#1Libroin5WPoesia
Chi?
I protagonisti del libro sono, come da titolo delle sezioni, mio padre e mia madre (a cui è dedicata la raccolta), i miei fratelli, la famiglia Settembri tutta, nell’ambizione di delineare una saga o epopea familiare sul modello della “Camera da letto” di Bertolucci o della famiglia sulle Cesane, patria poetica di Umberto Piersanti, al quale ho dedicato un’opera monografica (Il mito ritrovato, Industria & Letteratura, 2021), che ha sicuramente influito sulla tensione ad elevare a mito un patrimonio di memorie e suggestioni che hanno attraversato la mia infanzia e adolescenza fino ad oggi. Le ultime due sezioni riguardano invece solo il presente: “Il mestiere del professore” riguarda la mia professione nel passaggio da insegnante di sostegno ad insegnante della disciplina (italiano, storia e geografia) nelle scuole medie. L’ultima sezione, la più variegata, che dà il titolo anche all’opera, scaturisce da una serie di “occasioni”, per dirla con Montale, in cui la poesia mi ha fatto visita (dalle prime immagini della guerra in Ucraina ad alcuni versi cadetti composti durante un esame universitario nel 2008).
Cosa?
Rileggendo la raccolta mi sono reso conto che non sempre è facile distinguere se le persone di cui parlo sono mie sodali o non ci sono più. Se inizialmente ho provato una leggera inquietudine, poi ho compreso la necessità, almeno per me, che il dialogo avvenisse in quei termini, come se quelle persone a me care fossero presenti comunque, le portassi nel cuore. Questo il senso anche di una poesia intesa come “preghiera laica”, strumento per proseguire un colloquio che la morte ha solo cambiato, non interrotto, tanto più che nel sapere orientale si parla di due morti: una che riguarda la normale dipartita, biologica, di una persona; l’altra avviene quando di una persona non è più possibile raccontare una storia, nessuno se ne ricorda più. Dunque la poesia, come la letteratura e l’arte in genere, permette di tenere in vita, grazie alla memoria, i trapassati.
Alcuni lettori e lettrici hanno notato il permanere di una venatura malinconica (spero diffusa e non effusa). Rileggendomi anch’io mi sono chiesto se ci fosse un’esposizione eccessiva del mio dolore personale. Tuttavia credo che la presenza del dolore sia non solo legittima, ma anche connotativa (se penso, ad esempio, a quanto dolore c’è in due poeti degli ultimi quarant’anni da me molto amati, Ferruccio Benzoni e Stefano Simoncelli): l’importante è che la poesia esprima dolore senza maledire il mondo, mantenendo, cioè, pur nella delicatezza, una dignità, virilità che rintraccio anche in Leopardi, ed è forse l’angolatura migliore da cui è possibile comprenderlo. Dunque una malinconia, una nostalgia della vita (l’archetipo a me caro della tensione al ritorno nel grembo materno), che però non toglie amore per la vita, ma lo accresce.
Quando?
Ad incoraggiarmi alla pubblicazione è stato più di ogni altro il maestro Giancarlo Sissa, con il quale ho instaurato un dialogo duraturo nel tempo, e che ha generosamente assistito al dipanarsi di questo libro. Naturalmente un ruolo determinante lo ha giocato Luca Pizzolitto, che mi ha voluto nella sua collana Portosepolto: avendo occasione di tornare a riflettere sui miei versi mi convinco ogni giorno di più che non avrebbero trovato posto migliore nella dimensione che Luca è riuscito a creare, non solo per la qualità dei poeti convocati, ma per quel clima di condivisione e perpetuo rimettere in discussione la propria arte tipico del cenacolo, più che il circolo letterario di chi si sente “arrivato” e si affanna in maniera spesso malcelata, a difendere il proprio status di poeta, quasi fosse un privilegio snobistico. Questo credo sia il senso anche del lavoro di bottega, del dialogo concreto instaurato con Luca sul libro, e sul quale avrò modo di tornare esplicitamente su un testo.
Dove?
