#1Libroin5WPOESIA.: Mirea Borgia, “Cronaca dell’abbandono”, Il Convivio.

#1Libroin5WPOESIA

 

Chi?

Protagonista è una donna piena di contraddizioni, ribelle ma sottomessa, totalmente incapace di un’azione concreta. Antieroina per eccellenza, non ha nulla a che fare con la “donna coraggio” che tutte speriamo di incarnare, corre sempre sul posto e si affanna, cercando di raggiungere la perfezione. Un’idea di perfezione che non ha però una forma definita, semplicemente perché a richiederla è una personalità manipolatrice. Scoperta tale realtà, avviene il cambio di rotta e da qui nasce il libro. Ma si dà alla luce anche una nuova identità: è così che prende vita Mirea Borgia.

Cosa?

Nel libro, come suggerisce il titolo “Cronaca dell’abbandono”, si racconta in quadri lirici il percorso di liberazione, dal momento in cui si scopre la propria condizione alla fuga. Affinché questo avvenga, la protagonista analizza la propria indole di vittima e quella del carnefice, e in seguito escogita la soluzione che può assicurare la sopravvivenza. Invece di lottare per i suoi diritti e affidarsi alla legge affinché  possa liberarsi, si consegna al giudizio negativo della collettività alla quale ha nascosto le violenze subite, psicologiche e in parte fisiche, e abbandona il luogo in cui vive, dando in pasto il suo nome a tutte le possibili maldicenze. In tal modo, pur portando avanti un esperimento parzialmente fallimentare, dimostra che l’uomo violento, quando ha a che fare con una donna che considera sua, si fermerà solo se avrà da guadagnare qualcosa di concreto, in termini economici e di rispettabilità. Per arrivare a questo, studia le debolezze dell’antagonista, arrivando alla conclusione che un certo tipo di individuo perde il controllo se all’improvviso non possiede più ciò che per lui conta: onore, credibilità, patrimonio. Pertanto, la donna lascia tutto apparentemente senza un perché, proclamandosi manchevole e fragile, incapace di sopportare il peso delle responsabilità, perdendo tutto quanto può in termini economici e abbandonando gli affetti, le radici, e persino rinunciando al proprio nome. Sceglie di valicare il confine oltre il quale troverà probabilmente la solitudine. “Spogliandosi di ogni qualità si libera da ogni condizionamento”, scoprendo in seguito che senza quelle qualità semplicemente smette di esistere.

Quando?

L’idea è nata alla fine del percorso delineato, momento in cui ho deciso di offrire la mia testimonianza alla collettività. Per realizzare il libro, sono dovuta andare a ritroso, sopportando con difficoltà il riaffiorare dei ricordi. Per questa ragione, mi ero posta un limite di trenta poesie, non una di più, così da evitare di cadere nuovamente nel vortice del senso di colpa che attanaglia chi si trova nella stessa situazione, e di lasciami andare al dolore.  Mi premeva però che non si realizzasse ciò che tanto temevo, una sorta di diario, di sfogo personale, che esulasse dalla poesia. Nello stesso tempo era fondamentale che a parlare fosse la vittima, in prima persona. Il fatto che buona parte del testo sia nato successivamente ad alcuni eventi, mi ha permesso di guardami con il giusto distacco. Ma è stato ugualmente tremendo, perché ritornava sempre la stessa domanda: “Sto dicendo la verità? Io ho vissuto queste cose?”. Mi sono resa conto che ogni episodio negativo, durante la relazione tossica, era stato rimosso puntualmente, per favorire l’illusione di una vita felice.

Dove?

Il testo è cresciuto lontano dai luoghi in cui ho vissuto, dopo aver attraversato il mare, la cui vista mi ha accompagnato per tutta la vita. Oltre quello specchio d’acqua che rappresentava un confine insormontabile, ho ritrovato la capacità di riconoscermi, persino attraverso gli incubi che ancora mi accompagnano. L’inconscio notturno è stato essenziale per dare corpo alla realtà dei fatti, quella di una donna che ha vissuto nella paura per più di quindici anni. Paura non solo di essere oggetto di violenza, quasi sempre evitata con una buona dose di abilità, ma anche di esserne la causa scatenante.

