«Formatosi accanto ai maestri italiani della scultura tendente all’essenzialità strutturale, a poco a poco, attratto dalla ricerca figurativa promossa dalla cultura artistica postmoderna, ha elaborato un proprio linguaggio espressivo. Linguaggio che lo contraddistingue per la sensualità del modellato e per la morbidezza dei dettagli plastici. Lontano dal clamore mediatico lavora con umiltà e silenzio cercando nella materia il palpito della natura. Per la qualità scultorea della sua ricerca, per la profondità del messaggio poetico espresso dalle sue opere, la Città di Zafferana Etnea gli conferisce il Premio Giuseppe Sciuti 2024». Un passo dalla motivazione, scritta dal Direttore artistico del Premio, prof. Paolo Giansiracusa, per il Maestro Scultore Salvatore Rizzuti (nella foto in copertina di Anna Rizzuti), “Menzione d’Onore” del X Premio Internazionale di Pittura “Giuseppe Sciuti”.
La cerimonia di premiazione, si terrà al Palazzo Municipale di Zafferana, sabato 16 novembre, dalle ore 18 (per l’occasione, Rizzuti, donerà il proprio “Deucalione e Pirra”, bronzo, cm 41 x 22, 1984). La giuria, presieduta dal Maestro Corrado Iozia e formata da Carmine Susinni, Antonello Piraneo, Egidio Incorpora, Rocco Froiio e Lucia Scuderi, presente il Comitato Organizzatore, presieduto da Graziella Torrisi, Anna Fichera, Giuseppe Cristaudo, Alfio Tropea, Roberta Ferlito e Cetty Previtera, assegnerà il prestigioso riconoscimento.
«Crediamo nella cultura come spazio di investimento per arricchire la nostra comunità. Nel tempo, lo ribadiamo sempre con orgoglio, stiamo lavorando per acquisire opere preziose di grandi Maestri che confluiranno nel nostro prezioso Museo d’arte cittadino», dichiara il Sindaco, Avv. Salvo Russo in accordo con l’Assessore alla Cultura, Ata Pappalardo, e il Presidente della giuria, Maestro Corrado Iozia.
«Considero un onore aver potuto organizzare il “Premio Sciuti” per dieci anni, mi ha arricchito conoscere artisti contemporanei di chiara fama internazionale, aver potuto dialogare con chi ha una maggiore sensibilità, con chi osserva il mondo con la bellezza negli occhi e ne coglie, giorno dopo giorno, quell’incanto del creato, lottando per ciò che è più nobile: l’arte nella sua complessità di forme e di pensiero – dichiara la dott.ssa Graziella Torrisi -. Con Rizzuti, assegneremo altri importanti riconoscimenti: all’artista Grazia Varisco, il “Premio alla Carriera”, (“Formatasi a Milano, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, ha trovato nella semplicità strutturale, nella manipolazione della luce, nell’uso del colore puro, il suo linguaggio espressivo. Le sue opere, come ‘trappole visive’, come ‘accumulo di segni’, hanno calamitato la bellezza e provocato forse – come la stessa afferma – stati di grazia”); alla pittrice Diana Marcadini il “Premio alla creatività giovanile”, (“Figlia del Terzo Millennio, vive i problemi e le inquietudini del nostro tempo, utilizzando la pittura come strumento di indagine e conoscenza. Il suo colore squillante si insinua nel branco, nel mercato, nella festa per cercare gli sguardi, i gesti e le espressioni dell’umanità nuova”); il “Premio Amico dell’Arte”, che sveleremo durante la serata di premiazione, ovvero un premio cultura destinato a promotori illuminati e lungimiranti, figure dedite all’affermazione della poesia, del colore, della forma».
Altri preziosi momenti della serata saranno: la consolidata e attesissima lectio magistralis a cura prof. Giansiracusa, incentrata sulla figura dello Sciuti e, altresì, sulle “note” distintive dei premiati; la proiezione di video d’artista a cura della fotografa Roberta Ferlito (le Mostre Virtuali “Sciuti” e “Rizzuti-Varisco”, l’intervista all’Architetto Isabella Sacco, discendente dello Sciuti, realizzata, a Roma, da Graziella Torrisi); le pregiate sculture realizzate dal Maestro Carmine Susinni per i vincitori; i momenti musicali con Concetto Scuderi (clarinetto) e Carla Cantarella (pianoforte).