Ci tengo a ripartire dai maestri, dai punti di riferimento, per tutta una serie di ragioni, letterarie e di formazione personale. Insistere sui maestri significa, a mio parere, prendere posizione rispetto a una vulgata che riconoscerebbe l’originalità di una creazione artistica solo dallo smarcarsi da uno stile, quasi che l’originalità fosse uno scoop. Viviamo in una società che è ossessionata dal riconoscimento individualistico della propria identità quando invece un’identità realmente aperta al mondo si realizza, a mio parere, anche inserendosi in un filone di appartenenza, non per questo escludente, come nella formazione delle conventicole letterarie o nelle dinamiche di piccolo potere dell’editoria italiana sulla poesia. L’auspicio è quello di essere riuscito ad inserirmi, con i miei versi, nella tradizione del Grande Stile, e del canto della poesia italiana che da Leopardi e Pascoli arriva a Bertolucci, Gatto, Caproni, Sereni. Dunque i maestri che ho amato nella biblioteca e quelli che ho avuto la fortuna di incrociare personalmente, che a quella tradizione attingono da sempre, da Umberto Piersanti, a Francesco Scarabicchi, a Guido Garufi e soprattutto Filippo Davoli, per la felice ispirazione dei suoi versi, l’amicizia e la coerenza della propria militanza attraverso la rivista Ciminiera. Ad ogni modo ricordo che il mio è un esordio particolare, in poesia, a 42 anni, dunque senza alcuna fretta. E’ un elemento che non va dimenticato perché un’altra lezione fondamentale è arrivata dal prof. universitario con cui mi sono laureato, Roberto Cresti, professore di Estetica e Storia dell’arte contemporanea e magistrale traduttore di John Keats (i Sonetti, per la Garzanti; Urne del sogno, le odi, per la Pendragon). Al prof. e ad uno dei miei compagni di università, Luca Campana, devo l’attenzione allo scandaglio critico (“il fatto arte nasce dalla critica”, scriveva Soffici), ad arginare l’eccessiva ingenuità o narcisismo del “questo l’ho fatto io”, mantenendo un filtro letterario che non sovraesponga i miei versi, perdendosi per strada l’equilibrio formale. Allo stesso modo, agli anni universitari ascrivo la liberazione dalla tirannia, dallo steccato dei generi, che impediscono di apprezzare un’opera in tutto il potenziale creativo. E un’ultima lezione fondamentale degli anni universitari è arrivata dalla stesura della mia tesi sulla pittura di Ottone Rosai, la consapevolezza, anche in età contemporanea, di preservare il fare artigiano, poiché, come ricordava Francesco Scarabicchi, “nessuna arte è astratta, è sempre corpo, respiro, sangue”.
Perché?
L’ispirazione, se così possiamo chiamarla, sebbene rigetti l’equivoco relativo all’ispirazione romantica (dietro l’ispirazione c’è sempre studio, ascolto, rimuginio, percezione di una ricchezza interiore, ecc.), inizialmente nasceva dal rientro a casa, dall’attraversamento di una soglia. Forse la migliore definizione dell’ispirazione nella scrittura l’ha data Pavese, quando afferma che lo scrittore che medita al balcone, fumando, non cerca l’ispirazione, scaccia i pensieri. L’ispirazione è un movimento, un varco che si apre mentre si sta riparando un attrezzo o sistemando il motore di una barca, ecc. Ad ogni modo nel rientro a casa soddisfatto del mio nuovo mestiere, coglievo, mi accorgevo dell’assenza di mio padre, che avevo trovato il lavoro adatto a me solo ora che lui non c’era più (mio padre è venuto a mancare nel 2018). Questo il motivo che mi ha spinto a scrivere la prima sezione, che per molti è anche la più riuscita del libro. Ma torniamo al mio mestiere di insegnante: dal 2009 ho svolto il mio mestiere di insegnante di sostegno, con coscienza, credo, ed impegno. Il biennio 2020-2021, con la pandemia, ha costituito per me un momento di profonda crisi personale. Nel corso degli anni avevo scritto recensioni a mostre d’arte figurativa, brevi scritti critici. Dal 2016 ero tornato alla poesia, ma dal versante critico, rileggendo pazientemente tutti i maestri del Grande Stile. Tra il 2019 e il 2021 i frutti di questi studi mi hanno portato alla collaborazione con riviste e blog molto importanti (su tutti Nuova Ciminiera, diretta da Filippo Davoli e Gabriel Del Sarto). I miei versi tuttavia erano bloccati: la causa psicologica che ho rilevato risiedeva, per me, nel fatto che l’insegnamento del sostegno mi consentiva di essere relativamente “comodo”, di avere molto tempo per studi diffusi. E una volta la poetessa Francesca Serragnoli mi disse che quando si è troppo comodi la poesia si allontana. Una considerazione apparentemente semplice, che nondimeno coglieva il limite di quel mio lavorare all’ombra di un mestiere che forse non sentivo davvero mio. Diventando insegnante di italiano credo di aver trovato il mio vero mestiere (“in fondo chiunque faccia il proprio lavoro con passione è un poeta” ha detto una volta Franco Loi); la poesia è scaturita come restituzione di questo felice, sebbene anche faticoso e sofferto, cambiamento.
D’altra luce è un libro molto particolare, come dicevo, dove i vivi e i morti sono avvolti dalla stessa luce. Sono molto contento, e naturalmente onorato, della definizione che Sissa ne ha dato, di romanzo in versi: alcuni lettori mi hanno confermato questa impressione, di una raccolta poetica da leggersi tutta d’un fiato, che forse conferisce anche levità a una materia spesso vicina all’elegia.
