AUSTRIA FREUD ANNIVERSARY

Due furono i cambiamenti: un brusio all’interno della bocca e il rifiuto del suo cane a stargli accanto. Ciò accadeva da alcuni giorni, ma Sigmund Freud non volle mettere sul divano delle confidenze né la sua bocca né tanto meno il cane. Quel pomeriggio accostò le tende dello studio e si accese il sigaro. Il fumo non fu azzurro, non si librò in nuvole. Cadde a terra, Freud lo schiacciò col piede. Il fumo – senza un livido – rise, così come sono capaci di fare solo i migliori assassini. L’uomo comprese come la paura potesse essere anestetizzata con un’alzata di spalle. Però si sdraiò sul divano: le sue domande rimasero prive di risposta. Era il divano delle vittime tormentate con le sue teorie, alle quali urlava, Ma sua madre cosa faceva?, Ma sua madre cosa faceva!

Adesso non poteva essere la propria, di madre, a camminargli nell’inconscio aiutandolo a non sentire il sapore di necrosi nella bocca. Lui ammorbò la stanza di sé, con un tumore destinato solo ai grandi fumatori, prima che ai grandi scienziati. Il dolore gli faceva urlare i denti, il palato cambiava forma a ogni mutamento di pensiero, la lingua si riempiva di crepe. La parola si rifiutò di attraversare quella grotta purulenta. La solitudine, il terrore furono carnefici in una sera verso l’imbrunire. Il genio indiscutibile, padre della follia umana, ovviamente si accese un altro sigaro. Allungò come d’abitudine la mano sinistra per accarezzare il cane, ma l’animale era fuori dalla stanza, accucciato in pianto. Freud aveva 66 anni. Sei anni, prima notando uno strano gonfiore al palato, si disse, Devo cambiare marca di sigari. Fece trascorrere in questo modo venti anni, ascoltando maestri della medicina, elargendo verdetti ai propri pazienti. Negò a se stesso il cancro, proseguendo nelle sue ricerche, nell’osservare divani, nel prendere cani che sostituissero quelli nel frattempo morti. Tutti gli animali lo amarono a distanza. Non si fece mai mancare i migliori sigari del mondo.

Il 23 settembre del 1939, Freud aveva 83 anni. Fumando fumando, amputato di una mandibola, e la bocca come una carogna aveva scritto libri, studiato e proseguito a far naufragare inconsci di clienti sopra il suo divano, perché al cancro lui aveva sempre ordinato, Taci! Ma un tumore dentro una bocca non tace, immagina parole, e dice, nel solo linguaggio a lui consono, con toni gravi o acuti. Dice, il dolore. A Freud straziato si accascia il collo, mentre labirinti di manicomi lo respingono. L’uomo implora camicie di forza e oppio da fumare con ingordigia. La salvezza non esiste, lui lo sa. Rivive ogni sogno raccontato dai rannicchiati sul divano: la psiche degli sconosciuti. Non riesce a rievocare uno solo dei propri deliri notturni. Ordina al suo medico, Ammazzami. Il medico ubbidisce.

SDM

 

 

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