Allo stato attuale, pare che la prima autrice lesbica del Novecento italiano sia stata Fausta Cialente col romanzo Natalia del 1930 (a ridosso quindi di Der wilde Garden di Grete von Urbanitzky 1927 e di The well of loneliness di Radclyffe Hall, 1928, prime in lingua tedesca e inglese), una generazione dopo quindi rispetto all’ondata francese d’inizio secolo[1]. Questa ondata lambì seppur marginalmente anche l’Italia, come cercherò di raccontare qui in anteprima assoluta.
La prima monografia su Filippo Tommaso Marinetti fu Il poeta Marinetti, Società editoriale milanese, primavera 1908, a firma di un fantomatico Tullio Pantaleo[2], che a proposito della rassegna internazionale “Poesia” fondata e finanziata da Marinetti nel gennaio 1905 scrive:
Se un giornalista navigato avesse avuto l’idea, e avesse trovato i quattrini per attuarla, avrebbe subito giudicato indispensabile un amministratore, e l’avrebbe cercato abile e astuto, ragioniere patentato ed esperto di mastri all’americana. / Invece F. T. Marinetti scelse una donna per amministrare Poesia, una donna ignara di scienze contabili e novissima nelle complesse mene editoriali. / Una donna, con un cervello di donna, con l’intemperanza e lo spirito d’economia famigliare di una donna… sia pure essa l’intellettuale signora Lisa Spada, dalla squisita sensualità e dalla mente nobile e colta!
Nella sua autobiografia postuma Marinetti, parlando degli albori di “Poesia” la citò a sua volta di striscio: “la mia segretaria redazionale Lisa Spada devota segretaria mi piace molto ma è preferibile Elvira Selvatico di Chioggia ma sublime e forse identificabile colla Poesia mi palpita nelle vene Reginella”. E a seguire ne riportava per intero una lettera:
Caro grande poeta nella mia qualità di segretaria di redazione e per devozione provata da te e senza la minima gelosia poiché mi riconosco allo specchio elegantissima ma con un faccione inadatto alle melliflue delicatezze del Chiaro di Luna voglio metterti in guardia perché tu non prenda troppo sul serio la tua poetessa argentina certo bella ma intrigante poco sincera e a fondo cocciutamente mercantile come suo padre intento ad acquistare e trafficare Milano Tua Lisa Spada[3]
In effetti nel 1905 Marinetti si divideva tra l’Elvira sua dirimpettaia e la misteriosa argentina Reginella, giovane figlia di banchiere, pur mantenendo ancora per poco un rapporto di fidanzamento con la scrittrice Teresah, cui dedicò un cammeo nel numero di settembre 1905 del suo mensile. Ma un posticino nel cuore (si fa per dire) doveva averlo anche la segretaria, se dedica “alla Signora Lisa Spada” un lungo componimento datato “Godiasco, luglio 1905”, Il direttore si diverte, da cui stralcio:
In questa mezzanotte cocente di giugno, dove la campagna
ha odori di forno e di lavanderia,
in questa mezzanotte cocente dove le pulzelle del villaggio
sognano l’amore,
[…]
io preferisco dopotutto andarmene a possedere
la fresca Luna dal ventre azzurro, i cui seni chiari ecco
spuntano sotto il nero merletto di una nuvola.
E perciò mi sdraio pancia all’aria su un ponte…
Un ponte?… È dir troppo… Non è infatti che un asse
sospeso sopra la bianca schiuma d’un ruscello.
[…]
Ma, zitto!… la Luna scivola, tutta nuda, di nuvola
in nuvola, e striscia tra le mie braccia, tanto liscia
e profumata, che io trasalisco di piacere…
[…]
Per meglio vezzeggiarla, strisciandole accanto
mi giro… e paf!… mi desto di soprassalto
nell’acqua del ruscello!
La Luna?… (Oh, poverina!) è tutta insanguinata!
Era vergine, dunque! Strano, dopo tanti
amplessi febbrili sopra la morbidezza
delle nuvole! Ovvìa!… Quali amanti?… dei Poeti!
