annino opera
 
Poco prima di notte
di Cristina Annino
Con un dipinto dell’Autrice
Introduzione di Maurizio Cucchi
(L’Arca Felice)

 

copertina annino okCristina Annino offre un ulteriore saggio della sua poetica con questa nuova silloge, edita, insieme a un suo dipinto, per le preziose edizioni L’Arca Felice dirette da Ida Maria Borrasi. Già dal titolo, Poco prima di notte, la breve raccolta (10 testi), lascia il lettore un po’ spiazzato tra la gamma infinita di allusioni possibili. Non riprende nessun testo né verso il titolo, e lascia intendere di chissà quale accadimento che dovrà avvenire (o è già avvenuto) a un’ora incerta, una scelta felicemente straniante. Così è la poesia della Annino, fatta di microracconti che contengono macrocosmi e sfaccettature psicologiche profondamente ricche. Impossibili da catalogare, i suoi versi dal taglio cinematografico e sapienziale, ricchi di “inquadrature” romanzesche, brandelli aforistici, caustici, conditi da un humour così naturale, mai gratuito, una conoscenza della vita tanto acquisita da apparire (e forse lo è, è il dono di un poeta più unico che raro) innata. Riesce a creare sempre qualcosa di nuovo la Annino, nel segno di una scrittura che mostra alcuni suoi marchi, come l’uso dei virgolettati e dei corsivi, il versificare spezzato in maniera irregolare secondo traiettorie sghembe e imprevedibili. Bisogna abbandonare ogni stereotipo per guatare il mare vasto della sua poesia, sprezzante di luoghi comuni e diplomazie servili, nobile quanto basta per assegnare il primato, tra le regole della sua personale pedagogia, al rispetto degli animali: «che non si separi mai ossa / da carne, né il lupo dalla foresta», «[…] è come strappare la testa / ad un santo, ché non possa vedere / chi si inginocchia» (Galateo per l’infanzia sul rispetto animale). Oppure inventarsi dalla visione di un film (The tracker – una guida aborigena –) un dialogo altamente spirituale e pieno di rimandi simbolici: « […] Ci han ferito / già troppo; non potranno perciò / rifarlo sempre, né ammazzarci abbastanza». Un immaginario debordante, come in Metafisica, dove: «[…] le gambe come treni / nel vapore, se ne vanno lontane. / Fuori dal quadro» o nella descrizione ben cucita addosso del Maudit: «L’annoia la gente che neanche / sente. Panorami pesanti, chi / li vede? Gli eventi. / Ci sono giorni d’un silenzio fermo, dice, senza / curiosità». Mentre nel finale dell’emozionante incontro amoroso tra il lui e la lei di Amor sacro amor profano riesce a chiudere il testo con un verso memorabile: «E scende muto dalle case afflitte». Per ultima, in questa silloge, ricollegandosi al tema musicale attraversato nel libro precedente, Chanson turca, la poesia Resurrezione nella musica, dove l’autore si immagina direttore d’orchestra, in allegria di naufragi, potremmo dire, barcamenandosi «[…] sull’orlo d’un / cratere spento». Constatando la libertà assoluta della poesia di Cristina Annino, trovo calzanti le parole di Ernst Jünger nel suo Trattato del Ribelle: «Il Ribelle è il singolo, l’uomo concreto che agisce nel caso concreto. Per sapere che cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito. Il Ribelle attinge alle fonti della moralità ancora non disperse nei canali delle istituzioni. Qui, purché in lui sopravviva qualche purezza, tutto diventa semplice. Abbiamo visto che la grande esperienza del bosco è l’incontro con il proprio io, con il nucleo inviolabile, l’essenza di cui si nutre il fenomeno temporale e individuale. Anche sul piano morale, questo incontro così importante sia nel guarire sia nel fugare la paura ha un valore altissimo. Porta verso quello strato sul quale poggia l’intera vita sociale e che sin dalle origini è sotteso a ogni comunità. E verso quell‘essere umano che costituisce il fondamento di ogni elemento individuale e da cui s’irradiano le individuazioni. In questa zona non ritroviamo soltanto la comunanza: qui c’è l’identità». 

 

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