Perché?

La poesia riesce a raggiungere profondità che altrimenti non saremmo capaci di toccare. Nel suono che produce, nell’immagine viva che fa visualizzare, nella domanda che provoca. La necessità dell’uomo di porsi interrogativi è tale da non poter fare a meno di questa forma letteraria, che sopravvive a tutto, persino all’oblio. E non c’era quindi forma migliore per descrivere la dimenticanza del sé, e il suo recupero. Era necessario dire una verità attraverso un codice inconsueto, come l’alfabeto morse che lancia un allarme, perché trovasse veicoli diversi proprio dalla “cronaca” di cui parla. Dire senza raccontare, per proteggere la vittima (qualsiasi) dal luogo comune, dallo slogan sensazionalistico, e dallo sconforto nel vedersi ridicolizzata. Leggere questo libro è un modo come tanti per mettersi al posto di un altro, ma anche per apprendere che spesso affrancarsi comporta dover perdere la propria natura.

 

Scelte per voi

Mirea Borgia, “Cronaca dell’abbandono”, Il Convivio.

 Scelgo di condividere tre poesie di tre sezioni diverse, la prima in cui avviene la resa dei conti, la seconda in cui si analizzano le conseguenze della fuga e la terza la nascita di Mirea, descritta nella sua doppia identità di oppressa e raminga. Ognuna di queste poesie è venuta alla luce ad ogni nuovo inizio, l’ultimo dei quali ha inaugurato un’esistenza diversa e, di conseguenza, la perdita dolorosa delle proprie radici e del proprio nome. Perdita che diventa una nuova gabbia che la protagonista delinea intorno a se stessa, rischiando di non affrancarsi del tutto.

Il mio rifugio è nella disgressione,
senno che fa il lessico piatto,
asciuga la lingua degli occhi.
Ti menziono per ingoiare, digerire
la mia fiacchezza e rifiutare il
conforto – sui polsi, la tua stretta
spezza la pace che urli. Bisogna
distinguere il capo per dipanarsi,
accertare la propria estensione,
aggrovigliarsi di nuovo per tollerare
il discernimento. Qui, dove lo spazio
è esiguo, divorarsi nella memoria.

La parola tormento,
come grida e contorce la
bocca sulla vacuità. Distilla
lacrime e appoggia il dissenso
sugli arti, solleva e rivolge
il silenzio alla carta – come
ancora si azzanna nel fingersi
audace. È cronaca dell’abbandono:
scrive che il suono è arrivato alla
frontiera. La voce superata la linea
trasfigura il nero – come corre
ora il pensiero all’altrove.

Abbiamo ricoperto le mie labbra
di veracità, ma il corpo rimane
impregnato di contraffazione.
Al bivio, cronometriamo i luoghi
(e i forse): pelle occhi ossa che
cedono e commuovono nello
spazio di un istante. Spavalderia
rigore clemenza terrore. Lunga
vita o breve che sia non importa.
Il dubbio, assertivo, ci abbandona.

Miera Borgia. “Borgia mette in gioco l’istinto di sopravvivenza per combattere l’inquietudine”, così scrive Franco Manzoni sul “Corriere della sera”, parlando della sua poesia, che indaga, attraverso dei moti filosofici e lirici, i meandri dell’Io in continuo dialogo con i risvolti civili. Nel 2019 è stata finalista al Premio Letterario Internazionale Città di Como. Nel 2020 ha pubblicato con Il Convivio Editore la raccolta di poesie “L’innocenza dell’ombra”, opera selezionata al Camaiore e finalista al Premio Prestigiacomo. Suoi testi sono stati pubblicati in alcuni blog e riviste letterarie. Nel 2022 ha pubblicato “Cronaca dell’abbandono”, con il quale è arrivata fra i primi cinque finalisti al Premio Letterario Forum Traiani, sezione poesia edita. Sue poesie sono state pubblicate nell’antologia “Pasti caldi giù all’ospizio ‒ Antologia degli opposti” per Transeuropa Edizioni. Ha collaborato con le pagine culturali del quotidiano “Conquiste del lavoro” e co-dirige la collana “Ormeggi” de “Il Convivio Editore”. Vive in provincia di Roma.

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