Ecco come il direttore della rivista
Poesia
divinizzò le sue notti d’estate possedendo
la Luna vergine dal ventre turchino, dai seni di latte,
sui ciottoli di un ruscello.[4]
Marinetti pubblicò la poesia (che sa tanto di volpe ed uva) nel numero di gennaio 1906 con dedica e data, e la luna rifà capolino nel numero triplo del luglio-settembre successivo in chiusa all’Elogio della dinamite, dove l’autore esalta i dinamitardi all’opra “mentre sognate / accovacciati sui baluardi, in mezzo alla nostalgia / di un chiaro di luna immensificato dai vostri desideri / di libertà!”. Ora giusto a fronte della chiusa comparve un “Poema in prosa” in francese di Lisa Spada dal titolo
IL FAUNO INGANNATO
Izelle e Vivienne se ne andavano fianco a fianco strette per i sentieri ombrosi, onde fuggire la crudeltà del sole declinante che mordeva, a tratti, le loro braccia di neve. Attorno ad esse tutto fremeva di delizie sotto le carezze giocose della brezza primaverile.
La ressa delle erbacce, le piccole famiglie verdi che popolano la campagna e gli insetti invisibili della terra vibravano febbrilmente, cantavano d’ebbrezza bevendo l’azzurro del cielo e l’oro scarlatto del tramonto.
Izelle e Vivienne camminavano in sogno…
Il loro piedi leggeri scivolavano morbidamente, con un ritmo elastico, su un profondo tappeto di erbe remissive; e il lungo strascico delle loro vesti fresche e vaporose, tessute di lillà e di alghe secche portava via nei suoi fruscii tutti i profumi che la terra e i fiori esalavano.
È al centro di una prateria erbosa, tra due file di cipressi severi che si fermarono infine, giusto ai piedi di un grande fauno in pietra scolpita, il cui corpo era vellutato di muschio e la cui bocca beffarda albergava un nido di passeri.
Izelle allora appoggiò il suo capo bruno sulla spalla della bionda Vivienne; e costei, che aveva atteso a lungo questo momento delizioso, incollò le sue labbra brucianti sulla bocca della sua compagna che si donava con un languore altrettanto eccitante.
Un sospiro di voluttà si aggiunse alla brezza della sera.
Le loro vesti fresche e vaporose, tessute di lillà e di alghe secche, caddero silenziosamente.
Vivienne, più flessuosa e più zuccherosa dell’acero; Vivienne dai riccioli d’oro, tutta raggiante di desideri, lasciò vagare le sue lunghe mani di seta e la sua bocca assetata sul corpo bianco di Izelle che fremeva e singhiozzava sotto la voluttuosa e penetrante melodia delle carezze. E le carezze furono lente…
Sull’umido e scuro tappeto, i glutei eleganti e candidi di Izelle si schiacciarono, come frutti maturi, nel compimento del piacere; mentre il sole spariva all’orizzonte, il silenzio rosa e nero avvolse i loro corpi fusi.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La notte era già alta, quando Izelle e Vivienne, nel destarsi all’improvviso, scoppiarono in un folle riso vedendo la mezzaluna ornare la fronte del fauno con due divertenti corni.[5]
Una notte d’amore lesbico (dove Izelle sembra il terminale di uno slittamento Lisa-Lise-Liselle) alla faccia di un fauno cornuto… Anche qui c’è una dedica, ma enigmatica: “Alla Sig.na R… V…”. Fortunatamente, sfogliando i numeri di “Poesia”, ho incrociato in quello di settembre 1905 un componimento di ventisei distici dal titolo Viviane, da cui stralcio:
Imprevedibile sovrana, si attarda in giro
Per la foresta, come in un palazzo di zaffiro.
L’acqua, che ha il colore dei suoi occhi, brilla
Mentre lei con i pizzi della nebbia si attilla.
[…]
La sua veste ha bagliori di perla e d’argento,
La sua fronte è variabile e il suo cuore in mutamento.