Salvatore Rizzuti (Caltabellotta, 1949), si è laureato in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove, dal 1980 al 2015, è stato titolare della Cattedra di Scultura. La sua carriera è caratterizzata da una intensa e continua produzione artistica, che ha messo anche al servizio delle istituzioni realizzando alcune opere pubbliche. Ricordiamo: il “Monumento alle vittime della mafia” di Campobello di Mazara, il “Monumento a Francesco Crispi” di Ribera, il “Monumento all’emigrante” di Alessandria della Rocca. Dal 1998 al 2000 ha approfondito uno studio sulla Tribuna marmorea di Antonello Gagini della Cattedrale di Palermo, ormai scomparsa, coinvolgendo gli allievi della scuola di Scultura da lui diretta, e riproducendola in scala 1:10, in un plastico in legno e gesso, ora esposto nella stessa Cattedrale. Nel 2014 ha donato trentacinque delle proprie opere al Museo Civico di Caltabellotta (AG). Nel 2015 ha pubblicato il “Manuale di tecniche della Scultura”, edito dall’Istituto Poligrafico Europeo di Palermo.
Com’è nata la sua passione per l’arte? Quando si è messo in ‘azione’? Esiste un aneddoto che vuole raccontarci?
«Spero di non apparire presuntuoso se affermo che la mia passione per l’arte è innata e che non c’è stato un momento preciso in cui io l’abbia scoperta. Per me l’arte (la scultura nel caso specifico) è un linguaggio, un modo di esprimersi. Pertanto non c’è mai stato un momento iniziale, ma considero il fare scultura come un bisogno irrinunciabile, senza un inizio e una fine, ma solo un divenire».
La scultura dagli esordi ad oggi, verso quali ‘mete’ si dirige o vorrebbe si dirigesse? «Come tutte le espressioni artistiche, la scultura va considerata un atto creativo senza tempo le cui mete possono essere tante quanti sono gli artisti che usano questo linguaggio espressivo».
Potendola definire, ci dice qual è la sua poetica scultorea?
«La sua domanda contiene e riconosce già la difficoltà di definire una poetica artistica, un fare dalle molteplici sfaccettature. Ciononostante, dovendo provare a dare comunque una definizione, direi che la mia è una ricerca che attraverso il mito, il simbolo e gli archetipi dell’inconscio collettivo, che talvolta affiora nei sogni e nelle opere d’arte, conduce a una sorta di visionarietà che consente una profonda risonanza con le persone».
Qual è il “materiale” (o, se preferisce, il “colore”) che sposa (o vorrebbe sposasse) la sua interiorità?
«Raramente adopero il colore nella scultura. Prediligo la materia semplice, nella sua forma e nel suo colore naturale, come nel caso delle venature del legno o della sfumatura rosata della terracotta. La luce, e la sua direzione, piuttosto, hanno un valore importantissimo nella scultura, poiché consentono di evidenziare nel giusto modo i volumi».
Cosa vorrebbe suscitare in coloro che osservano le sue opere?
«Semplicemente uno stimolo a guardarsi dentro».
Oggigiorno quali sono (o dovrebbero essere): funzione dell’arte e responsabilità dell’artista?
«L’arte, lo sappiamo, è pensiero creativo e assume infinite funzioni, dalla pura rappresentazione formale ed estetica, alle problematiche esistenziali, alla denunzia, a tante altre. Perciò, a mio parere, la responsabilità dell’artista coincide con l’onestà intellettuale di credere in quello che fa, e in questo modo assolve già la sua funzione sociale. Ma questo fa fatto sempre con professionalità, con cultura e competenza».
Esiste un’opera (di altri artisti) nella quale ama ‘rifugiarsi’? Ci racconta per quali ragioni, con “quali” emozioni?
«Ce ne sono tantissime, ma più che rifugiarmici vorrei saperne accogliere il messaggio e il monito. Comunque credo che Picasso con Guernica abbia raggiunto la vetta più alta dell’espressione artistica, poiché vi ha saputo infondere tutta la drammaticità della guerra».
Qual è stato ad oggi il più grande insegnamento ricevuto in dono dall’arte?
«Imparare a guardare il mondo e dentro se stessi con gli occhi dello spirito e della compassione, non con gli occhi del tornaconto».
Dovendo scegliere tra le sue opere quella dalla quale si sente meglio rappresentato (quella che disegna al meglio la sua ‘poetica’) quale sceglierebbe (e per quali ragioni)?
«Non è retorica quando si dice che per un artista le proprie opere sono come figli. Pertanto, ogni artista riconosce in ciascuna sua opera parte di se stesso, esattamente come ogni genitore riconosce qualcosa di se stesso in ciascuno dei propri figli».
Per concludere, come commenta la vittoria del prestigioso “X Premio Sciuti”?
«Non la considero una vittoria, ma un dono, un riconoscimento con cui la Giuria del Premio mi ha voluto onorare e che spero di aver meritato, non soltanto per quanto già fatto, ma anche per quel che mi prefiggo di volere ancor fare».