel riflesso e nel “senza mondo” – il soggetto ha bisogno di segnali, segni evidenti, eccessivi, di una comunicazione che riempia la distanza. Nell’epoca dell’isolamento è già forte l’impulso alla relazione, ma il raggiungimento dell’altro è reso ancora più complicato dal diradarsi della presenza.
Il sentimentalismo spicciolo, espresso dalla rapidità della comunicazione, si evidenzia in una simbologia che, nella sua banalità, sta però rendendo più complessa la sua struttura, aggiungendo sfumature derivanti da una gestualità inghiottita dagli schermi. Per non parlare dell’immagine – foto o video – tesa a divenire la sostituzione rappresentativa di un percorso che la verbalizzazione e la scrittura avevano reso possibile. La storia, il racconto, oggi si esprimono per immagini, da individui che ne parcellizzano il senso, centralizzando nel momento che è avvertito come necessario (e desiderante) barlumi della propria esperienza. Il tutto è ricondotto alla dimensione della traccia, degli indizi che, chissà, un giorno potrebbero essere rielaborati da computatori ancora più raffinati degli attuali, per dare a un eventuale ente del futuro un quadro della vita antropomorfa nel momento che precede la sua scomparsa.
L’apertura di senso può scaturire dall’insignificanza di questi indizi, o forse nella liberazione dal senso che il soggetto impone alla propria esistenza, alla sua necessità di “essere” a tutti i costi in un periodo in cui a essere è solo un insieme di frammenti per immagini.
Non penso sia ripristinabile una relazione “erotica” col mondo così come eravamo (alcuni, ultimi di una generazione) abituati a concepirla fino a qualche decennio fa. Siamo solo in attesa della catastrofe successiva, o meglio del disastro. Dis-astrum, come av-viene in Melancholia di Lars von Trier (2011) e come si può leggere nell’efficace analisi che di questo film ci presenta Byung-Chul Han (cfr. Eros in agonia), e alla quale questa lettura è dedicata.

 

 

Notizia bio-bibliografica

Gianluca D’Andrea è nato a Messina nel 1976. Tra le sue pubblicazioni: Il laboratorio (Lietocolle 2004); Distanze (lulu.com 2007); Chiusure (Manni 2008); [Ecosistemi] (L’arcolaio 2013); Transito all’ombra (Marcos y Marcos 2016). In Postille (tempi, luoghi e modi del contatto) (L’arcolaio 2017) ha raccolto i commenti a singoli testi di poesia moderna e contemporanea, elaborati dal 2015 al 2017 in vari siti letterari. Suoi testi sono inclusi in diverse antologie e tradotti in varie lingue. Per la casa editrice L’arcolaio dirige la collana di poesia Φ (phi). Collabora con il quotidiano culturale online “Alfabeta2” e con “l’EstroVerso”. 
Vive a Treviglio (BG), dove insegna nelle scuole medie. Il suo sito personale è: https://gianlucadandrea.com.

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