Il suo potere femminile s’insinua nella bruma:
Lei diviene irresistibile al chiar di luna.
[…]
Primavera t’invia i suoi accordi esitanti,
Ecco – ti dici – la donna che attendi.
S’avvicina, e con le dita sfoglia corolle.
Tu tremi… hai dimenticato le parole…
[…]
Risveglia in te tutti i desideri antichi.
All’ombra dei suoi passi brillano ricordi …
L’hai presagita e l’hai sognata
A lungo, e infine l’hai ritrovata.
Trama per te tanti giardini e cieli
E t’addormenti nelle sue braccia immortali….
L’autrice è Renée Vivien, pseudonimo allusivo di rinascita e vita adottato appena l’anno prima dall’inglese francofona Pauline Mary Tarn, signorinissima e prima autrice lesbica dichiarata del Novecento mondiale. Evidente lo slittamento Viviane-Vivien-Vivienne, e pressoché certa qui l’identità di R… V…; inoltre, nello stesso numero triplo di “Poesia”, poche pagine prima del Fauno ingannato troviamo un’altra poesia di Renée intitolata Nasconderò il mio flauto, dove un “piccolo fauno” che aborre le tresche tra “satiri randagi” e “ninfe delle siepi” nelle quartine centrali afferma:
In mezzo al tepore, in mezzo ai profumi
Suonerò tutto il giorno, fino all’ora
dei cuori turbolenti e dei giochi comuni
E dei seni offerti che la brezza sfiora…
Tacerò il mio canto così pio e leale
Agli amanti del vino, ai cacciatori di preda…
Solo il vento serale conoscerà il mio male
E solo gli alberi conosceranno la mia gioia.
Difendo così i miei istanti migliori…
Voi che mi spiate coi vostri occhi di capra,
Compagni miei! andate a ridere altrove
Quando il canto fiorisce sulle mie labbra.
Se no – sono pur sempre un fauno per quanto
Bello sia il mio inno e, al contrattacco pronto,
Mi vendicherò con un’incornata
O con un calcio o una zampata.
Audace qui l’inversione del topos del fauno innamorato più o meno infelice di una Naiade, che dominò il simbolismo da Mallarmé sino al primo Marinetti[6], e ad essa solidale il rifiuto spadiano del sesso “forte”…
Una traccia della reazione di Marinetti si ritrova nella dedica “alla Signora Lisa Spada” del racconto La morte di Mohamed-el-Ragel pubblicato sulla quindicinale “La Rassegna Latina di Lettere, Arte, Politica e Scienza”, del primo agosto 1907, e poi sul mensile letterario parigino “Isis” del marzo 1908, sempre con dedica. Autotradotto in italiano nel 1920 senza dedica, è disponibile in rete col titolo Cacce arabe[7], per cui mi limito a un riassunto brevissimo: Marinetti giace con l’araba più bella del reame procuratagli da un lenone, ma d’improvviso sente uno sparo: è il marito che, tornato dal lavoro, uccide il lenone lì di guardia.
Su un altro piano, una risposta a Lisa può essere La Mort de la Lune in “Poesia”, giugno-settembre 1907, dove Marinetti coniuga ancora diversamente il tema nelle quartine centrali:
A notte alta, i marinai avvolti
nelle loro cabine di amara nostalgia
dormivano sul ponte nero,
quando apparve la Luna, dritta in equilibrio,
sull’ondulazione dei bastingaggi,
vibrante al vento marino come una lira!…
Tutto s’è trasfigurato nel suo bagliore carnale…
Il suo snello corpo madreperlaceo di levantina
mezzo nudo brilla
all’alzarsi in volo dei suoi veli
[…]
Ma di colpo la Luna come un bimbo
inciampò sulle drizze
e cadde da lassù, a capofitto,
ferendo e straziando la sua carne sui cordami.
Il suo corpo s’è schiantato sulla prua nera,
e il suo sangue colò, rosa, nella penombra
lungo il bompresso, imbrattando le onde.
