FOTORACCONTO Izis - 8, Impasse Florimont, Paris, 1947 FINESTRA
 
Caro nonno,
sono salito fin qui per te, in questo paese dimenticato da Dio e dalla storia. Erano anni che volevo fare questo viaggio, ne avevo parlato anche con papà, che mi aveva sempre dissuaso dal farlo. Da piccolo non potevo capire, volevo un nonno che mi portasse al parco, che mi insegnasse ad andare in bicicletta, che consolasse le mie ginocchia sbucciate come facevano tutti gli altri nonni.
Avevo solo dieci anni quando nella soffitta di nonna ho trovato le tue lettere, erano legate insieme con un nastro rosso e conservate nel cassettone della vecchia credenza.
Mi faceva sorridere che cominciassero tutte nella stessa maniera: “Dolce amore mio, tieni accesa la candela del nostro amore”.
Presi molte delle tue parole dolci e delle tue frasi d’amore per cercare di conquistare il cuore di Matilde, primo banco, capelli ricci.
Nonna mi lasciava salire in soffitta anche se papà non voleva. Diceva sempre: “Lascialo andare, deve scoprire, è l’età”. Fu così che pian piano riuscii a leggerle tutte. Su in soffitta non c’era la luce, ma avevo risolto il problema rubando una candela in chiesa e un pacco di fiammiferi a nonna; ricordo ancora le sue risate quando lo scoprì. Avevi ventiquattro anni quando scoppiò la seconda guerra mondiale, scappasti dalla facoltà di chimica e di te si seppe solo grazie a queste lettere. Nessuno ti avrebbe trovato, ogni francobollo recava un timbro diverso.
Nonna aveva papà in grembo e tu eri fuggito, chissà come presero la notizia all’epoca del duce.
Un pomeriggio d’inverno faceva molto freddo e mi avvicinai un po’di più alla candela per leggere e scaldarmi una mano per volta. Fu allora che rimasi sbalordito, scioccato: avevo solo dieci anni e non avevo mai sentito parlare di “inchiostro simpatico”, ma tu da apprendista chimico sapevi benissimo che bastava usare il cloruro di cobalto!
Decisi di non dire nulla, forse solo io avevo trovato la mappa del tesoro!
Ti ho trovato così e ho capito anche perché cominciavi tutte le lettere con quella frase. Dovevo trovare il coraggio di dirlo a nonna.
Nonna sapeva tutto. Quando trovai il coraggio di dirle ciò che avevo scoperto, ero già un sedicenne e ne sapevo di più sulla guerra grazie ai libri di scuola e a quelle storie che scrivevi e che avevo conservato nel cuore. Eri un guastatore della Resistenza, eri partigiano, chimico e quindi sapevi fare anche le bombe e il tuo nome da partigiano fu dato a me. Mi raccontò che una mattina i tedeschi vi trovarono… vi chiusero dentro questa casa… poi diedero tutto alle fiamme.
Mi insegnò anche il vostro canto:
 

“Il bersagliere ha cento penne
e l’alpino una sola
il partigiano ne ha nessuna
e sta sui monti a guerreggiare.
Lassù sui monti vien giù la neve
la tormenta dell’inverno
ma se venisse anche l’inferno
il partigiano rimane là.
Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro al cuore
perché se libero un uomo muore
non gli importa di morire”.

Prima di lasciarci mi ha detto: “Porta un fiore da parte mia a tuo nonno”.
Grazie alle sue indicazioni ho trovato questo paesino, perdonami se sono solo due margherite.
 
Con affetto,
tuo nipote Libero.

 

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