Quanto al perché leggere poesia oggi, credo che la poesia, la letteratura e ogni forma d’arte ci aiuti a comprendere meglio la vita, non a salvarla; la vita la salvano le persone, ci salviamo noi stessi come persone. Mi sembra sbagliato conferire un’eccessiva responsabilità alla parola, che può essere anche infida o fragile. Ed è anche sbagliato pensare che la poesia o l’arte renda di per sé l’uomo migliore, più buono, ecc. Di sicuro l’arte ha un profondo ruolo conoscitivo dell’animo umano e della vita. E in una società sempre più materiale, dove ciò che è serio alla fine dei conti sembra essere solo il denaro o la salute come benessere superficiale, credo che la letteratura, ma anche il valore dell’istruzione come curiosità, la gratuità del sapere, siano i migliori presìdi perlomeno di decenza, degli argini contro l’apatia, l’insidia maggiore che colgo nei miei alunni e alunne, alla quale il venir meno di riferimenti educativi li espone.
Scelte per voi
Vorrei nel mio sangue corresse
la tua generosa tristezza,
il sollievo inesprimibile
che coglieva inatteso
i resti del giorno
per chi tornava
dal tuo capezzale.
In questa poesia, che apre la sezione dedicata a mia madre, rievoco l’omelia del parroco durante il suo funerale, nel 2001. Il parroco disse semplicemente che si andava a trovare mia madre in ospedale con l’intento di consolarla del male, e si veniva via consolati da lei.
Ai miei alunni
A stento trattengo un sorriso
scorgendo il fumo
che vi esce dalla testa.
L’inverno più crudo
della nostra storia
è trascorso stretti
al respiro,
attraverso fantasmi
di corpi senza volto.
Un dolore che non si vede
ci percorre inseguendo
un riflesso di luce.
Per questa poesia, che fa riferimento esplicito alla pandemia covid, il direttore di collana Luca Pizzolitto mi aveva proposto di togliere i primi tre versi, che forse avrebbero reso più solenne il tutto. Ho voluto tenerli per conservare l’atmosfera reale del contesto: nella prima parte c’è un elemento ironico essenziale; avrei potuto eliminarlo se fossi stato un infermiere in un pronto soccorso durante la pandemia. Per la situazione a scuola, nonostante i disagi, una drammatizzazione eccessiva sarebbe risultata retorica.
Gratitudine
Per il dono del vuoto
e la noia tribolata
del lavoro,
per tutti i piccoli fastidi
che mi difendono
dalle comodità.
Per la memoria dei miei cari,
ogni giorno più vicini e più lontani,
per l’infinito sapere
del respiro e delle viscere,
per l’invidia
e il castigo del limite.
Per la luce alta sopra di me,
così carica e innocente.
Questa poesia nasce dal senso di gratitudine provato verso i miei alunni e verso le fatiche e le difficoltà del nuovo lavoro, che hanno permesso alla mia poesia di fiorire.
Ezio Settembri (Macerata, 1981) ha studiato Lettere Moderne a Macerata, laureandosi nel 2007 con una tesi sul pittore fiorentino Ottone Rosai. Dal 2009 lavora come docente nella scuola secondaria. Ha pubblicato poesie e studi sulle arti figurative su varie riviste, tra cui L’immaginazione, Atelier, Il falco letterario, La Bottega della Poesia di Repubblica, Il Foglio, La Voce di Mantova, Infinito letterario, Poeti e Poesia; sue poesie sono apparse nelle riviste online Atelier, Versipelle, L’Astero rosso, La morte per acqua, Alma Poesia, La poesia e lo spirito, Poetarum silvae, Farapoesia, Arcipelago Itaca. Una sua poesia ha ottenuto il secondo posto al Premio di poesia indetto dal Museo Omero e dall’Università per la Pace delle Marche. Suoi brevi studi su poeti contemporanei sono apparsi sulla rivista Menabò. Dal 2019 fa parte della redazione della rivista online Nuova Ciminiera, sulla quale sono apparse delle brevi ricognizioni sulla poesia di Sereni, Benzoni, Pasolini, Scarabicchi, Davoli. Nel 2021 è uscito il suo primo saggio, Il mito ritrovato – La poesia di Umberto Piersanti (ed. Industria & Letteratura), vincitore del Premio Lago Gerundo di Paullo, Premio L’arte in versi di Jesi 2022. D’altra luce (peQuod, 2023 – Portosepolto – Collana di poesia diretta da Luca Pizzolitto) è la sua prima raccolta di poesie (finalista al Premio Chiaramonte-Gulfi e menzione al Premio Lord Byron 2023). Attualmente vive e insegna in provincia di Mantova.