I marinai assopiti russavano nel beccheggio
monotono e i flutti mormoravano perdutamente
contro la chiglia, divertendosi
con mille bambinate…
e nessuno consolava la Luna
dal puro viso estenuato dalla lentezza delle lacrime… [8]
Nel gennaio 1908 Umberto Notari, che aveva proposto un adattamento teatrale del suo Quelle signore (uscito nel frattempo indenne da un processo per pornografia con vertiginoso aumento delle vendite) all’attrice Irma Gramatica ricevendone un rifiuto motivato dalla pochezza della pièce, lanciò nel quotidiano romano di sua proprietà “La vita” un’inchiesta sulla liceità per un’attrice a giudicare l’opera che interpreta. Tra gli altri rispose Marinetti:
Credo che un’attrice non possa esprimere un giudizio critico, non perché attrice, ma perché donna. / Infatti […] la potenza creatrice d’una donna – sia poetessa e attrice – è intimamente legata alla sua sensualità ferina (la quale può essere originale e anche divinatrice) non mai alla sua cerebralità che è sempre derivata e riflessa. / Di conseguenza tanto più un’attrice s’innalza nell’interpretazione scenica d’un lavoro drammatico, tanto meno possiede il dono analitico e sintetico indispensabile a giudicarlo. / In conclusione, gli attori possono giudicar, le attrici mai.
E rispose anche Lisa Spada:
Un’attrice per quanto geniale ed intelligente, non deve e non può giudicare un lavoro drammatico; poiché il suo giudizio sarà infallibilmente troppo personale e sempre dettato dalla simpatia o antipatia ch’ella proverà per la parte da creare. Firmato: Lisa Spada – allieva della distinta attrice Teresa Boetti Valvassura.
Parrebbe un giudizio a ruota di quello marinettiano (mentre ad esempio le scrittrici Neera e Teresah si schierarono a favore della libertà di critica), senonché il rinvio a Boetti Valvassura, direttrice della scuola di recitazione dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano fin quando nel 1903 ne fondò una sua basata sull’immedesimazione nella parte, fa cadere la motivazione misogina di Marinetti.
Poi un lungo silenzio di Lisa, che anzi concluse qui la sua frequentazione della carta stampata. Ci resta di lei una lettera manoscritta del 9 ottobre 1909 allo scrittore futurista Paolo Buzzi, pilastro di “Poesia” fino alla cessazione della rivista avvenuta proprio in quei giorni:
Carissimo amico Buzzi,
grazie – grazie – grazie infinitissime – Il vostro libro mi giunse come un grido di battaglia ultramoderna – Ne rimasi entusiasta – E più ancora entusiasta per la memoria gentile che conservate di me – Io sono da mesi qui a Rifredi – a due passi da Firenze – la silenziosa – quasi deserta aristocraticissima città – ho fissata la mia dimora qui in villa dei miei cari ed affettuosi amici – Si parte fra una settimana – si va per 20 giorni a Treviso poi di nuovo qui in villa – fino al 20 dic – Allora un mese e mezzo a Genova – davanti al mare – al mare grande – La mia salute va abbastanza bene – per quanto sia sempre oltremodo nervosa – E Marinetti? Quanto desidererei sue notizie! – Perché non mi scrive mai una parola? – Salutatemelo tanto tanto – Ditegli che mi mandi una parola una riga – un pezzo – ciò che vuole – mi basterebbe sapere che fa – come lavora – sapete quanto m’interessi sempre a lui – Ditegli di spedirmi regolarmente Poesia – che lo prego di spedirmela – E voi caro Buzzi – scrivetemi qualche volta – ne avrò immenso piacere – E Cinti ? – quel caro e simpatico – tanto simpatico amico mio Cinti! Ricordatemi affettuosamente anche a lui – Scusate tutti questi incarichi – Grazie ancora mio caro Buzzi – A voi tutti i miei saluti e la più cordiale delle mie forti strette di mano
Lisa Spada [11]
Oltre alla sua cagionevolezza, se ne deduce qui un’interruzione del rapporto con Marinetti, qualunque esso fosse[12]. Poi una lunghissima pausa (delle fonti almeno), finché su “L’Italia Futurista” del 25 agosto 1916 venne annunciato in lavorazione a Firenze Vita futurista, “Primo Film Futurista / Scritto da Marinetti, Settimelli, A. Ginna, Bruno Corra / Interpretato dagli stessi futuristi: MARINETTI, Settimelli, Bruno Corra, Chiti, N. Nannetti, Spada, Spina, ecc.”. Irrimediabilmente perduto tranne qualche fotogramma, il film era costituito da una serie di episodi tra cui “Colazione futurista – interpretata da Settimelli, Corra, Marinetti, Venna, Spada, Josia, Remo Chiti. Intervento di vecchioni simbolici”, girato dal vero in un ristorante di Piazzale Michelangelo, dove i futuristi insultavano i clienti passatisti. Nella locandina della prima proiettata al teatro Nicolini di Firenze il 28 gennaio 1917, compariva poi un episodio nuovo: “Riproduzione della celebre serata al Mercadante di Napoli” del 20 aprile 1910, suddivisa in tre momenti: “Marinetti parla in teatro – Declamazione futurista – Pugilato”; e nel documento per il nullaosta l’episodio si articolava così: “La folla attende l’uscita dei futuristi – Marinetti Settimelli Nannetti Spada ecc. affrontano il pubblico. Pugilato. – Dopo la mischia”. L’ultima stringata testimonianza scritta resta quella di Buzzi su “La Fiera Letteraria” del 6 maggio 1928, nell’articolo I tempi di “Poesia”: “L’amministrazione è data ad una donna, molto intelligente ed attiva alla cui memoria bisogna mandare un saluto: Lisa Spada”.
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[1] Su ciò cfr. https://www.lestroverso.it/cosa-importa-a-noi-il-giudizio-degli-uomini/.
[2] P. 117. Dai due titoli a firma Tullio Pantaleo annunciati in coda come di prossima uscita (uno sul romanzo Quelle signore del 1906, l’altro sul giornalista Luigi Barzini), sotto il nom de plume è individuabile il giornalista Umberto Notari, che proprio a inizio 1908 ospitò l’amico Marinetti nella sua villa di Viggiù.
[3] F. T. Marinetti, La grande Milano tradizionale e futurista, Mondadori, Milano 1969, pp. 81 e 86. Nei tanti testi storico-critici sul futurismo, Lisa viene ignorata o citata solo come “segretaria amministrativa”, tutt’al più “gelosa di Marinetti”.
[4] A Godiasco era la casa di campagna dei genitori di Marinetti, che all’epoca poetava solo in francese (traduzione mia, come il resto). La poesia ricompare nella raccolta La Ville charnelle del luglio 1908, senza più dedica.
[5] LE FAUNE TROMPÉ // (Poème en prose) / pour M.lle R… V… / Izelle et Vivienne s’en allaient côte a côte enlacées par les chemins ombreux, pour fuir la cruauté du soleil déclinant, qui mordait, par instants, leurs bras de neige. Autour d’elles tout frémissait de délices sous les caresses folâtres de la brise printanière. / La cohue des herbes folles, les petites familles vertes qui peuplent la campagne et les invisibles insectes de la terre vibraient fièvreusement, chantaient d’ivresse, en buvant l’azur du ciel et l’or écarlate du couchant. / Izelle et Vivienne marchaient en rêvant…. / Leurs pieds légers glissaient moelleusement, avec une souple cadence, sur un profond tapis d’herbes soumises; et la longue traîne de leurs robes fraîches et vaporeuses, tissées de lilas et d’algues mortes, emportait dans ses froufrous, tous les parfums que la terre et les fleurs exalaient. / C’est au milieu d’une prairie gazonnée, entre deux rangs de cyprès sévères, qu’elles s’arrêtèrent enfin, juste aux pieds d’un grand faune de pierre sculptée, dont le corps était velouté de mousse et la bouche ricanante hébergeait un nid de moineaux. / Izelle alors, pencha sa tête brune sur l’épaule de la blonde Vivienne ; et celle-ci qui avait longtemps attendu ce mouvement délicieux, colla ses lèvres brûlantes sur la bouche de sa compagne qui se donnait avec une langueur aussi troublante. / Un soupir de volupté s’envola sur la brise du soir…. / Leurs robes fraîches et vaporeuses, tissées de lilas et d’algues mortes, tombèrent silencieusement. / Vivienne, plus souple et plus sucrée que l’érable, Vivienne aux frisons d’or, toute rayonnante de désirs, laissa errer doucement ses longues mains soyeuses et sa bouche assoiffée sur le corps blanc d’ Izelle qui frissonnait et sanglotait sous la voluptueuse et pénétrante mélodie des caresses. Et les caresses furent lentes…. / Sur l’humide et sombre tapis, la croupe élégante et neigeuse d’ Izelle s’écrasa, comme un beau fruit, dans l’épanouissement du plaisir; tandis que le soleil disparaissait à l’horizon, le silence rose et noir enveloppa leurs corps fondus. / . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . / La nuit était déjà haute, quand Izelle et Vivienne, s’éveillant tout à coup, éclatèrent d’un fou rire en voyant le croissant de la lune orner le front du faune de cornes amusantes.
[6] Nel 1899 aveva pubblicato il poemetto La disperazione del fauno, dove un fauno, respinto da una Naiade, specchiandosi in un laghetto fa la fine di Narciso, ma per il motivo opposto.
[7]https://it.wikisource.org/wiki/Scatole_d%27amore_in_conserva/Cacce_arabe#pagename57.
[8] La parabola si concluderà nell’aprile 1909 col manifesto Uccidiamo il Chiaro di Luna!: “sentimmo a un tratto la Luna carnale, la Luna dalle belle coscie calde, abbandonarsi languidamente sulle nostre schiene affrante. / Si udì gridare nella solitudine aerea degli altipiani: / — Uccidiamo il chiaro di Luna! / Alcuni accorsero alle cascate vicine: gigantesche ruote furono inalzate, e le turbine trasformarono la velocità delle acque in magnetici spasimi che s’arrampicarono a dei fili, su per alti pali, fino a dei globi luminosi e ronzanti. / Fu così che trecento lune elettriche cancellarono coi loro raggi di gesso abbagliante l’antica regina verde degli amori”.
[9] Aeroplani. Canti alati, Edizioni di “Poesia”, Milano, settembre 1909 (versi liberi con in appendice il manifesto futurista Uccidiamo il chiaro di luna!).
[10] Decio Cinti, segretario personale di Marinetti.
[11] La lettera è conservata in MSS Buzzi 47/253. Biblioteca Comunale Centrale – Palazzo Sormani, Milano. Un grazie a Donatella Cantele, del Centro Stendhaliano.
[12] Unica spia, di parte, in un’annotazione del 13 maggio 1918 in F. T. Marinetti, Taccuini: 1915-1921, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 240-241, sull’ incontro con un’ex-amante succeduta a Reginella, non individuata dai biografi: “Luccia [sic] sostiene che io ho strappato il suo cuore e il suo amore (con 2 o 3 incontri tres desagreables [sic]: S.ra Spada – duello con Hirsch per la Sig.ra Mendes a Parigi – specialmente andando in Tripolitania)”. Siccome Marinetti partì per Tripoli come inviato speciale l’11 ottobre 1911 e duellò il 16 aprile 1909 con lo scrittore Georges H. Hirsch che aveva svelato una sua liaison con la moglie del poeta Catulle Mendès, secondo l’ordine cronologico gli incontri molto sgradevoli (per Luccia almeno) caddero nel 1908, se non prima.
in copertina, Lisa Spada al Salvini accanto a un perorante Marinetti (caricatura di Enrico Sacchetti 1906)